Mr Ciak #38: 12 film random (di bel cinema nostrano, horrori, principesse col botox e oggetti non meglio identificati)
Creato il 04 luglio 2014 da Mik_94
Ciao
a tutti, amici! Come state? Io bene. Questa settimana, spinto dalla
noia, mi sono dato ai cambiamenti. Un piccolo tatuaggio sul polso, di
cui non mi pento; una rasata totale dei capelli, di cui invece mi pento. Il post di oggi, incasinatissimo, è
di un incasinato ordine, non trovate? Mr Ciak si annoia e, con gli
esami da preparare lentamente, vede tanti film. Alcuni
brutti, altri belli. I belli arrivano dall'Italia – il fortunato
Song 'e Napule, l'esordio di un regista giovanissimo con
Smetto quando voglio, il ritono di un Ozpetek vecchio stile
che, francamente, a me piace sempre. Se non sbaglio, sono reperibili
tutti in dvd, in questi giorni. Affrettatevi, e senza pregiudizi. Gli altri... Un musical dinamico e divertente che arriva dalla
bella Scozia, le immancabili commediole estive, l'immangabile
horrorino estivo, un horrorino australiano - invece – poco “ino” e a dir
poco notevole, i vulcani esplosivi dei francesi, bellissime
adolescenti pazzoidi, principesse tristi non più bellissime, ma solo tristi. E' vero che questa carrellata non fa
poi così pena? Mi autoconvinco, vi convinco. Penso che in questi
mesi di caldo farò spesso così! Abbraccio. M.
Song 'e Napule: Fantastica sorpresa tutta italiana, che ha fatto timidamente capolino al botteghino, ma che continua a conquistare premi su premi. Non nascondo di amare i mitici registi, i Manetti Bros, dai tempi di Coliandro e qui sono al loro top. Sensibili, spontanei, svegli, ricchi di dignità, in una Napoli a mano armata e... armata di microfono. Tocchi di hard boiled, comicità da bollino verde, un Gomorra in versione neomelodica. Il ritmo è serratissimo, l'immagine che viene data della città più chiacchierata d'Italia è coerente e bella. I napoletani sono come la loro musica. Sguaiati, eccessivi: irresistibili. Di cuore. Istrionico Buccirosso, leggero Alessandro Roja, indimenticabile Giampaolo Morelli. Il suo Lollo Love, che chiama le sue fan “cuoricini”, ha la porta di casa sempre aperta, gli orecchini a entrambe le orecchie, chi se lo scorda. E Morelli, anche scrittore, canta pure molto bene. Sua la voce che intona la canzone del titolo. ★★★ ½
Smetto quando voglio: Noi italiani, questa volta, siamo i più bravi del giro. Chi l'avrebbe mai detto? Altra bella commedia dai giovani registi di casa nostra. L'esordio di Sydney Sibilla è di un'intelligenza rara. Si ride e si pensa in quantità uguali. Il suo Smetto quando voglio – pur con le solite facce dei soliti Edoardo Leo e Valeria Solarino, che ancora una volta sono in parte – è nuovo e vecchio. Il tema non passa mai di moda, purtroppo; l'idea di questi fuorilegge per caso è brillante e classica. Meglio ricercati che ricercatori. Meglio spacciatori che disoccupati? Forse, di simile, avevo preferito Generazione mille euro, ma questo è un altro piccolo prodotto di cui seriamente vantarsi. Ottimo il cast. Spietato il messaggio, ma dosato con tanto tanto brio. ★★★
Ozpetek
è un regista che piace. A me da poco. E se fosse per questo che
Allacciate le cinture mi è proprio piaciuto? Con i suoi
fantasiosi salti indietro e in avanti. Con la sua colonna sonora
eccedente, superflua, comunicativa. I suggestivi piani sequenza e gli
intimi campi e controcampi negli intimi dialoghi tra protagonisti. I
primi piani sulle loro espressioni. Il film è una breve saga
familiare che balla al centro di un binomio classico: amore e morte.
