E’ dunque evidente che dietro questo tragico incidente, che pare addirittura cercato, ci sia una motivazione politica. In pratica, Recep Tayyip Erdogan ha voluto inviare un messaggio a Putin che suona più o meno così: sulla questione siriana la Turchia non intende arretrare in Siria. Il Sultano tradisce nervosismo: per colpa dello Zar Putin, il suo progetto di Neottomanesimo volto a trasformare il Medioriente e il Nord-Africa in zone d’influenza turche, sta andando in frantumi. Se nel 2012 Ankara aveva in Egitto il fidato Morsi e vedeva ormai prossima l’instaurazione di una sorta di Fratellanza Musulmana in Siria al posto di Assad, nel giro di tre anni lo scendario è cambiato radicalmente: al Cairo i Fratelli Musulmani sono in galera, spodestati da un golpe del generale al-Sisi che si è ultimamente mostrato molto vicino a Putin, mentre il regime di Damasco è ancora lì, puntellato dai russi e dagli odiati iraniani. Ed è proprio a questo ambito che va ricondotta l’ambigua politica della Turchia verso l’ISIS, di cui ospitava anche campi di addestramento sul proprio territorio
È evidente che la Turchia veda ora nella Russia il suo principale antagonista in Medio Oriente: dall’Iraq all’Iran, dalla Giordania all’Egitto Mosca ha ormai un forte peso politico, economico e militare. E questa nuova influenza russa rischia di ridimensionare parecchio gli ambiziosi progetti geopolitici di Erdogan.