Mr Ciak #41: Anarchia, 22 Jump Street, Chef, The Dreamers e un po' di altre cose (recuperate, riviste, in giacenza)
Creato il 01 agosto 2014 da Mik_94
Ciao,
amici. Primo post del mese di agosto. Cavolo, come abbiamo fatto ad
arrivare al mese di agosto? Rintanati in casa, tra l'altro, perché
il tempo minaccia tempeste un giorno sì e l'altro pure. Io preparo
svogliatamente un altro esame, leggo, guardo film. Ma non
preoccupatevi: parecchi film di questo post risalgono a una vita fa.
Avevo scritto due parole, all'epoca, e lasciarle lì mi sembrava
male. Poi il tempo sarà pessimo anche da voi: e se voleste qualcosa
da vedere? Perciò ecco un'altra carrellata. Al cinema trovate
Anarchia, Chef, 22 Jump Street.
Tra i film rivisti, invece, il
controverso The Dreamers e
il sopravvalutato Shakespeare in love,
a cui ho dato un'occhiata in vista dell'esame di Storia del Teatro
Inglese. Gli altri, molti inediti e molti disponibili anche da noi,
meritavano giusto qualche parolina. E' tutto. Scrivetemi se avete
visto qualcosa, se avete intenzione di vedere qualcosa, quali sono
stati i vostri film della settimana... Quello che volete. Io, su
consiglio di amici blogger come Marco, di Pensieri Cannibali, ho
recuperato qualcosa della filmografia dell'enfant prodige canadese
Xavier Dolan: c'è da parlarne, sicuramente, e magari lo faccio la
prossima volta. Un abbraccio, M.
In
un futuro non precisato, c'è una notte dell'anno in cui puoi
purificarti nel sangue di chi non ti è amico. La notte del
giudizio. E' così che si chiamava un horror uscito lo scorso anno,
con budget limitato e un'idea forte alla base. The Purge
divertiva: un thriller home invasion, con strizzate d'occhio a
Funny Games e uno sfondo distopico. Gli incassi hanno dato
l'input a un seguito, arrivato puntuale e ben voluto. Zitta zitta, in
questa estate piovosa, ma assai arida di film, giunge alle nostre
porte l'Anarchia. Un film d'intrattenimento non male. Slegato
dal primo, sceglie gli spazi aperti e atmosfere alla Mad Max.
Gli attori sono sempre pochi – spicca Frank Grillo – e i
protagonisti dovranno vedersela con le ostilità dell'esterno. Torti
personali, fughe nel cuore della notte: uccidere o essere uccisi.
Meno crudo e anche meno innovativo di quel che appaia – continui i
riferimenti a Carpenter, Kubrick e a saghe come Hunger Games – è una
riflessione cinica e pungente su certi lati della cara America. La
violenza non sta nelle immagini, ma in una tematica che fa porre
domande e stuzzica ombre buie della fantasia. Questo sequel, tutto azione,
aperto al perdono e ai suoi lati positivi, si chiude con un tocco di
bontà poco dannoso. Qualche ricorso di troppo a un deus ex
machina spuntato per botta di culo, qualche filo dell'intreccio
lasciato per conto suo, ingenuità perdonabili. Siamo ad
agosto e già trovare un film discreto, al cinema, è troppo. Per la
perfezione, cercare altrove. Un B movie che nasconde al mondo i suoi
limiti, con adrenalina, sudore e ipotesi di fuoco. (7)
Quando
una chiusa epica segna la fine di un film molto ordinario. Titoli di
coda originali e imperdibili. Molto più di questo sequel, che non è
all'altezza della simpatia del primo. Solita cosa, ma tanta autoironia.
Si parla, tra le righe, dell'inutilità dei seguiti, dei franchising
cinematografici, di alti budget per film discutibili. Se è conscio
dei propri limiti, questo lo rende... meno superfluo? Fa venire
voglia di estate, con le sue feste a cielo aperto e gli eccessi. E qui, da me, piove e tira vento: che amarezza. La
strana coppia Hill-Tatum funziona, ma le gag sono minestra
riscaldata. Sanno anche loro
di essere un po' troppo vecchi, ormai, per il genere. Lo dicono e lo
ribadiscono, in una prima ora e trenta che scorre, ma senza nessi
logici. E' fuffa. Gli ultimi quaranta minuti, i migliori, regalano
sorrisi, trovate impossibili, velocità. I momenti più riusciti sono
i siparietti con Ice Cube. Carino, ma di una comicità che non sempre
coinvolge. Scemo e più scemo con i pistoloni di Bad Boys.
