Mr Ciak #26: Carrie, How I Live Now, The Spectacular Now, I sogni segreti di Walter Mitty
Creato il 11 gennaio 2014 da Mik_94
Ciao a tutti, amici! Come state? Dalle mie parti,
tutto bene: in panico per il primo esame, come sapete, ma per il resto non
posso lamentarmi: questa mattina, pieno di buone intenzioni, mi sono svegliato
più presto del solito, ma, trascinato dei miei genitori, sono andato a fare
spese. Impossibile trovare una M – chiedere una S sarebbe tanto, lo so – tra le
T-Shirt e le camicie, ma sono stato fortunato nel reparto calzature e giacche:
viva Piazza Italia! In anteprima, per tenervi aggiornati, sto
leggendo l'attesissimo Le ossa della principessa – a breve la
mia recensione - e, anche se in questi primi giorni di gennaio le mie letture
procedono un po' lentamente, sto guardando tanti, tanti film. E quasi tutti
degni di nota. Oggi, ho deciso di parlavi di quattro trasposizioni
cinematografiche: Carrie – tratto dal primissimo romanzo del
Re – non ha bisogno di presentazioni e arriverà nei cinema proprio la settimana
prossima; How I live Now è tratto da Come vivo ora, un
discusso young adult edito dalla Feltrinelli; The Spectacular Now – il
titolo in assonanza è una coincidenza, giuro – è L'attimo perfetto,
portato in Italia dalla Piemme Freeway. Questi ultimi, purtroppo, non hanno
ancora una distribuzione da noi. Ultimo ma non ultimo, I sogni segreti
di Walter Mitty, basato sull'omonimo romanzo di James Thurber, edito
dalla Bur. In attesa delle vostre impressioni, vi saluto. Un abbraccio, M.
Sul
poster americano, a grandi lettere, sul viso insanguinato di una
ragazza dagli occhi profondi come l'abisso, capeggia una scritta che
dice così: Tu conoscerai il suo nome. E il suo nome lo
conosciamo, tutti. Escludendo le poche e (im)perdonabili
spettatrici che, probabilmente, penseranno, in prima battuta, alla
trasgressiva e nota protagonista di Sex & The City, tutti
tengono bene a mente il nome di battesimo di questa adolescente, così
timida e così incredibilmente potente. Viene naturale: uniamo Carrie
al sottotilo Lo sguardo di Satana quasi istintivamente. E'
così da quanto, nel 1974, un giovincello ancora sconosciuto
pubblicò un romanzo destinato a lunga vita e due anni dopo, Brian De
Palma – uno dei più grandi cineasti viventi – lo portò al
cinema, con una giovanissima Sissy Spacek, nei panni della
protagonista assoluta, e uno scrittore destinato a una carriera
leggendaria nei titoli di testa. Stephen King. Da allora, Carrie è
di continua ispirazione per registi e romanzieri. Conosciamo la
storia un po' tutti e, sotto altri nomi e in tutte le salse
possibili, le vicende talora tristi e talora terrificanti di Carrie
White sono state più volte riprese. Un remake, dunque, era l'ultima
cosa da proporre. Semplicemente, non era indispensabile. Il film di
Kimberly Peirce indispensabile, effettivamente, non lo è proprio, ma
– su molti fronti, tutti – è validissimo. Riproposta ai giorni
nostri, infatti, una delle storie più note in assoluto risulta
attuale e verisimile come non mai: sarà che i capolavori veri non
invecchiano e che King è sempre King. Un re, punto e basta.
Non vi nascondo che non ho mai apprezzato la versione di De Palma
fino in fondo, proprio come non ho mai visto nello Shining di
Kubrick una trasposizione degna di un altro grande horror, perciò,
per me, il lavoro del regista del recente Passion e
dell'intramontabile Gli intoccabili, perdonate il gioco di
parole, non era propriamente intoccabile. Il film originale, diretto
da un uomo, calcava molto sui toni più cupi e orrorifici della
storia e, a mio parere, lasciava percepire poco il dramma
dell'adolescente e il suo rapporto malsano con la figura materna.
