Mr. Ciak: Southpaw, Città di carta, Cop Car, Love is in the air, Final Girl

Creato il 07 settembre 2015 da Mik_94
Dove finiva Cinderella Man inizia questo Southpaw. Dopo la sfida per la vittoria, una casa in città per una famiglia felice, il riscatto sociale, un inizio difficile e finalmente una specie di pace garantita da una specie di guerra. Billy Hope, il mancino cresciuto tra case famiglia e riformatori, di mestiere fa il pugile. Il suo lieto fine ha un occhio nero e la faccia pesta. Ma la violenza chiama violenza, e quell'apparente epilogo felice si rivela un inizio in bilico. Quando Billy accarezzava l'idea del ritiro, ecco che perde ogni cosa: una faida con un futuro avversario, e tra le braccia gli muore la donna della sua vita. Perde il denaro, la figlia, la fama; Billy Hope perde amore e speranza, ma dovrà ritrovarsi. Se la vita picchia e tu non puoi ricambiare, tocca almeno imparare a schivare i colpi più duri. Southpaw parla di cosa succede quando la grande donna che è dietro un grande uomo va via. Di un campione dei pesi massimi restano allora i cocci e nessun montante farà mai tanto male quanto scoprirsi abbandonato. Il dramma sportivo di Fuqua è la classica americanata sin dalle premesse; è come lo immagini. I valori sani del sogno americano – la famiglia, la ricerca della felicità, la rivalsa – e una trama elementare che, con tanta carne al fuoco, pecca sì di retorica. Ma io che non amo questo cinema, che non sono uno sportivo e lo sport neanche lo seguo, che critico spesso chi ti dice quello che vuoi sentirti dire, al tribolato Southpaw – stroncato dalla critica ufficiale, pieno di guai – male non ho mai voluto. Ho pensato a un The Judge, per la fragilità dei legami di sangue; a un Warrior in cerca d'autore, per legami simili e le tante botte. Questo film però è sceneggiato più alla buona, senza quei dialoghi intensi e i grandi exploit, e non ha colpi proibiti dalla sua. Non aggiunge niente a un genere capace di emozioni e lividi, ma non commette imperdonabili passi falsi. Trama già collaudata, regia consueta, protagonisti ottimi. Un piccolo ruolo per una Rachel McAdams che lascia grandi vuoti; un Forest Whitaker che è una solida spalla; un Jake Gyllenhaal, carico di muscoli e tragedie, in forma smagliante. Un uomo di pietra, dopo che la prova maiuscola in Lo sciacallo lo aveva voluto macilento e bruttissimo, appeso alla volontà delle sue piccole donne. Si è con lui in un angolo del ring mentre insegue il suo sogno, può essercene concesso un altro?, e commuove profondamente con l'immagine di un Rocky tenero e provato che, invano, cerca la sua Adriana nel pubblico in fervore. Quando non la troverà, tu acclamalo più forte. Perché incarna il miracolo delle seconde opportunità, e in persone come lui – che cadono e poi si rialzano - hai sempre confidato. (7)
Tutti i diciottenni hanno avuto la loro Margo. Il sogno erotico, il pensiero fisso. Quella di Quentin ha gli occhi grandi, i capelli lisci, l'aria triste. La fortuna vuole che abiti nella casa di fronte. Dopo un'infanzia insieme ci si è persi di vista però, e adesso non si può fare altro che ammirarla da lontano. Una notte picchia alla tua finestra, ha bisogno di un vecchio complice: ti permette per un attimo di vedere quel che c'è oltre la maschera per poi sparire. Con un invito a osare e una richiesta d'aiuto che suona tanto come vienimi a cercare. Il successo di Colpa delle stelle era stato la fortuna di John Green: l'autore di young adult che all'inizio conoscevo grossomodo solo io, ma che poi era su tutte le bocche e su ogni scaffale. Così era tornato in commercio Città di carta, all'inizio irreperibile, e di lì a un anno sarebbe arrivato il film. Il