Sia detto per inciso: anche noi grazie al nostro governo ne vediamo delle belle, e se per un attimo accantonassimo l’indignazione civile e la mortificazione della dignità politica, di grasse risate ce ne potremmo far parecchie pure rimanendo in Italia.
Noi, grandi navigatori del patetico, marinai senza vergogna, non riusciamo però nemmeno lontanamente a sfiorare le altisonanti vette di mediocrità libica.
Non c’è niente da fare: nessuno dei nostri riuscirebbe a farla grossa come la dichiarazione di Guerra Santa alla Svizzera. Voglio dire: la Svizzera.
Il paese neutrale per eccellenza oggi si becca la Jihad.
Al di là di tutte le motivazioni più o meno (molto meno) lecite, non si può negare l’aspetto pittoresco della notizia.
D’altra parte, l’idea balzana arriva dal Colonnello che chiama (senza mettersi a ridere) Repubblica una dittatura instaurata con un colpo di stato militare.
Lo stesso che, con quella faccia da errore genetico, organizza in Italia casting per la mussulmana perfetta (orde di mancate veline imbracciano il Corano), pianta una tenda beduina nel mezzo di Roma, spedisce uno dei suoi sventurati eredi a giocare nei nostri stadi.
In nome dei petrodollari, l’Italia stende tappeti rossi, offre lauree honoris causa e apre le sedi istituzionali (con un certo orgoglio fremente) a questo pagliaccio addobbato come un albero di Natale e puzzolente come un cammello butterato.
Accompagnato dalla sua Guardia di Amazzoni (esiste qualcosa di più cinematografico?), è talmente tamarro da far rimpiangere l’abbigliamento e i modi di Ahmadinejad (ed è tutto dire).
Chissà se il riccioluto e unto Muammar ha alle spalle qualche consigliere o sceneggiatore, per saper imbastire show internazionali così scoppiettanti.
Perché se da una parte il nostro gommoso Silvio predilige il delirio biblico (il partito dell’amore, l’esercito del bene, l’unto dal Signore), Muammar simboleggia la pataccata mediorientale pura e dura.
Sono queste le icone, le pessime idolatrie della nostra storia recente (con o senza fanta-revisionismo storico). E io che amo le storie, rimango affascinata e sconcertata, lacerata tra l’indignazione e l’incanto, il suicidio e il racconto.
Tripoli è tutto ciò che ci resta?
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