Mr Ciak #16: Kick-Ass 2, The Conjuring - L'evocazione
Creato il 22 agosto 2013 da Mik_94
Ciao
a tutti! Oggi, torno a vestire i panni di Mr Ciak per parlarvi di due
film da poco approdati al cinema: già, perché, ogni tanto, i cinema
italiani decidono di distribuire qualche titolo che voglio vedere.
Sto parlando del sequel di Kick – Ass e dell'horror The Conjuring –
L'evocazione. Li avete visti, o magari li conoscevate? Un abbraccio e
buona giornata, M.
C'è
qualcosa di semplicemente straordinario nel vedere un'altra versione
di te trovare il coraggio di fare quello che tu non farai mai. Sarà
per questo che Kick-Ass, ai
tipi come me, era piaciuto un casino. Vedendo il primo film, nei
critici e “tormentati” anni del ginnasio, se ricordo bene, mi ero
sentito forte, d'un tratto sicuro, incredibilmente idiota. Proprio
come il protagonista. Che, chiudendo i suoi occhiali a fondo di
bottiglia in un cassetto, aveva indossato una maschera. Che, sfidando
sé stesso, i suoi limiti e nemici più potenti di lui, aveva trovato
l'amore, l'amicizia, un senso a un'adolescenza vissuta tanto per...
Parlo metaforicamente, è ovvio. Poi, quello era un film, tratto da
una graphic novel che ignoravo del tutto, nel mio immenso
analfabetismo in materia di fumetti. E l'eroe eponimo, tra l'altro,
più che darle, le prendeva senza pietà. Indimendicabile la sua
prima missione, il giorno stesso in cui i tipi di Ebay gli avevano
recapitato il costume per corriere: preso a calci nel culo,
accoltellato, investito. Ahi... Male, male! C'erano eroi migliori da
prendere come esempio, meno sfigati, ma, accanto a Peter Parker,
l'occhialuto e brufoloso Dave Lizewski era diventato il mio
sfigatissimo idolo. Mitico. Un po' per lui, un po' per il gore e
l'acida ironia di fondo, avevo adorato il primo film: una genialata
assurdamente divertente. Era il sogno d'infanzia di Quentin Tarantino
o di Robert Rodriguez: uccisioni, tipette dolci dolci armate fino ai
denti, bulli, cattivi troppo idioti per essere veri, risate a palate.
Una trashata, sì, ma di gran classe. Con questa premessa sembra
quasi che il sequel – uscito a Ferragosto nei nostri cinema – non
mi sia piaciuto quanto il precedente, ma è sbagliato. In realtà,
questo secondo episodio mi ha divertito e intrattenuto proprio come
il primo, pur risultando complessivamente poco, poco inferiore. E' giusto dire che è stato un gradito ritorno. Il costume è lo stesso - bruttissimo,
verde e con quegli ingombranti stivali da legnaiolo sotto che tutti,
d'inverno, sembrano avere, tranne me. E sappiate che ne vado fiero! - e
lo stesso è l'attore che torna ad indossarlo: Aaron Johnson. Nel
frattempo è diventato maggiorenne, ha sposato una milfona
hollywoodiana
che potrebbe essere la sua prozia, ha ricevuto una proposta per
recitare in Cinquanta
sfumature,
si è scoperto (e si è fatto scoprire dalle spettatrici) decisamente
belloccio. Non ci sono più i nerd di una volta, ma lui si impegna: è
imbranato, simpatico e più maturo, alle prese anche con un
drammatico lutto, sul finale, che fa tanto The
Amazing Spiderman.
Lui è l'eroe che dà il nome a tutto, ma qualcosa non funziona se la
piccola Chloe Moretz – più di quanto avveniva nel primo – gli
ruba la scena in ogni fotogramma. E' cazzutissima, è dolcissima, è
adorabile e, a distanza di tre anni, è diventata anche molto carina.
E' giusto dire che c'è un'unica Hit Girl e che Kick Ass è la sua
spalla; il suo Robin. Quella ragazzetta bionda e dagli occhi verdi è
una forza della natura, un uragano, una sanguinosissima esplosione.
Dopo aver svent(r)ato un'istituzione mafiosa nel primo, all'inizio
del sequel la troviamo con un incubo peggiore: il liceo. Ma le
aspiranti cheerleaders con le manie di grandezza troveranno pane per i
loro denti: Mindie/Hit Girl ha non pochi assi nella manica. Una che
sa uccidere una dozzina di uomini armati con un coltellino da burro,
forse non conosce i passi di una coreografia delle ragazze pon-pon?
