Mr. Ciak - And the Oscar goes to: Whiplash, Into the woods, Big Eyes
Creato il 23 gennaio 2015 da Mik_94
Buongiorno,
amici, ed eccoci qui, ad augurarci buon weekend con un nuovo appuntamento
dedicato ai film sulla bocca di tutti per la stagione dei premi. Giovedì
scorso, infatti, sono stati svelati i titoli in lizza per l'Oscar.
Whiplash, pellicola indipendente giunta direttamente dal mio amato Sundance, è stato ripescato a
sorpresa e a sorpresa mi ha conquistato.
Ancora inedito in Italia, proprio come quell'Into the
woods così atteso, che eppure mi ha deluso troppo: il primo uscirà da noi a febbraio, l'altro ad aprile. Ultimo ma non
ultimo, Big Eyes di Tim Burton. Presentissimo ai Golden, ma escluso
dalla competizione maggiore - e non a torto – non convince troppo, ma resta una bella commedia,
con due buoni attori e un regista che c'è e non c'è. Vi saluto,
tornando a un De Bello Gallico che proprio non si vuole fare
tradurre. Un abbraccio.
Caratteristi,
li chiamano. Quegli attori che vedi un po' ovunque, in ruoli minori,
ma di cui non sai neanche il nome. Riconosci la faccia, sì, ma non
ti sei mai preso la briga di cercare come si chiamano. J.K Simmons
per me è il J.J Jameson di Spiderman, il papà di Juno, il nonno o
il marito o lo zio di altri in film che neanche si contano e in cui,
spesso, non ti accorgi che c'è. Un professionista discreto,
onnipresente, per cui la telecamera non ha sempre gli occhi, anche se
la sua presenza, sotto sotto, è importante. Sessantenne, ma con un
vigore da fare invidia a un pischello, ha preso un premio per questo
Whiplash. Il Golden Globe al migliore attore non protagonista.
Il trionfo di qualcuno che stava in disparte, quando era un
fuoriclasse in ogni minimo ruolo. Gli auguro l'Oscar; una rivincita.
Auguro a Whiplash di essere
visto, doppiato, distribuito, perché è una forza della natura. Uno
dei film che parlano di musica – e fatica, e crescita, e rivalsa -
più esaltanti, divertenti, appassionati visti in anni e anni. Ha
conquistato il Sundance, ha conquistato me, si è imposto zitto zitto
tra i titoli in lizza agli Academy: conquisterà anche voi. Il
pensiero, davanti alle lacrime e al sudore, è uno: ma che siamo, in
una scuola militare? Lo si dice per scherzo, ma non ci si allontana
troppo dal vero. Whiplash combatte,
strepita, cade e si rialza pieno di lividi. E' l'equivalente in
musica di quando Rocky, in tuta grigia, corre sotto la neve; del
Sergente Hartman che, indice puntato, ti striglia fino a che non
piangi come una femminuccia; delle strisce nere sotto gli occhi prima
dell'assalto di Rambo. Una scazzottata, una risposta sferzante a
un'umiliazione, un gioco tutto al maschile. La storia è semplice, ma
non importa. Può non andare da nessuna parte, e sicuramente non
segue i binari che uno si aspetta. C'è la ragazza dolce a cui chiedi
di uscire, l'amico competitivo, il saggio finale, ma tutto è
scombinato, capovolto, rovinato. La vita è un grosso, grasso macello
e la musica, a volte, la mette in ordine. Altre volte, mette in
ordine una cosa e smonta te. Quello capita al protagonista, un
batterista di vent'anni che diventa il pupillo – o la vittima? - di
uno spietato, offensivo e brutale direttore d'orchestra. Che sai sin
dalle premesse crede segretamente in lui, ma ha un modo davvero suo
di dimostrarlo. E poi, davanti a quello che succede o che non
succede, non sai più neppure quello: che sarà di loro... Quando la
risposta, da copione, ti appariva eppure così confortante. Punge,
solletica, avvince. Io ero come il protagonista, stessa misantropia,
stessi rapporti con i grandi, stessi parenti, e mi sentivo le mani
tremare. Tremano ancora un po' - contagiate dal talento, dal fuoco,
da un sogno che fa paura ma che invidi, nel profondo di te. La regia
è ipnotica, vertiginosa, senza freni: Damien Chezelle, ti sentiremo
nominare ancora. Il cast è un cerchio che si chiude intorno ai due
protagonisti, mentre sondano i loro limiti e picchiano i piatti della
batteria fino a sanguinare. Teppismo di strada, in un conservatorio
elitario. Il giovane Miles Teller - che ho visto in Divergent,
Quel momento imbarazzante,
Footloose - era un
altro apparentemente destinato al ruolo di reggimoccolo, ma qui
sfoggia una grinta e un'audacia che non solo te lo fanno prendere sul
serio, ma ti fanno riconoscere che è bravissimo. Simmons, una
carogna che non conosce redenzione ma compensa con una serie di
insulti a fantasia, è irresistibile, arcigno, odioso. Il maestro che
ha inflitto bacchettate ai grandi uomini, prima che neanche loro
sapevano di essere grandi. Un guru saggio e lungimirante che se ne
sbatte altamente delle filosofie indiane e che non devi mai guardare
negli occhi. La severità di coloro che, come ribadisce uno stupido
detto, non sanno fare quindi insegnano e un pugno di ottimi
interpreti alle prese con la rivincita della vita. L'adrenalico e
divertente Whiplash è
un Full Metal Jacket su
un pentagramma strappato, che gronda viscido sudore, sangue copioso,
vitale esuberanza. E tutto il resto è jazz. (8)
I desideri muovono il mondo. Ti
portano nelle profondità del bosco. Per procurarti gli incredienti
segreti di un incantesimo; per fuggire via dall'amore; per
raggiungere la casa della nonna malata; per condurti tra le nuvole,
dove vivono i giganti. Metafora della vita, elemento fisso e
ricorrente, il bosco – oscuro, fitto, misterioso – è dove si
intrecciano le vite di protagonisti che, in realtà, già conosciamo.
Abbiamo letto di loro in storie intramontabili, che
finivano sempre come dovevano finire. Gli eroi delle favole, questa
volta, sono un po' diversi. Il Principe Azzurro è un cascamorto che
non crede nelle relazioni, il Lupo Cattivo farebbe meglio a non
fidarsi di Cappuccetto Rosso, Cenerentola è una femminista convinta,
le mogli perfette ogni tanto tradiscono, i padri perfetti non nascono
tali. Originale e coraggiosa la riscrittura dei personaggi che ci
viene proposta: la loro umanità difettosa messa in primo piano, i
loro bisogni terreni sottolineati a dovere, le loro fragili vite che finiscono così, in un battito di ciglia. Uno dei film che più attendevo l'anno vecchio si
rivela, tuttavia, una delle prime delusioni dell'anno nuovo – rimarrà
la maggiore? La Disney a produrre, il Rob Marshall di Chicago a
dirigere: uno che sa il fatto suo. Un regista che,
perfino nel bastonato Nine, ci aveva regalato, tra
canzoni trascinanti e coreografie spettacolari, spunti notevoli. Chi meglio di lui per portare in sala un musical storico,
allora? La vicenda, purtroppo, perde tutta la magia iniziale per arrendersi a
un realismo non voluto. Ho trovato non andasse d'accordo
con il resto e che il risultato finale, dispersivo e un po' grottesco, non
avesse il potere di convincere del tutto né gli adulti, né i
bambini. L'inizio, convenzionale ma incalzante, porta tutte quelle
vite a un bivio: arriva la magia, evocata nei modi più disparati, a stravolgere le carte. La parte centrale, di una stranezza
che non dispiace, rispolvera i dettagli più bizzarri
che la Disney ci ha taciuto, glissando sulle scene risapute –
il ballo, Jack che visita il paese dei giganti, la storia d'amore di
Raperenzolo. La parte finale, di una cupezza e una mestizia non
contemplate, lascia un po' così, per effetti visivi non proprio
ineccepibili, le frettolose ellissi e un senso di amaro dentro. Non
saprei dire, allora, per quale spettatore Into the woods sia
stato realmente pensato. L'amante del genere non troverà i consueti balletti ammiccanti, i ritornelli che restano
impressi, le scene memorabili, una resa colorata e brillante: il
film è dark, orecchiabile ma non troppo. L'amante del film ben
scritto, invece, non potrà sorvolare sui tanti comprimari
abbandonati a sé stessi, ma risconoscerà che, al contrario di
quanto avveniva in Les Miserables,
non si è al cospetto di teatro fotografato. Restano, allora, gli amanti di
quei film corali in cui non c'è un attore stonato o fuori parte:
sotto quel punto di vista, funziona. Il cast sorprende per duttilità e doti canore, e mentre Anna Kendrick e Johnny Depp
danno solo conferma di un'agilità vocale già mostrata, bravi sono Corden, Pine e una luminosa Emily Blunt a cui avrebbe fatto bene il Golden Globe. Il fulcro, però, è
solo e soltanto uno: si chiama Meryl Streep. I colleghi sono qui, e
con qui indico il pavimento; lei è lì, indico il soffitto. Loro sono la brunetta dei Ricchi e Poveri, lei è una rock star. Vola,
strega, ci regala entrate ed uscite di scena memorabili, insieme a una toccante versione di Stay with me: grande e indiscussa mattatrice, si è merita a ragione la
sua diciannovesima candidatura. Meriterebbe un premio, lei, anche per
il ruolo della mamma (“Mamma Meryl, ho un fastidioso prurito
intimo...”) in una pubblicità
sull'igiene personale. Verrebbe da dire, meno male
che c'è lei. Padre di Once upon a time
e simili, solo di facciata questo è l'ennesimo retelling. Positivo, questo;
meno quel senso di indigestione che sembra prevalere sul resto. Non
conoscevo la trama. Mi aspettavo qualcosa di
emozionante, buono... buonista. E invece Into the
woods è un film per gli amanti
del musical più tradizionale, purchè questi ultimi siano anche segretamente allergici al lieto fine. Semmai
il mondo, da qualche parte, ospiti personalità simili. (5)
C'è
sempre attesa da queste parti, quando si tratta di Tim Burton. Uno
che incanta, lui, anche quando dovrebbe fare paura. Dopo
Frankenweenie, uno dei film
animati più intelligenti visti negli ultimi anni, ritorna al cinema
rinnovato e privo degli orpelli, dei merletti, delle atmosfere
gotiche che noi, inguaribili fan, eppure amiamo. Ci accorgiamo che
qualcosa è cambiato, che qualcosa non va. Impossibile dire se abbia
imboccato o meno la poco barocca strada del non ritorno, ma non
penso. Magari era giusto stanco di essere il solito se stesso, come
quando noi, con la voglia matta di una cosa diversa, andiamo dal
parrucchere e diamo un taglio netto alla chioma. Perché così,
questa volta, gli andava di fare. E uno con una carriera tanto lunga,
fortunata, ricca, ogni tanto può permettersi una pellicola diversa.
Né più brutta, né più bella: semplicemente, priva di un marchio
di fabbrica che non ha mai avuto bisogno di nuovo smalto e mai,
penso, ne avrà. Eppure sapete cosa? Per me, non è un male. Poteva
essere meglio, ma poteva anche essere – con una trama che parla di
donne sottomesse dai mariti, ingiustizia, inganno, tribunali – un
melò malinconico, lacrimoso, mesto. Come se ogni biopic dovesse
farci piangere con storie di vite tragiche. Margaret è viva e
vegeta, ha avuto il suo lieto fine e i suoi bambini dagli occhi
grandi sono stati raccontati come in una commedia retrò. Toni
pastello, colori abbaglianti, costumi vintage e acconciature
vaporose, scorrevolezza e una punta di brio che non guasta. Il
matrimonio da incubo con Walter Keane, uomo subdolo e avido, genera
situazioni ora piacevoli, ora violente, anche se manca qualcosa. Big
Eyes è un quadro grazioso ma
senza firma, in cui si procede con ordine, come in un consueto
biopic, ma in modo impersonale, se non fosse per il fidato Elfman e
per un paio di simboliche scene oniriche. Ma, da The
Imitation Game a La
teoria del tutto, sembra che
l'impersonalità stia al biopic, quest'anno, come le storie di vita
vissuta agli Oscar. Si parla di un'artista, e allora potevano esserci
le discutibile stranezze di un Fur,
la bellissima bizzarria di un Frida.
Ci sono dialoghi effervescenti, invece; una Lana Del Rey – nella
colonna sonora – che canta e ti ipnotizza; due professionisti che
convincono senza impegnarsi troppo. Amy Adams, brava al suo solito, è
misurata e dimessa: non indimenticabile, ma spontanea. Non del tutto
meritato il Golden Globe. Cristoph Waltz, attore un tantino
sopravvalutato, sempre alle prese con ruoli che sono la caricatura di
quelli che l'hanno reso celebre, è un lupo cattivo esagerato,
istrionico e divertente, che non prendi davvero sul serio, anche se
il suo siparietto finale – assente il regista, che allora governino
gli attori! - merita parecchio. Big Eyes ha
la stessa grandezza di Big Fish
nel titolo, ma non nei fatti. Il primo rimarrà a tempo indeterminato
nel mio cuore e sul mio header, l'altro – degno di una visione, ma
non proprio di Burton – si farà guardare con la testa leggera e
occhi poco meravigliati. (6+)
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