Mr. Pooh, la storia di un gabbiamo convinto di essere un gatto

Da Gianluca1

Mr. Pooh con uno degli ospiti di casa Grimwood

Il mondo animale non smette di stupire. Recentemente abbiamo sentito parlare di gazzelle allevate dai leoni, criceti che diventano amici di serpenti, ippopotami che "sbranano" coccodrilli. Oggi è la volta di un gabbiano convinto di essere un gatto. Accade in Inghilterra, nel Sussex, dove un laride, scivolato per caso tre anni fa lungo il camino di una casa, s'è ritrovato a far compagnia ad animali coi quali - di solito - non ha minimamente a che fare. I proprietari della dimora - Steve e June Grimwood - l'hanno soccorso e allevato, affiancandolo agli altri tre ospiti della casa: i tre felini Mitzi, Gus ed Henry. Oggi il gabbiano dei Grimwood - battezzato Mr. Pooh - si nutre nella ciotola dei gatti e riposa nella loro cesta. "Penso seriamente che creda di essere un gatto", rivela il signor Grimwood. Presumibilmente il giovane gabbiano deve aver perso i genitori subito dopo la nascita e dunque s'è ritrovato a familiarizzare con i primi compagni che s'è trovato lungo il cammino. Scientificamente il fenomeno prende il nome di "imprinting" (dall'inglese "to imprint", "stampare"), fenomeno in grado di influenzare la struttura stessa del cervello. Ne ha parlato per primo in etologia Konrad Lorenz, naturalista austriaco del Novecento, dopo una lunga esperienza di studio con le oche. Quando nacque l'oca che poi battezzò Martina, si mostrò per primo all'animale, che cominciò a seguirlo ovunque andasse. Lo scienziato ha in pratica dimostrato che, una forma di vita che viene al mondo, considera padre o madre il primo essere o oggetto con cui ha contatti. In particolare, nelle oche, la fase d'imprinting inizia subito dopo la schiusa e si risolve in poche ore. Mentre in animali come i cani e i gatti - che nascono ciechi e immaturi - il fenomeno si protrae per più di quattro mesi. Una nuova corrente scientifica, però, giudica obsoleto il termine imprinting, e preferisce parlare di "socializzazione" per definire un lungo e articolato processo che porta gli animali appena nati a relazionarsi con gli adulti o qualunque altro essere vivente che incontrano. Studi di psicologia e neurologia hanno, in ogni caso, provato a mettere in relazione l'imprinting lorenziano anche all'uomo, benché, di fatto, non sia ancora stato possibile appurare che anche nella nostra specie accada qualcosa di simile a ciò che è avvenuto fra Lorenz e l'ochetta Martina. Qualcosa, comunque, c'è. Il pedagogista René Spitz, per esempio, ritiene che l'imprinting possa rappresentare una lunga fase di apprendimento dei bimbi che parte dalla nascita fino a circa otto mesi: ogni bimbo è in grado di rispondere con un sorriso all'esposizione a un volto umano a partire dai tre mesi di vita; verso i 6-7 mesi comincia a riconoscere il volto della mamma; mentre la paura dell'estraneo sopravviene intorno agli otto mesi, momento in cui può ritenersi conclusa la fase di imprinting.

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