“Negli scacchi è chiamato Zugzwang: quando l’unica mossa possibile è quella di non muovere”. Il caffè oggi lo fa Giada, tra cinema e realtà
di Giada Di Giovanni
Il colore della maglia che porterai oggi, lo smalto da Kiko, i pomodorini al mercato. Spaghetti o pennette? Il film al cinema, la cassa in cui metterti in fila alla LIDL, la birra per la partita. Corridoio o finestrino? La frase ad effetto, dolce o salato, il caffè lungo o macchiato? Oh, dico a te!
Sì, proprio a te. Eddài che sennò si fa tardi e un’altra giornata passa senza che te ne sia reso conto. Avanti, scegli e non se ne parla più. E poi che sarà mai, sù. In fondo ogni volta che scegli rinunci solo a tutte le alternative possibili, delle volte potenzialmente infinite. Migliori o peggiori non è dato saperlo, ma diverse sì. Diverse sicuro.
La Scelta: croce e delizia. È difficile immaginare qualcosa che ci renda più umani e vulnerabili di fronte alle situazioni che prendono forma in questa ‘piccola’ palla chiamata mondo. Vabè, smalti di Kiko a parte s’intende.. Scrivo perché qualche giorno fa ho visto un film che mi ha riempito di pulci: “Mr Nobody”, un capolavoro dello sceneggiatore e regista belga Jaco Van Dormael, avvincente scoperta. Narrazione al top della sperimentazione, a tratti psichedelica; fotografia, musica e colori da capogiro. Wow. Ora non voglio improvvisarmi critico cinematografico, ci tenevo semplicemente a dire che da amatrice ho vissuto 128 minuti di estasi percettiva, ecco.
La storia racconta di Nemo, un bambino che, all’età di nove anni, viene posto davanti a una scelta molto difficile. I genitori si separano, la madre è diretta dall’altra parte del mondo e il treno è in partenza: in pochi istanti il bambino deve decidere con chi stare, quindi a quale dei suoi genitori rinunciare. Al top della confusione, Nemo – si capirà – sceglie di non scegliere: da lì la genesi di uno straordinario intreccio spazio-temporale di tutte le alternative possibili che, da quel momento in poi, il ragazzo avrebbe potuto trovarsi a vivere, in un crescendo narrativo in cui il confine realtà/immaginazione scompare prima che lo spettatore riesca a rendersene conto. Il tutto per finire col dimostrare che l’assenza di scelta è assenza d’esistenza. Perché scegliendo semplicemente vuoi essere quello che sei.
Ora, lungi da me l’intenzione di spararvi il pippone filosofico che non sarei in grado di gestire a livelli decenti, volevo portare l’attenzione su una particolare, affascinante dimensione della scelta su cui il film ci porta a riflettere: la rinuncia. Etimologicamente, “scelta” equivale ad “elezione”: dinanzi a una serie più o meno limitata di opzioni, ne individuo una che reputo la migliore per me in quel momento. Scegliendo non faccio altro che rifiutare delle alternative, potenzialmente più valide di quella che ho isolato (anche se mi auguro vivamente d’averci azzeccato). Scegliendo faccio i conti con ciò che sono disposto a perdere, magari per sempre. Nel film quest’aspetto è reso bene attraverso l’idea della non-scelta, che in questo contesto assume il valore di “rinuncia alla rinuncia”: un bambino che adora entrambi i genitori si rifiuta di rinunciare a uno di loro. Tuttavia, a un certo punto della fantascientifica e delirante rappresentazione delle alternative possibili, il film ci porta alla pirandelliana conclusione che essere tutto equivale a non essere niente (“Mr Nobody”), e che la scelta è ineluttabile – nella sua contingenza – in quanto affermazione dell’esistenza stessa. E niente, spero sceglierete di guardarvelo ‘sto film.