Kimberly Peirce, donna, dirige un film che ruota attorno a due donne,
solide figure chiave di una casa degli orrori. Reduce dai trionfi
ottenuti col suo controverso Boys Don't Cry, con forza e
sensibilità, torna a parlare d'adolescenza, facendo del romanzo di
King un manifesto – attuale come mai prima d'ora – contro il
bullismo e la violenza. Gli aguzzini di Carrie, in questo remake,
sono ancora più crudeli, perché ne hanno i mezzi: hanno telecamere
con cui riprendere le umiliazioni subite dalla povera protagonista,
proiettori portatili con cui farle rivivere i momenti più atroci,
social network sui quali diffondere le sevizie con le quali la
perseguitano. Inoltre, l'impeccabile e diretto incipit, con la giusta
brutalità, porta lo spettatore nella mente deviata e confusa di una
madre bigotta, con le fattezze di una Julianne Moore, come sempre, in
stato di grazia, piena di tic, fobie, manie. E' trasandata, è
struccata, è grigia e, sotto i suoi vestiti neri, nasconde i tagli
che, a causa di un forte senso del peccato, si auto-infligge. La
Chloe Moretz di Kick Ass e Lasciami entrare, con i suoi
soli sedici anni e una biografia di tutto rispetto, è sua figlia;
una sua vittima. La nuova Carrie, quindi, ha un volto più bello e
tratti più dolci della precedente, ma l'aver scelto Chloe non è
stata poi una tale scommessa: è bella, vero; ma convince
immediatamente con le sue insicurezze, con i suoi occhi bassi, con la
sua timidezza, con la sua rassegnazione muta che è pronta ad
esplodere in una furia senza fine. Diventerà una grande attrice.
Espressiva e convincente, porta sullo schermo una Carrie che, in
maniere saggia, non è stata resa a forza, da truccatori e
sceneggiatori, un caso umano: lei è una di quelle ragazze
inconsapevolmente splendide, ma che – riflesse negli occhi degli
altri – si sentono brutte e fuori posto. Perché non sono su
Facebook, perché non hanno una mamma al passo coi tempi, perché non
hanno i jeans a vita bassa, un fidanzatino e il cellulare di ultima
generazione. Pur con i suoi poteri paranormali, in realtà, è la
protagonista di uno dei troppi casi di cronaca nera: un'adolescente
messa con le spalle al muro che si arma e, nei corridoi del suo
tranquillo liceo, mira e fa fuoco. Bang! Gli effetti speciali
sono utilizzati con un'insolita intelligenza e il gore è presente,
ma nei momenti giusti. La famosa strage del ballo di fine anno, cruda
e brutale, è perfetta. Ottimi, per un teen horror, anche i
comprimari: una nota positiva, infatti, per l'angelica Gabriella
Wilde (prossimamente, in Un amore senza fine), la frizzante
prof. Judy Greer e la rivelazione Ansel Elgort. Rivelazione perché
il suo è uno dei pochi personaggi autenticamente buoni della storia
e rivelazione perché – con la sua naturalezza appena scoperta –
in questo 2014, reciterà nelle trasposizioni cinematografiche di
Divergent e Colpa delle stelle. La struttura ad anello
del film, infine, è studiata in maniera particolarmente meticolosa
ed efficace. Nota leggermente stonata, l'ultimissima sequenza: ma è
pur sempre un horror prodotto dalla commercialissima Screen Gems,
quindi è nei patti. Due magistrali interpreti femminili, dunque, per
una storia che, anche se nota dall'inizio alla fine, sa sorprendere
sempre, dare nuovi brividi e nuovi spunti su cui riflettere. Tutti,
alla fine, vorremmo per Carrie un finale diverso e vorremmo vederla
protagonista di una di quelle commedie sentimentali in cui il brutto
anatroccolo diventa cigno. Qui, diventa uragano. Stephen King,
onnipresente e leggendario, da maestro dell'orrore indiscusso,
si mostra, quindi, anche un acuto conoscitore di quei mostri spietati
che la società odierna chiama adolescenti.
Come
vivo ora è un romanzo di Meg Rosoff. Uno young adult controverso
che, nei primi tempi, aveva fatto tanto parlare di sé: alcuni lo
avevano amato, altri odiato, altri abbandonato, altri mal digerito.