Di 21 Jump Street, visto all'epoca dell'uscita, ho un ricordo
più che positivo. Ma saranno i ricordi che, questa volta, mi ingannano?
Non vi alzate dalle poltrone prima della fine, voi. L'unica cosa, insieme
al buffo colpo di scena, meritevole davvero. (5)
Jon
Favreau – regista di Iron
Man
–
mette faccia, pancia, colesterolo e un cuore di ciccia in Chef,
la sua commedia indipendente. Un film leggero, caloroso e
coinvolgente su un cuoco che, dopo la stroncatura di un cattivissimo
blogger (no, non ero io, ma dovrei informarmi: mangiare gratis ai
ristoranti, gnam!
Tanto il fashion blogger non lo posso fare: sogni infranti...) e una
sfuriata tremenda rimbalzata su tutti i Social del pianeta,
compra un camion rugginoso e, col suo amico di sempre, gira
l'America, vendendo panini e caloriche squisitezze in un viaggio on
the road profumato, intimo e divertente. La sua passione gli ha
portato fianchi larghi, divorzio, un rapporto inesistente col figlio
ancora piccolo, inimicizie, un autentico caratteraccio. La sua
passione, diventata lavoro, non era più tale. Licenziarsi e osare un
po' sarà un gran bel colpo di testa. Venghino, signori: venghino! Il
ristorante ambulante di Favreau apre i battenti e, spendendo poco, si
mangia, si beve e si chiacchiera. Attirati dall'odorino invitante e
non dal frusciare delle banconote, si vedono in giro grandi nomi che
– per amicizia – fanno da sponsor e ci mettono la
faccia. Una sexy e mora Johansson e, al seguito, Hoffman, Downey Jr,
Platt, Bobby Cannavale. Il film, però, è tutto loro: il duo Favreau-Leguizamo è sfavillante, Sofia Vergara incanta e lo
spigliato Emjay Anthony è un bambinetto preoce e curioso, che odia
la birra e fa di Twitter un'impensata arma di successo. Una commedia
familiare su ruote e ai fornelli, che ti prende per la gola e ti
manda cartoline e tweet dagli spettacolari posti che visita. Finito
di vedere in tarda serata avevo anche una certa fame. E uno spuntino
di mezzanotte no? (6,5)
Un
giovane americano, una città straniera, il rifugiarsi tra cinema e
libri. Per fuggire, codardo inguaribile e pacifista convinto, da un
Paese che vuole ragazzi come lui, per spedirli in una guerra lontana.
Mentre fuori impazzano le manifestazioni e il '68 europeo reclama
incontaminati ideali, lui viene coinvolto in un circolo d'anime che è
un lusso per pochi. Isabelle e Theo – fratelli, gemelli, qualcosa
di più – aprono a Matthew le porte della loro reggia e lo lasciano
entrare: in stanze che pulsano di desiderio, libertà sfrenata,
canzoni ispiratrici. L'abc, il Bignami della storia del cinema. Il
cinema che parla di sé. I protagonisti sono appassionati che non si
perdono una proiezione; che – in sala – ci tengono a occupare la
prima fila; che girano liberissimi remake a ogni impresa, movimento,
sguardo. La pellicola, riflessione sui poteri dei registi d'ogni
dove, è la corte di questi tre amanti. Salvaggia. Un gioco della
bottiglia raffinato, turbolento e crudele in cui ci si sfida a fare
cose. Obbligo o verità? In palio, il terzo posto da occupare.
Uno spazio in quella parentesi genetica, in quelle indecorose
affinità elettive: l'onore di essere due gemelli siamesi, più uno.
