Ingredienti perfetti che subito suscitano simpatia e strattonano la nostra attenzione. Ingredienti così saporiti che Jeff Nichols trascina un po’ per le lunghe, abusando della nostra pazienza, fino a lasciarli sedimentare in una fanghiglia stagnante che rischia di mangiarseli come implacabili sabbie mobili. Nella parte centrale, quindi, il film un po’ si smarrisce, perde di potenza e di appeal, ma non muore. I passaggi narrativi si fanno prevedibili e didascalici, ma nonostante questo Mud riesce a tenersi a galla per la portata formativa della storia che racconta. Si arriva così ad un finale che, pur con qualche pistolettata da far west di troppo, ci propone il piccolo personaggio principale, Ellis, cresciuto, cambiato, ormai un ometto, che (ri)conosce il disincanto che avvolge la vita di ognuno tra bugie e verità sull’amore e sulle relazioni umane.
Mud, come la sua ambientazione, è un film sabbioso, terroso, torbido, che mette da parte potenziali toni da thriller, preferendo l’attesa, i tempi lunghi, come se sposasse l’evoluzione psico-spirituale di Ellis e il lento panta rei del fiume Mississippi, il quale, come la vita, si porta dietro di tutto, anche tanta immondizia. Sta a noi capire, come ricorda il personaggio interpretato da Michael Shannon, cosa tenere e cosa lasciare andare.
Bravissimi i due piccoli protagonisti, Tye Sheridan (The Tree of Life e Joe) e Jacob Lofland. Intenso e asciutto Matthew McConaughey, lercio e magnetico dietro quel mozzicone di sigaretta sempre acceso e quel sorrisetto da mascalzone.
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