Era una confusione di periodi e di pensieri slegati, caratterizzati
da una quasi totale assenza di segni di punteggiatura. Il diario
segreto di un'adolescente e il suo resoconto su un'estate da
ricordare, o forse da dimenticare: la peredità della verginità,
dell'innocenza, dell'infanzia su uno sfondo vagamente distopico, a
metà tra Alba Rossa e Il domani che verrà. Non ho
letto il libro, ma voglio farlo. E volevo aspettare, per vedere il
film, ma non l'ho fatto. Senza poter parlare delle differenze e delle
analogie con il libro omonimo, vi parlerò di How I live now come
fosse un film comune, non una trasposizione. E, immediatamente, vi
dirò, così, che mi è piaciuto. Molto, anche. Si parla di
adolescenti, è raccontato da adolescenti, ma – sin dai titoli di
coda, rossi e ingombranti – si capisce che non è una produzione
esclusivamente per i più giovani. Alla regia c'è lo scozzese Kevin
McDonald, autore di L'ultimo re di Scozia e The Eagle,
e, nei panni della sedicenne Daisy, c'è Saoirse Ronan: sempre in
ruoli impegnatissimi, sempre in parte, sempre impeccabile. Il suo
personaggio, complesso e articolato, è simbolo di un'intera
generazione, summa dei pregi e dei difetti dell'adolescenza di
oggi: il trucco pesante, la frangia biondo platino, le cuffie
perennemente premute nelle orecchie, l'incomunicabilità con gli
adulti e il cattivo rapporto con la natura, nonostante le infantili e
fasulle pretese di essere una vegetariana convinta. Non sappiamo
quando, non sappiamo perché, ma lei, dall'America, prende un aereo
per l'Inghilterra: che qualcosa non quadra lo comprendiamo
all'istante. Controlli di sicurezza eccessivi agli aeroporti, aeri di
guerra che squarciano il cielo nuvoloso e la pace della brughiera
inglese, servizi ai telegiornali, in sottofondo, che parlano di
attentati e stragi. Non sappiamo quanto sia lontano il futuro in cui
Daisy vive, ma sappiamo che il mondo è in guerra – ancora – e
che tutto fa tanta paura – ancora. Abituata a vivere in città e
abituata a litigare con un padre che non la tiene in considerazione,
la sedicenne si trova in un luogo sospeso, dov'è sempre estate, i
più piccoli portano avanti le faccende di casa e si vive in stretto
contatto con una natura da cartolina. Vive con i due cugini più
piccoli, un loro amico d'infanzia, e con Edmond, il più grande della
famiglia. Gli adulti non ci sono, non più. Lei s'innamora, fa
l'amore sotto le stelle, ride, ignara dell'arrivo imminente della
catastofe. Perché la guerra li separerà, tutti; la guerra la
porterà lontana da Edmond. How I live now è un film molto
personale, dal carattere spiccato e pieno di complessità notevoli.
Il caos nella mente della protagonista è reso in maniera giovanile e
originale e, spesso, i protagonisti, grazie a una fotografia sublime
e cristallina, sono inquadrati in scene visivamente perfette.
Curatissimo sotto questo punto di vista, il film di McDonald sa
essere anche incisivo e brutale, in alcune scene in cui il candore
viene macchiato dal sangue, la brughiera bombarda dal nulla e la
purezza di un giovane amore messa a dura prova dalle mille avversità
della vita. Magnifica e impressionante la sequenza in cui una Ronan
turbata e in lacrime cerca il viso del suo Edmond in una pila di
piccoli cadaveri, in balia degli agenti atmosferici. Mi ha fatto
pensare. E ho pensato un po' a Il canto della rivolta,
soprattutto nel finale, e un po' a Espiazione; un po' a Never
Let me go e un po' al Leone, la Strega e l'Armadio,
perfino. How I live now è la guerra vista dagli occhi di una
ragazza, che impara ad impugnare una pistola, ad essere altruista, a
riflettere prima di parlare. Un romanzo di formazione ricco ed
intimista, che sa di vita vera, mai di fantascienza, con attori
credibilissimi e pieno di scelte sagge. Nel cast, accanto a un Ronan
sempre magistrale, il quattordicenne Tom Holland, con i suoi
occhialetti alla Harry Potter e le sue premure infinite:
piccolo, grande protagonista di The Impossibile. Un pugno al
cuore, che parla di quelle forme d'amore che sanno condurti sempre a
casa. Un film da Giffoni Film Festival, quasi. Interessante su molti
fronti, importante su tutti. Lo farei vedere, nelle scuole, in
occasione della Giornata della Memoria: per vedere qualcosa di
diverso, su una guerra terribile che forse accadrà o forse è già
accaduta troppe volte.
Alcuni
film sai che ti piaceranno. Lo sai a pelle. Anche se hai visto
trailer in cui hai colto appena qualche parolina di sfuggita, anche
se la trama promette poco e niente, anche se sembrano raccontare
storie come tante. Pensavo che The Spectacular Now – con
quel titolo stupendo e quella copertina vaga, comune e bellissima –
fosse tra quelli. Decidermi a vederlo è stato un dramma, però.
