Una casa che ospita quattro generazioni di donne e la voce dell'anziana matriarca che le descrive, incantate davanti alle soap opera in tivù: ora alla ricerca ora del principe azzurro, ora di un piano di riserva. Come in una favola anni novanta. A inorgoglirla, quella nipote bella e intraprendente che è giovane ancora, ma ha un vissuto intenso – due figli piccoli, una doppia ipoteca sulla casa e, ospiti nel seminterrato, un ex marito e un padre tornato all'ovile – e che, sin da bambina, si muoveva in quella cornice di signore e guai con lo spirito dell'inventrice. L'immaginazione fervida e le mani miracolose. L'ultimo film dell'incensato David O'Russell, tornato appositamente per prendere posto a sedere durante la stagione dei premi, con l'immancabile cast di fedelissimi, è una strana commedia che ci racconta la vita e i miracoli di Joy Mangano, casalinga disperata a cui si deve la prodigiosa scoperta della Miracle Mop. Chi? E, soprattutto, cosa? Un incipit interessantissimo, da saga familiare, apre la fiaba a lieto fine di una donna che, dal nulla, si costruisce un nome, una solida notorietà, una pagina su Wikipedia e un biopic sui generis che – con le sue straordinarie presenze – non è sfuggito alla critica e al pubblico. Sebbene, questa volta, il regista non abbia replicato il successo o i calorosi consensi di Il lato positivo, pellicola da me non particolarmente apprezzata. La domanda, spontanea e quantomai ragionevole, è una sola: a chi interessa la fortunata ascesa di questa Joy, lontana parente di Giorgio Mastrota? O'Russell, con toni pimpanti ma discontinui e, a lungo andare, stancanti, firma l'ennesima vicenda sul sogno americano. Una storia piccina, ma dalla morale universalmente valida, con una Lawrence sempre in tiro che tenta di essere abbastanza grande per tutto e tutti. Ma non ha l'età – i rimpianti, la disillusione e i sogni alternativi lasciamoli agli adulti, per favore – e, nel tentativo di riempire i vuoti di comprimari sottotono, mette un'irrealistica grinta nella sua performance, fin troppo carica. Non manca infatti il momento topico in cui la nostra eroina, disperata, impugna un paio di forbici per dare un taglio netto alla chioma – e scoprirsi più figa di prima. E, nella scena finale, eccola lì che marcia, con il vento tra i capelli e gli occhiali da sole; a latitare, giusto una macchina che esplode sullo sfondo. Fa sorridere sotto i baffi, ma involontariamente, il parlare di moci e scope rotanti con toni tanto enfatici e solenni. C'è in ballo la pulizia dei pavimenti, la lotta allo sporco ostinato. La Mangano non ha mica debellato la peste bubbonica, no? Di lodevole, gli scenari natalizi e le punte kitsch degli interni domestici: l'arredamento un po' pacchiano e, nella prima parte, gli incubi e i sogni di Joy in formato telenovela; la scrittura personale di un professionista del campo, che ci parla di televendite, brevetti e casi giudiziari da poco, come se fossero davvero cosa importante. Nella seconda parte, invece, con più adesione ai fatti che ai colori del surreale, Joy diventa una specie di prodottotino Lifetime. Una versione in rosa di La ricerca della felicità, in cui si segue una protagonista sull'onda del successo: da inventrice a presentatrice, fino a ritrovarsi a capo di una discreta impresa indipendente – il tutto, ovvio, senza sconciarsi un singolo boccolo biondo. Come per magia. (5,5)
Una casa che ospita quattro generazioni di donne e la voce dell'anziana matriarca che le descrive, incantate davanti alle soap opera in tivù: ora alla ricerca ora del principe azzurro, ora di un piano di riserva. Come in una favola anni novanta. A inorgoglirla, quella nipote bella e intraprendente che è giovane ancora, ma ha un vissuto intenso – due figli piccoli, una doppia ipoteca sulla casa e, ospiti nel seminterrato, un ex marito e un padre tornato all'ovile – e che, sin da bambina, si muoveva in quella cornice di signore e guai con lo spirito dell'inventrice. L'immaginazione fervida e le mani miracolose. L'ultimo film dell'incensato David O'Russell, tornato appositamente per prendere posto a sedere durante la stagione dei premi, con l'immancabile cast di fedelissimi, è una strana commedia che ci racconta la vita e i miracoli di Joy Mangano, casalinga disperata a cui si deve la prodigiosa scoperta della Miracle Mop. Chi? E, soprattutto, cosa? Un incipit interessantissimo, da saga familiare, apre la fiaba a lieto fine di una donna che, dal nulla, si costruisce un nome, una solida notorietà, una pagina su Wikipedia e un biopic sui generis che – con le sue straordinarie presenze – non è sfuggito alla critica e al pubblico. Sebbene, questa volta, il regista non abbia replicato il successo o i calorosi consensi di Il lato positivo, pellicola da me non particolarmente apprezzata. La domanda, spontanea e quantomai ragionevole, è una sola: a chi interessa la fortunata ascesa di questa Joy, lontana parente di Giorgio Mastrota? O'Russell, con toni pimpanti ma discontinui e, a lungo andare, stancanti, firma l'ennesima vicenda sul sogno americano. Una storia piccina, ma dalla morale universalmente valida, con una Lawrence sempre in tiro che tenta di essere abbastanza grande per tutto e tutti. Ma non ha l'età – i rimpianti, la disillusione e i sogni alternativi lasciamoli agli adulti, per favore – e, nel tentativo di riempire i vuoti di comprimari sottotono, mette un'irrealistica grinta nella sua performance, fin troppo carica. Non manca infatti il momento topico in cui la nostra eroina, disperata, impugna un paio di forbici per dare un taglio netto alla chioma – e scoprirsi più figa di prima. E, nella scena finale, eccola lì che marcia, con il vento tra i capelli e gli occhiali da sole; a latitare, giusto una macchina che esplode sullo sfondo. Fa sorridere sotto i baffi, ma involontariamente, il parlare di moci e scope rotanti con toni tanto enfatici e solenni. C'è in ballo la pulizia dei pavimenti, la lotta allo sporco ostinato. La Mangano non ha mica debellato la peste bubbonica, no? Di lodevole, gli scenari natalizi e le punte kitsch degli interni domestici: l'arredamento un po' pacchiano e, nella prima parte, gli incubi e i sogni di Joy in formato telenovela; la scrittura personale di un professionista del campo, che ci parla di televendite, brevetti e casi giudiziari da poco, come se fossero davvero cosa importante. Nella seconda parte, invece, con più adesione ai fatti che ai colori del surreale, Joy diventa una specie di prodottotino Lifetime. Una versione in rosa di La ricerca della felicità, in cui si segue una protagonista sull'onda del successo: da inventrice a presentatrice, fino a ritrovarsi a capo di una discreta impresa indipendente – il tutto, ovvio, senza sconciarsi un singolo boccolo biondo. Come per magia. (5,5)