Lo fa con naturalezza e con toni mai patetici. Ai personaggi fissi
della commedia italiana danno vita attori fissi della commedia
italiana. La scommessa era Francesco Arca. E' stato lui a farmi
capire che il regista sa dirigere i suoi attori come Dio comanda.
Arca mi confonde. L'ho visto di sfuggita nel Commissario Rex e
non avevo capito bene chi, tra lui e il pastore tedesco, fosse il
cane della situazione. E invece qui convince: un personaggio ombroso,
taciturno, con uno sguardo timido e i modi rozzi. Lui e una
trattenuta Kasia Smutniak si spingono e si respingono: una
dissolvenza incrociata inserita ad arte li dimostra a distanza di
anni, più freddi e adulti. Passati da una spiaggia segreta in cui
amarsi a una malattia che non avverte. Una malattia che colpisce la
femminilità e che, grazie a un curioso sintagma parallelo, è
svelata mentre Etta James canta At Last e una procace Luisa
Ranieri scuote il generoso seno per strada. I corpi si fanno fragili,
i capelli cadono, i cuori s'ammalano d'anemia pura. Il cancro è
mostrato senza patetismo, con un filo d'umorismo nero che non guasta.
Eppure, la scena d'amore consumata in un letto d'ospedale – mentre
il corpo torno a sentirsi corpo e i seni a essere coperti di baci –
è toccante, molto. Un melò semplice, scrittto da una mano così lieve da sembrare femminile. ★★★
Grace
di Monaco:
Per
una con il viso di cera, la Kidman - la stessa Kidman che in "The
Others", "The Hours" e "Moulin Rouge" aveva
regalato la perfezione - male non se la cava. Il botox non cancella
la classe che c'è stata. Questo però è un film che non funziona.
Perché all'autentica Grace non ci pensi neanche per un momento e la
finzione stenta a reggersi. La macchina da presa ama la Kidman, ma sa
valorizzarla soltanto nei rari momenti d'intimità presenti nel
biopic. I primissimi piani illudono, ricreano una somiglianza che non
c'è. Al centro di sale sfarzose, come indossatrice di abiti d'alta
sartoria, l'attrice si mostra attrice. Con gli zigomi di granito, la
fronte liscissima, il collo da cigno rugoso. Interpreta il ruolo con
quindici anni di ritardo, e la chirurgia imbroglia ma male.
Macchiette involontarie i comprimari e retorici i dialoghi, fino alla
nausea: sembravano sottratti al genio delle Miss Italia. Il
ritratto appare insincero, i toni da fiaba rosa incontrano con
ridicoli effetti il giallo. Un My
Fair Lady con
lezioni di dizione e portamento e sottotrama spionistica. Una regia
retrò che qualcosina di buono fa. ★½
Sunshine
on Leith:
Questa sconosciuta commedia musicale arriva dalla Scozia e parla
attraverso i brani di una band, almeno per me, sconosciuta: i The
Proclaimers. Il film potrebbe arrivare anche a chi il genere non lo
digerisce. I protagonisti si mettono, divertiti e ironici, al centro
di graziosi siparietti musicali e, per qualche minuto, parlano
attraverso una canzone: del fatto che sono felici, perché sono
sopravvissuti a una guerra; del fatto che sono giovani e vogliono
sposarsi; del fatto che, dopo venticinque anni di vita vissuta
insieme, si amano ancora, o forse no. Una commedia corale con
generazioni a confronto, in una magica Edimburgo ravvivata da cori,
armonie, balli che diventano flash mob in piazze colme di turisti
curiosi. Tanta bella musica, tanta bella gente, una Scozia ospitale e
coloratissima. Recuperatelo. Tanto fa bene al cuore. Vi sembrerà giorno anche di sera. Vi sembrerà estate anche in pieno inverno. ★★★
Insieme per forza: Adam
Sandler a me sta simpatico. Almeno, mi stava simpatico. Un tempo.
Quando, da bambino, guardavo Big Daddy, Mr Deeds e ridevo, con la
famiglia in completo, su un divano logoro che abbiamo cambiato lo
scorso Natale. Dopo il volgare Indovina perché
ti odio e le sue grassissime risate, e gli idioti Un weekend da bamboccioni 1 e 2,
torna con una nuova commedia per famiglie. Ancora, accanto
alla collega Drew Barrymore – già con lui in The Wedding
Singer (bellino, con una
colonna sonora pazzesca!) e in 50 volte il primo bacio
(non lo ricordo granchè). Squadra vincente non
si cambia. Questa volta, anche insieme, i due non vincono. Sandler si
autoplagia! Il film è la versione aggiornata di Mia moglie per finta.
Un remake non dichiarato della pellicola del 2011. Qui non siamo alle
Hawaii, ma in Africa. Gli adulti della storia non si piacciono, hanno
figli bizzarri e originali a carico e, guardate un po', tra scenari
mozzafiato vari, scopriranno di amarsi.
Mentre il film precedente offriva belle cosette – la
colonna sonora pazzesca dei Police, cameo illustri, battute
brillanti – questo è minestra riscaldata. Carina la Barrymore, stanco e annoiato Sandler. E ci
credo: fa sempre le stesse cose. Magari, il film, con un protagonista
diverso da lui, pur nella sua banalità, sarebbe risultato un pelino
più interessante. Invece scorre veloce, propone i soliti capitomboli, si chiude col finale buonista che tutti noi immaginiamo. Preferivo il Sandler
“scaricatore di porto”, a questo punto. Note positive: i vispi bimbi del cast e un mitologico Terry Crews. ★★
Tutte
contro lui: Il mio
ragazzo è un bastardo con
la crisi di mezz'età. Scontato, superfluo, ovvio. Tre donne per un solo uomo. Tre donne tradite, prima nemiche e poi amiche. Divertente, ma
solo in quelle poche occasioni in cui risulta anche volgare. Kate
Upton è bella ma non balla. A me, tipo, non piace. Okay che le arrivo alle tette. Sarà sul metro e ottanta... Cameron Diaz dovrebbe denunciare chi le
ha ritoccato gli zigomi, perché sembra uno di quei cricetti grassocci quando ingoiano il cotone. Leslie Mann, nonostante le crisi isteriche
varie e i pianti da psicolabile, è adorabile. E pure bella. Una
delle poche cose decenti di questo filmettino inutile e tipicamente estivo. Bruttino e imperfetto anche il doppiaggio italiano. Ma, con un film simile, ci credo che non si sono impegnati più di tanto. Dirige svogliatamente il buon Cassavetes di The Notebook. Ah, sì. Ci sono anche la Minaj e il suo gigantesco lato B. Paolo Limiti dice che gli americani hanno copiato un suo libro. Paolo Limiti scrive libri?! ★½
Anna
– Mindscape: Thriller
psicologico con un cast internazionale, ma diretto da uno spagnolo.
Una storia fascinosa e accattivante, con un'ottima partenza ma che,
nella parte finale, si scopre meno spietata del previsto. Un giallo
introspettivo e ben fatto, sui ricordi, i giochi della mente, il
legame profondo tra medico e paziente. A volte, i ruoli si invertono.
Regole del transfert, regole di una protagonista candida e seducente
con torbidi segreti di sangue nel passato. Lei è la Taissa Farmiga
di AHS,
padrona del gioco, consapevole, bella. La accompagna
Mark Strong,
nel ruolo di un detective alle prese coi propri demoni. Piuttosto
originale, veloce, divertente, razionale. Non imperdibile, ma
piacevolissimo. Anche se Jaume Collet Serra, dopo il riuscito Orphan,
mi aveva lasciato sperare in qualcosa di più. Il suo nome, sulla
copertina e tra quello dei produttori esecutivi. ★★½
Wolf
Creek 2:
Gli
horror belli - ben scritti, ben recitati – esistono. Sono pochi, ma
esistono. Eccone un esempio, dalla lontana Australia. Indubbiamente,
nel suo genere, è il film più degno di nota in questo fiacco 2014.