Letteralmente: perché The Spectacular Now altro non è che la
trasposizione cinematografica di L'attimo perfetto, di Tim
Tharp. E io volevo aspettare, volevo leggere il libro, ma volevo
tanto guardare, e così tanto, anche il film. Così –
dilemma dopo dilemma – l'ho visto e basta. Purtroppo, pur essendo
nelle mie corde, pur avendo quel ritmo e quello spirito che piacciono
particolarmente a me, non mi è arrivato. L'ho trovato distaccato,
freddo, distante. E ho trovato distante i protagonisti: tra loro, da
me, dalla fresca storia d'amore che stavano vivendo. I personaggi –
tutti liceali – sanno di vecchio, come le fiaschette piene di
liquore che si portano dietro. E Miles Teller, alto e dinoccolato,
nato nel 1987, non ha più l'età e il volto per interpretare un
diciottenne. Accanto a lui, Shailene Woodley, a breve onnipresente
sui nostri schermi: lei, che di anni ne ha ventidue, è appena un po'
più credibile, col suo viso acqua e sapone e ancora punteggiato da
qualche persistente brufolo, ma – come il suo partner – non ha
fascino. I due attori, infatti, per quanto discreti, non hanno quei
volti capaci di bucare lo schermo, e non mi riferisco al loro aspetto
fisico. Non sono due bellezze, vero, ma a me piace vedere la
normalità arrivare nelle produzioni americane. Il difetto è che non
hanno brio, grinta, feeling. Carisma: zero. Sono sfocati, incompleti,
e passano inosservati ed in secondo piano, anche se quello dovrebbe
essere il loro film. Il loro spettacolare adesso. Reggono bene
i tanti dialoghi, risultano buffi nella sequenza che li vede a letto
insieme per la prima volta, ma non suscitano né emozione, né
empatia. Come personaggi secondari, spalle di attori più noti, che
si trovano ad avere, tra le mani, il copione con il ruolo più
ambito. Sfocati loro, sfocati i comprimari: palesemente adulti
nell'aspetto, palesemente fuori posto. La trama è
sottilissima, il ritmo è piuttosto lento, il cast non convince.
Potrebbe risultare carino, magari, ma non mi spiego la media
altissima che vanta su Imdb: 7.5 al pari di grandi commedie
indipendenti di cui quella di questo James Ponsoldt (Smashed) non è
decisamente all'altezza.
Un
film per coloro che vivono avventure più belle nella loro mente che
nella realtà.
Un
film per coloro che, anche a quarantadue anni, si sentono ancora
ragazzi da parete, dentro.
Un film per coloro che, anche se in piena mezz'età, vivono le svolte
di un emotivo e divertente romanzo di formazione. Questo è I
sogni segreti di Walter Mitty. E
io, un po', sono Walter Mitty. E lo siamo tutti, quando lasciamo che
i buoni propositi rimangano propositi e basta; quando facciamo sì
che la paura ci impedisca di partecipare al “gioco”; quando
lasciamo che “Baby sia messa in un angolo” e non mandiamo al
diavolo una canaglia di datore di lavoro, e non diciamo alla ragazza
che ci piace che oggi è uno splendore assoluto, e non prendiamo un
aereo per i confini del mondo e dell'avventura. E' definito “il
nuovo Forrest Gump”, l'ultimo film di e con Ben Stiller, ma non ne
ha la complessità, le sfumature, la storia, i bagagli pieni di
ricordi. Ma, che il paragone sia valido o meno, il remake del Sogni
Proibiti datato 1947
risulta una commedia efficace e funzionale, utile e ottimista, con un
budget da autentico action movie hollywoodiano, scenari mozzafiato da
film d'avventura, misteri da spy story, sorrisi e respiri a pieni
polmoni da rom com.
Con la fantasia si può fare tutto e l'immaginazione può costruire i
migliori paesaggi, articolare gli intrecci più floridi, coreografare
i combattimenti più distruttivi e spettacolari. La fantasia e
l'immaginazione, o la 20th
century fox di Vita di Pi
a produrre e il regista del costoso
Tropic Thunder a
dirigere il tutto. Ho scoperto un Ben Stiller dallo sguardo limpido e
acuto e dalla sensibilità spiccata, lontano – ma non troppo –
dagli strafalcioni dei suoi più noti film comici e vicinissimo,
invece, a qualcosa che ha il sapore della vita vissuta. Simpatico e
romantico, imbranato e con la testa letteralmente tra le nuvole,
interpreta un uomo che, solo quando è troppo tardi, si accorge che è
tempo di cambiare. Che è giunto il momento di diventare protagonista
del romanzo più importante e chiacchierato: la sua vita. Paesaggi
lontani immortalati da una fotografia splendida, vette altissime e
popolate da animali invisibili agli occhi, una misteriosa foto
mancante e la voce di un operatore telefonico, insieme al viso della
sempre adorabile Kristen Wiig, scandiranno le tappe di un viaggio
fisico e spirituale, in cui uno sfuggente Sean Penn gli farà da
guru, la dolce Shirley MacLaine da mamma e l'indimenticabile Space
Oddity di David Bowie da
leitmotiv. Ben Stiller si dimostra un bravo regista e un bravo attore
e il suo ultimo lavoro, così pieno di saggezza, ottimismo, speranza,
grazia, fantasia, è una bella botta di vita. Perché, sì, ogni
tanto ci vuole.
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