Il film ha un regista invisibile e uno sguardo lascivo. Anche
attaccarsi alla stessa bottiglia, aggiustarsi il rossetto, soffiarsi
il fumo nella bocca sa essere seducente. Si capisce,
anche se non si vede. Che ci sono i nudi frontali, i ménage à
trois, il sesso ed eppure potrebbe esserci anche altro, tra questi
due bambini dispettosi che trattano il terzo come una bambola. The Dreamers è un intrattenimento d'autore
sospeso e sognante, etereo e lontano dalla realtà, come un dramma
bucolico della Grecia antica. Sa di gioventù senza limiti. Anche se
ambientato tutto in un appartamento. Anche se girato undici anni fa,
da un regista settantenne, con un trio di attori con trenta candeline
spente sull'ultima torta. Si ci sveglia, calati nel reale, e
l'amor(al)e incanto non dura. Bertolucci descrive una fase
della vita da lui sperimentata chissà quando. Gli bastano poesia,
leggerezza e un grande segreto. I ventenni vogliono le stesse cose;
ma non ditelo in giro. Le rivoluzioni culturali e, perché no, anche
una casa sospesa nel tempo da condividere con loro. Un candido
Michael Pitt; un ombroso Louis Garrel; una travolgente Eva Green –
con il nome della prima abitatrice del mondo - nata già donna, con
gli occhi da vergine e il corpo da Venere di Milo. Un sogno erotico
per tutti gli sfiorati da Morfeo. Adulti, non svegliateci. (8)
Film
strapremiato, arrivato al cinema quando io avevo qualcosa come
cinque anni. Visto all'epoca e mai più recuperato. Alcune cose le
ricordavo. La Paltrow che, coi capelli sciolti, volteggiava per
liberarsi della fascia che le comprimeva il seno. Rush bonariamente
torturato nella prima scena. Il film nel film, il teatro nel teatro:
Shakespeare in Love, mentre in scena andava Romeo &
Giulietta. La storia d'amore dietro la tragedia, la realtà
dietro il mito. Realtà? Tutto è farsa anche nel gioiello di
commedia diretto dal sapiente John Madden, ma incanta e tu,
spettatore, credi. Il film, lieve e scenografico, si avvale di un
cast eccellente, di grandi impieghi di masse, di costumi opulenti e
dettagli ricercati. La sceneggiatura, ben cesellata, incastra la
storia d'amore tra William e la ricca Viola e la drammaturgia del
poeta di Stratford: così lei ispira Giulietta; così lei ispira La
dodicesima notte e il sonetto n°18. Diverte, tocca, intrattiene
ad arte. Concilia relax e storia. Ottimo cast, comprimari nobili,
interessanti citazioni da cogliere sparse in giro. Il mistero, piuttosto, sono le
tredici nomination agli Oscar e la vittoria della Paltrow, con un
ruolo poco impegnativo. Quell'anno la concorrenza doveva essere
scarsa, o un film che io ho trovato bellino e poco più è stato
fortemente sopravvalutato. Snobbato dalla critica invece un ottimo e preciso
Fiennes; la Dench – bravissima, per carità - esce mezza volta e si
becca un Oscar. (7)
Interessante
esempio di thriller psicologico dal piovoso Regno Unito. Il
linguaggio delle chat, i pericoli della rete, la paura del terrorismo
nei primissimi anni duemila. Identità in frantumi e giochi di
potere, in una storia di morte e amicizia anche un po' prevedibile,
ma coinvolgente e frenetica. Scenari umidi, trama che mischia dramma
umano e giallo, rapporti strani per adolescenti strani. Spiccano i
due bravi protagonisti, non ancora noti all'epoca. Un bruttino e
gracile Toby Regbo (Reign), uno sfrontato e sicuro Jamie
Blackley (Resta anche domani). Tra Disconnect e Diario
di uno scandalo, una pericolosa e affascinante storia vera. (6,5)
Piacevole
tragicommedia su un tipo burbero e scontroso convinto di avere
novanta minuti di vita a disposizione. Sarà il suo vero destino o un
errore del medico curante? L'uomo più arrabbiato di Brooklyn, come il
titolo dice, ha tanti errori da farsi perdonare, tanta gente da
salutare. Lungo il tragitto, in tempo reale, una giovane dottoressa
addolorata per il suicidio del suo imprevedibile gatto, un figlio che
ha deciso di aprire una scuola di danza, una moglie distantissima, un
"piccolissimo" fratello minore. Non avrà l'originalità
