Un lettore contesta il giudizio negativo che ho espresso sulla riforma del Senato dal quale Renzi fa dipendere la sua permanenza a Palazzo Chigi fino al 2018, sebbene non vi sia arrivato con un’investitura elettorale, o l’andarsene a casa, salvo gli ovvi ripensamenti che sono la costante degli sfacciati che si giocano la faccia: mi fa presente che «una seconda camera non elettiva e con le competenze prefigurate dal ddl del governo è legittima sotto il profilo costituzionale e opportuna dal punto di vista politico», sicché avrei «clamorosamente» sbagliato col definirla mostruosa. Non devo essermi spiegato bene e allora torno sulla questione cercando di liberare i miei argomenti dalle ellissi in cui li avevo compressi.Innanzitutto, io contesto il metodo col quale si intende varare questa riforma costituzionale. Ad approvarla sarebbe la maggioranza semplice di un Parlamento eletto con un sistema elettorale come il Porcellum, di cui la Corte Costituzionale ci ha spiegato le intrinseche storture: un Parlamento di nominati in cui la rappresentatività è pesantemente alterata da un premio di maggioranza spropositato, in nome di una governabilità che ormai è ridotta a mero feticcio per la tutela cui siamo soggetti in sede europea. A mio modesto avviso, le riforme costituzionali toccano il terreno che è comune anche alle più infime minoranze, sicché dovrebbero essere varate da maggioranze quantitativamente e qualitativamente diverse da quella che qui si appresta a modificare una struttura portante della Costituzione com’è il bicameralismo, peraltro sotto l’implicito ricatto di andarsene a casa insieme a chi propone il ddl, nel caso non approvi. Sulle regole comuni a tutti, a mio modesto avviso, dovrebbe esprimersi un organo costituente, espresso con metodo proporzionale. Sarà esagerato, ma su ogni più minuto dettaglio della Carta destinata ad essere di tutti non ritengo eccessiva alcuna garanzia.In secondo luogo, il Senato a cui si è pensato nello stendere questo ddl non ha niente a che vedere con la Camera delle Autonomie, di cui abbiamo analogo in altri paesi: gli si leva voce in capitolo sulla legislazione ordinaria e sulle norme di bilancio, ma gli si lascia il voto sulle leggi di revisione costituzionale, sull’elezione del Capo dello Stato e su quella dei membri laici del Consiglio Superiore della Magistratura, senza specifica investitura popolare? Quand’anche, poi, si volesse assumere come implicito che il Sindaco di questa città sì e di quella città no acquisti de facto queste prerogative al varo della riforma del Senato, come si può pensare che l’incongruità rappresentativa, che è la più evidente bizzarria nel modo col quale se ne è immaginata la composizione, possa reggere al vaglio della Consulta?Infine, senza con ciò dover forzare troppo la fantasia nel leggere il retropensiero che muove a questa follia, c’è la questione del perché sia proprio su questo momento di revisione costituzionale che un pericoloso avventuriero come Renzi si dica disposto a puntare tutto. Qui mi pare che i fatti parlino da soli. Il bipolarismo in Italia è morto e tuttavia non ci si rassegna a prenderne atto. Ci si ostina a tentare di rianimarlo con potenti dosi di maggioritario ad alto tenore premiale, ma il principio che fin qui regge la definizione dei collegi da cui i senatori arrivano a Palazzo Madama rende impossibile avere al Senato la stessa maggioranza dopata che si riesce ad ottenere a Montecitorio. A quale altra soluzione potevano pensare due tizi disinvolti come Renzi e Berlusconi? Aboliamo il Senato. O almeno sterilizziamolo. Basta aggiungerci un Italicum che ribadisca il no alle preferenze e le liste bloccate del Porcellum, e il gioco è fatto: chi vince si piglia tutto, compreso il diritto di dare al Parlamento il solo compito di vidimare i decreti dell’esecutivo, e in culo alla democrazia, vince chi è più figo in favore di telecamera.Non ogni revisione costituzionale è un tentativo di golpe, figuriamoci, ma questa, senza dubbio, sì.
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