E' perfetta e, a novembre, sara una Carrie perfetta. Qualcosa viene
meno, tuttavia, tra i vari comprimari. La storia d'amore di Kick Ass
e le sue amicizie sono affrontate in maniera troppo frettolosa e
sommaria e la prova del sempre ottimo Jim Carrey – che tanto si è
lamentato per la presunta violenza del film, facendo sì che al
botteghino americano non fosse proprio un successone – se
confrontata con quella di Nicolas “Bid Daddy” Cage. E' simpatico,
strappa le risate degli spettatori e le urla di qualche sporadico
nemico, ma il suo ruolo è poco più che marginale. Quasi un cameo di
un Ace Ventura con la maschera e la mimetica. Funziona, invece, la
metamorfosi di Christopher Mintz-Plasse che, svestiti i panni
dell'eroe Red Mist, indossa quelli del cattivissimo Mother Fucker. E
il nome è tutto un programma, visto che il suo esilarante costume
altro non è che una tutina in latex, piena di strane catene
penzolanti, che era appartenuta alla sua defunta mammina, con la
passione per le lampade e il bondage. Ironico, aggressivo, pulp,
colorato: un fumettone vietato ai minori e ai perbenisti. Violento,
ma non gratuitamente, e sempre capace di abbinare grottesco e sincere
risate. Il messaggio finale, poi, è dei più positivi: invita ad
essere il cambiamento che vuoi vedere nel mondo, a essere l'eroe di
te stesso. Good.
Really Good!
Case
spettrali, porte che cigolano, stanze segrete, bambole dagli occhi di
vetro e dai ghigni immortalati per sempre sulla porcellana, bambini
che giocano a nascondino mentre qualcuno – nel buio – li spia,
esorcismi. The Conjuring – L'evocazione è un ritorno all'horror
classico. A quello fatto di sussulti e apparizioni improvvise,
atmosfere lugubri e riprese che, ampliandosi, mostrano amici
immaginari nascosti negli armadi o sotto i letti. Pericoli mortali
celati tra le ombre familiari di una casa perfetta. La storia, tratta
da fatti realmente accaduti, riprende la più usata (ed abusata)
delle trame ed è incentrata sul trasferimento di una famiglia
numerosa, rumorosa e felice in una magione isolata, ma spaziosa: ci
sono una mamma, un papà e cinque bambine. Tante spese, tanti
problemi, l'America carica di speranze
degli anni '70. Fino a quando la tranquillità della famiglia non
viene spazzata via dalle oscure presenza che abitano la casa:
adoratori del demonio, spettri di bambini assassinati, streghe
condannate al rogo durante l'Inquisizione. Fantasmi maligni. A
scacciarli, due coniugi con il pallino delle scienze occulte, con uno
sfortunato esorcismo all'attivo e una bambina in pericolo, sola in
una stanza piena di mostruosità. A mio parere, questo The
Conjuring sarebbe potuto essere un mezzo capolavoro. Ma, pur non
guadagnando lo scettro di horror del decennio, intrattiene
piacevolmente, con la giusta dose di brividi, sussulti e scossoni.
Non tanto per la storia (vera?) trita e ritrita, quanto per la
grandissima abilità del giovane regista James Wan, che, poco più
che trentenne, ha all'attivo alcuni dei film di genere più
interessanti ed efficaci che abbia visto recentemente: Saw -
L'enigmista (il primo, crudele e sorprendente Saw), Dead
Silence (distribuito, in Italia, solo in homevideo, ma ugualmente
grandioso, con i suoi pupazzi spettrali e le sue ninnananne
assillanti) e Insidious (visto un cinque volte da quando è
uscito: spaventoso, originale, seriamente bello). Il suo zampino,
inoltre, è anche nell'ottimo Sinister e nel recente La
notte del giudizio. Ha personalità, stile, una mano ferma e
riconoscibilissima e, come i più grandi, già caratteristiche tutte
sue: ritroviamo tutto in questo film, il consolidamento ufficiale ed
innegabile del suo talento. Tra possessioni, bambini inquietanti,
bambole di porcellana e case maledette, cita il sé stesso di
Insidious e omaggia l'horror anni '70, ricalcando la scia dei
vari Amytiville Horror. Ottimo il cast: Vera Farmiga – mamma
di "Norman" Bates Motel e di Orphan - , Patrick Wilson
(già diretto da Wan in Insidious e, ad ottobre, nel secondo
capitolo del film: manca poco!) e Lili Taylor – che, a più di dieci anni da
Haunting - Presenze, ritorna ad abitare case infestate.
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