dalla sua, ma il cast è ottimo. Bravissimi Williams e la Kunis,
altrettanto i comprimari. Melissa Leo, Peter Dinklage da Games of thrones, Hamish Linklater - visto già accanto al protagonista in The Crazy
Ones. La morale è la solita, lo sviluppo non è dei più
imprevedibili. Ma fa sorridere, emoziona. Vivi ogni giorno
come fosse l'ultimo, e così sia. (6)
Che
film carino. Molto estivo. Commedia musicale sconosciuta, diretta dal
sempre bravo David MacKenzie (Follia, Perfect Sense). Le
atmosfere di un concertone all'aperto, belle voci, belle facce,
qualche risata. Due musicisti di band rivali, in una notte surreale e movimentata, si trovano ammanettati insieme per capriccio di un misterioso passante. Spalla a spalla, mano nella mano, hanno una manciata di ore, l'arrivo dell'alba, una chitarra e un ritornello da intonare per conoscersi meglio. E scoprire di piacersi. E mandiare al diavolo i loro attuali compagni. Romanticismo e rock 'n roll, una super colonna
sonora. Il mash-up con la Tainded Love di Marilyn Manson - ok, la sua era una cover, ma è l'unica che ricordo - che è già un mio personale must. (6+)
Paulette
è una nonnina dolce e gentile che vive all'ombra del Louvre, in una
Parigi piena di farfalle e fiorellini colorati. No, scherzo! E' una
vedova sarcastica e stronza, che – in una Francia piegata in due
dalla crisi economica – si muove per le strade di periferia come
una barbona senza identità. Vivere con lei non è facile e
sopportarla ancora meno. Finché comincia a farsi bella, a comprare
oggetti al di fuori della sua portata, a riempire la sua famiglia di
regali. Ha messo su una fiorente attività: fa la spacciatrice.
Paulette è un Come ti spaccio la famiglia della terza
età. Un incrocio tra L'erba di Grace e Chocolat. I
suoi punti di forza sono una trama che mescola attualità e farsa e,
soprattutto, una protagonista straordinaria: la settantaquattrenne
Bernadette Lafont. Paulette è stato il suo ultimo film: si è
spenta, purtroppo, nel luglio dell'anno scorso. Quella vecchina bisbetica,
crudele e simpaticissima che ho appena scoperto mi mancherà un
mondo. Divertitevi, guardatelo e – ci scommetto – mancherà
prestissimo anche a voi. (6,5)
Ammetto
le mie colpe: NON ho mai visto OldBoy. Dieci anni dopo, il
remake: massacrato pubblicamente. Non avere un criterio di paragone mi aiuta: ho
scoperto questa storia crudele sequenza dopo sequenza e,
nell'epilogo, sono stato colpito allo stomaco da un atroce colpo di
scena. Tanto bello, tanto cupo, tanto estremo da far stare male. Deve
tutto all'inventiva del film originale, non lo metto in dubbio, ma è solo grazie a Lee se
vedrò quel film che non conoscevo. Il suo è un action movie
classico, elegante, caratterizzato da un voyeurismo malato e
condannato da un intreccio machiavellico a un finale da tragedia.
Mostra un coriaceo e generoso Brolin armato di martello, come il suo
collega orientale, impegnato in un combattimento reso con un maestoso
piano sequenza e in una scena di sesso vista da mille telecamere e da
due occhi diabolici. Con lui, una Elizabeth Olsen delicata e
innocente. (7)
E'
brutto. E' sporco. E' cattivo. E' Machete, ed è tornato al cinema.
Che bisogno c'era? Questo
Machete Kills, per
quanto simpatico, violento ed eccessivo, scoccia. Una stanca copia del
primo, poco ispirata e poco necessaria, innaffiata da sangue a fiumi,
belle pupe e sparatorie alla Rambo. Danny Trejo – 69 anni! -
è un gran simpaticone. Il cast è grande e variegato e, tra
comprimari e semplici comparse, si avvale di attori di tutto
rispetto. Soprattutto, si avvale di attrici... be', non proprio di
tutto rispetto dal punto di vista attoriale, ma che, più scollate e
trasgressive, più crudeli e letali, fanno un baffo a quelle bellone
imbalsamate delle Bond Girl. Rodriguez usa e getta tante belle
fanciulle, facendo di alcune fugaci comparse e di altre
coprotagoniste, tanto belle, quanto stupide. Ma lui e il suo Machete
ci piacciono perché sono così: poco galanti, maschilisti, rozzi,
fisici e poco brillanti. (4)
Potrebbero interessarti anche :