Il primo non lo ricordavo affatto. Voi l'avete visto? In caso, non fa
nulla. Partite da questo. Una trama semplicissima, on the road, su
turisti stranieri che incontrano un... cattivo Cicerone. Il cappello
da cowboy, il look alla Crocodile
Dundee.
Mick Taylor è un cattivo come pochi. Iconico, simpaticissimo,
spietato, con i giochi e gli indovinelli di Saw
e
i sorrisi maligni di Krueger. E' sfida senza limiti quella tra il
volpone John Jaratt e il giovane Ryan Corr: bravissimi, veramente.
Gli scenari mozzano il fiato, le uccisioni sono barbare e originali,
il finale ti fa desiderare che horror così siano prodotti più
spesso. Consigliatissimo. E non metterò mai piede in Australia. ★★★★
Le
origini del male:
Su Facebook, qualche settimana fa, scrivevo questo. “Se
non mi addormento prima della fine, vi dico com'è. Per ora la parola
chiave è questa: piattume. Piatta la trama, piatto l'encefalogramma
dei personaggi. Il prof porcellone, la ragazza anni '70 che copia
Brigitte Bardot, un Sam Claflin ottimo... sempre che il suo intento
fosse quello di risultare antipatico, insulso, banale. Dite che non
era quello? Tra Haunting
e The Experiment,
l'inutile fiera del già visto. Salvo solo la Cooke, che mi ricorda
la Christina Ricci degli esordi.” Non mi sono addormentato, ma il
film era brutto assai. Senza redenzione. Ovviamente i nostri distributori non se lo sono lasciati sfuggire. Furbacchioni! Lo trovate al cinema dal 2 Luglio. Ma anche no. Insensato il titolo nostrano, figa la copertina del dvd, che potete vedere sulla sinistra. Sono una persona materiale. (Se il film è tratto da una storia vera, io sono Gesù) ★
Tutta colpa del vulcano: I francesi, per sentito dire, saranno pure persone irritanti, ma le loro commedie romantiche sono carinissime, sempre. Anche quando sono come "Tutta colpa del vulcano": semplici, già viste, ovvie. Questa paradossale versione on the road di La guerra dei Roses, con tocchi di Mamma mia! e di We're the Millers, mi ha fatto fare non poche risate. Forte e contagioso l'affiatamento tra i protagonisti. Un sorriso malizioso e cattivello quello di lei, buono e simpatico Boon. Con lui, di recente, ho visto anche Supercondriaco - Ridere fa bene alla salute. Da evitare: lungo, pesante, noioso. ★★★
C'era
una volta a New York - The Immigrant: Un melò coi fiocchi. Davvero. Una
storia d'altri tempi, un intreccio da romanzo. Una città color
seppia, suggestiva, inospitale, ricca di spunti, in cui perdizione e
speranza s'incontrano. Joaquin Phoenix, come sempre, è garanzia di
bravura senza fine. Una candidatura, non dico una vittoria, sarebbe
quantomeno doverosa. Dopo il malinconico protagonista di Her,
qui è un uomo arcigno, opportunista, severo, ma che in uno
struggente monologo finale svela la sua anima vorticosa allo
spettatore e a lei, l'immigrata del titolo originale. Parla poco, la
barriera linguistica è insuperabile. Il suo desiderio: essere
felice. Glielo rubano, lo svendono, lo mettono all'asta. Marion
Cotillard... Cos'è Marion Cotillard? Riempie un film. Anche dei suoi
tanti silenzi. Sta lì, zitta, in un panorama da film di Giuseppe
Tornatore, come la Fantine dei Miserabili. Ecco perché la
adoro. Comunicativa, assolutamente, anche a bocca chiusa.
★★★★
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