romanzo, aiuto prezioso nella prima Sessione Estiva della mia vita, mi aveva assicurato ore serene, grandi risate e un senso di benessere duraturo. Con personaggi adorabili, qualche mistero, quella scrittura che dà voce a dialoghi piacevolissimi e a perle di saggezza. Ho seguito i casting, ho dato un'occhiata al trailer, l'ho aspettato ma non troppo. Così era stato con Colpa delle stelle – romanzo che eppure non mi era mai arrivato al cuore - e vedi il film che coccolone, e che amore, era stato. Al cinema, il romanzo per ragazzi che, di questi tempi, mi sollevava dall'ansia e mi portava alla mente gli anni del liceo, risulta carino, scorrevole e senza pretese. Senza drammi e senza grandi amori struggenti. Manca qualche ombra, manca un po' di profondità – tra una pagina e l'altra, i lettori affezionati ricorderanno chicche da tenersi strette – ma si sorride e, tra fughe rocambolesche e una colonna sonora indie rock al bacio, si spiega ai più che Green non è solo lacrime. Anche se, a fine visione, le lacrime strappate a tradimento non si scordano e queste quattro risate in buona compagnia sì. Più difficile risultare incisivi con ironia che commoventi, soprattutto se sei un regista all'esordio ufficiale. Nat Wolff – accompagnato dagli amici esilaranti che ricordavo: uno Stifler in piccolo e il più grande collezionista di Babbi Natale di colore – convince a colpo sicuro. L'esordiente Cara Delevingne – dal fascino speciale, modella nota – è una Margo diversa, meno prosperosa e fatale, ma con il giusto cipiglio. Una ragazza di carta, inarrivabile perché messa su un piedistallo, stanca già di essere mito. (6)
Quando hai dieci anni, l'amicizia è una sfida continua. Chi dice più parolacce, chi si spinge più in là, chi tocca quella macchina ferma al bordo della strada. Ma non ci si limita a toccarla, questa volta: la portiera è aperta, le chiavi sono inserite nell'accensione. Cosa non insegnano ai bambini i videogiochi? Travis, sfacciato, e Harrison, schivo, scorazzano perciò come matti per le vie deserte del Texas, giocando con la radio e curiosando in giro: sul sedile posteriore, fucili e pistole; nel bagagliaio, qualcosa che si muove e chiede aiuto. Hanno rubato, in un pomeriggio di noia, l'auto del poliziotto sbagliato: appartiene allo sceriffo Kretzer – sbirro assassino e senza scrupoli – e farà tutto il possibile per riaverla indietro. Proprio mentre avveniva il furto, infatti, lui si stava sbarazzando dell'ennesimo cadavere nel cuore del bosco. Cop Car ispirava, con una trama alla The Hitcher e la regia del Jon Watts del recente Clown, qui nel fiore delle sue potenzialità. Sin dall'inizio però, con protagonisti più piccoli del previsto e scorci di una polverosa America rurale, si rivela un thriller diverso da qualsiasi mia previsione e un film migliore. Equivalente cinematografico di un romanzo di formazione noir, con le avventure di Mug e figure che sarebbero care ai fratelli Coen, l'ultimo film del promettente Watts – retto da due attori piccoli ma grandi e da un Kevin Bacon dai baffi di rame, in forma dopo la recente cancellazione di The Following – è poco più di un racconto, per dimensioni e semplicità, che intriga con le atmosfere sonnacchiose d'altri tempi, una regia sapiente, l'abilità di mostrare – a volte con la ferocia che già conosciamo, soprattutto in vista di un finale necessario e sanguinoso – l'infanzia come un periodo cruciale e crudele. I bambini sperimentano il brivido della velocità e della paura e si rendono, così, figure di una agrodolce storia alla Ammaniti, a costo di smarrire per sempre retta via, vita e innocenza. A sirene spiegate contro la tragedia, l'acceleratore schiacciato a tavoletta, in una interessantissima