Mumbai è un bel posto, se sei un gastroenterologo (parte 1)

Creato il 02 febbraio 2012 da Loffio

Se dovessi scegliere tra Delhi e Mumbai, le affitterei entrambe all’esercito per testarci le armi battereologiche e andrei a vivere all’inferno. Tuttavia, nella classifica “Posti in cui non vivrei neppure se mi pagassero, ma comunque interessanti”, Mumbai è sicuramente ai primi posti.

Mumbai è il classico esempio di come il mare renda migliore anche il peggiore dei posti, perché senza il mare sarebbe fondamentalmente Delhi con un po’ più di verde. È sporca come Delhi, è caotica come Delhi, c’è quel clima da “oddio adesso qualcuno si fa saltare e muoio” come a Delhi e soprattutto, indovinate un po’, ci sono gli indiani, proprio come a Delhi.

Perché alla fine, il problema grosso, sono sempre loro, gli Indiani.

Non prendetemi per razzista, non sto dicendo che gli Indiani sono gente arretrata come i leghisti o quelli che affittano i macchinoni per fare gli aperitivi, ma ci sono cose che gli riescono bene, come i balli di gruppo, i cibi che ti fanno spruzzare dal culo e le divinità sanguinare, e cose che gli vengono male, come il fare le cose velocemente, scimmiottare i gusti occidentali o dare indicazioni.

Prendiamo ad esempio una cosa semplice come i fazzolettini di carta, se il vostro capo vi dicesse “Vai a comprare tanti fazzolettini di carta” voi cosa fareste? Prenderete il primo taxi, gli direste “portami al supermarket più vicino e aspettami li”, comprereste i tovaglioli di carta e tornereste dal capo.

In India, no, in India voi dite al tassista “portami a un supermercato, o un centro commerciale” e dopo 20 minuti di mancate collisioni vi ritrovate di fronte a palazzone pieno di negozi di vestiti.

Allora uscite, gli dite che non è il posto giusto, lui a gesti vi fa intendere che adesso a capito, vi porta di fronte a un altro palazzone che vende radioline e fa un vago gesto con la mano verso i piani superiori.

Voi salite, vi fate tutti i piani senza trovare un cazzo e vi rassegnate a chiedere ad una guardia, che vi risponde in hindi stretto, indicando il palazzo di fronte.

E a quel punto le orecchie di Ganesha cominciano a sanguinare.

Uscite, tornate dal tassista, gli snocciolate varie catene di supermercati internazionali, così magari capisce, e all’improvviso gli s’illuminano gli occhi, vai tassista, vai, sentitela, non vuoi far sanguinare ancora le orecchie di Ganesha vero?

Altri 20 minuti di clacson, accelerazioni, puzza di sudore misto a spezie e siete in una strada di edifici bassi, in cui fanno bella mostra di sé magliette false, statuine che scopano nelle posizioni del Kamasutra e merde di cane, e mentre voi urlate “Napkins, porcamerda Napkins!” al tassista lui riparte a indicare a caso, tanto da farvi maledire Ghandi per aver liberato un popolo che aveva dannatamente bisogno della precisione britannica.

Decidete comunque di fidarvi un’ultima volta, ma costringete il tassista ad accompagnarvi, tanto anche se gli rubassero il taxi il traffico è tale che potreste raggiungere il ladro a camminando all’indietro, e vi ritrovate a camminare in una viuzza a cui manca solo un insegna luminosa con scritto “Rapina con sgozzamento” a caratteri cubitali.

Fatto qualche passo il tassista vi indica una scaletta, la salite immaginandovi nella prossima edizione di Al-Jazeera e invece di fronte a voi si apre un negozietto tranquillissimo, pieno di articoli usa e getta per la casa.

Comprate tutto senza badare al prezzo, ma dalla faccia del commerciante è probabile che ci abbia guadagnato come se vi avesse venduto foglie d’oro, e risalite sul taxi.

Ci sono volute quasi due ore per trovare dei tovagliolini di carta, sono le sei e devi tornare in fiera per supervisionare il montaggio dello stand.

“Beh dai, per cena dovrei essere a casa pensi”.

“Beh dai, speriamo che l’hotel abbia un ristorante aperto alle due”, penserai qualche ora dopo.

Ma di questo parliamo nella seconda puntata.


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