produzione che presso un pubblico di nicchia potrebbe diventare, un giorno, un mezzo cult. (7) Volare da New York a Parigi. Un viaggio lungo, lunghissimo. E se come compagno di posto ti capitasse l'antipatia in persona? Peggio: se accanto a te sedesse l'ex che ti ha spezzato il cuore e che, dopo tre anni, non riesci a dimenticare? Due vecchi amanti, rancorosi e ai ferri corti, si incontrano su un volo internazionale. Lei è in procinto di sposarsi, e forse in dolce attesa; lui è il Casanova di sempre. I vuoti d'aria colmeranno i vuoti di memoria, le turbolenze li renderanno vicinissimi. In volo e in flashback, mentre gli altri passeggeri fanno da ascoltatori e amici e familiari da comparsa, ricorderanno quel che li avvicinò e quel che li allontanò. Il classico espediente del melò fa da input a questo Love is in the air: commedia sentimentale alla maniera dei francesi, arrivata con due anni di ritardo. Meno sofisticata del solito, ma divertente e scorrevole, questa nuova, vecchia romcom ha la freschezza e il fascino dei suoi protagonisti – la bellissima Ludivine Sagnier e quel Nicolas Bedos visto qui e lì. Ora appassionati, ora amareggiati, uniti da un buon montaggio che mescola carte e sentimenti con naturale leggerezza. Tutto ciò mentre gli europei che tanto mi piacciono si stanno americanizzando e, a sorpresa, gli americani spiazzano sempre più con toni agrodolci e finali in bilico. Nonostante l'altitudine, in Love is in the air – sì, come la canzone – c'è poco di sospeso e un finale telefonato; ma che volete farci? I prevedibili amori al di là delle alpi – o comunque pensati lì, ma in transito nel cielo blu - mi fanno prevedibilmente tutto un altro effetto. (6,5)
Un gruppo di spietati figli di papà caccia bionde nei boschi. Venti vittime da quando hanno imparato a coltivare l'hobby dell'omicidio, ma adesso hanno adescato la ragazza sbagliata. Un'orfana cresciuta da un assassino professionista metterà finalmente in pratica quello che le hanno insegnato. Final Girl prende il nome da una figura fissa nel cinema dell'orrore: la ragazza indifesa che, scampata a mille sevizie, si rivolta contro il suo stesso carnefice. La ragazza con l'accetta in pugno, nell'esordio alla regia del buon Tyler Shields, è anche uno dei serial killer della trama. Come una Dexter in abito rosso, insegue i suoi cacciatori, corre, picchia forte. Ha un legame curioso con il suo genitore putativo e frequenta caffetterie vintage, dove le ragazze indossano l'abito da ballo e i ragazzi il papillon. La banda alle sua calcagna, invece, è composta da quattro dandy: fischiettano, giocano e nella surreale scena della loro preparazione all'ultima notte di violenza – tra cene con mamme incestuose, danze con l'ascia, incontri d'amore – ricordano alla lontanissima Arancia Meccanica, con la stessa aria sorniona e una inquietante cura per le simmetrie. Final Girl è il film che ti aspetti con il finale che ti aspetti – purtroppo senza sangue, e sbrigativo nell'ultima parte – ma il regista, fotografo di alta moda, crea un'impeccabile confezione retrò e con rimandi alti e espedienti intriganti – il bosco illuminato a giorno, droghe per condurre gli antagonisti in un trip – inserisce una scontata storia di vendetta in una cornice accattivante. Aria vintage, toni favolistici, spazi ristretti, una protagonista che a volte sembra una maliziosa pin up. Nel cast, Wes Bentley – che dopo il boom con American Beauty si è perso - e una Abigail Breslin diversa dal solito. Il capello biondo, qualche chilo in più che la rende sorprendentemente seducente, due occhi di ghiaccio – e non li avevo mai notati – belli da morire. (6)

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :