Muore l'ambasciatore americano in Libia e cresce la tensione tra Obama e Netanyhau

Creato il 12 settembre 2012 da Pfg1971

Sono passati undici anni dal giorno dell’attentato alle Torri Gemelle di New York e proprio quando sembrava che questo ennesimo anniversario stesse passando quasi sotto silenzio, l’attacco al consolato americano di Bengasi in Libia ha riportato all’attenzione del mondo il Medio Oriente e i suoi problemi.

La morte dell’ambasciatore americano nell’ex paese di Gheddafi, Christopher Stevens, primo diplomatico statunitense a rimanere ucciso in oltre 20 anni, è un modo molto triste di ricordare agli occidentali che l’estremismo islamico e il terrorismo di una minoranza di musulmani esaltati è ancora una realtà imprescindibile e che il confine tra la naturale coesistenza Islam-Occidente e il contrasto aperto è sottilissimo ed è facilmente superabile da gruppi terroristici organizzati.

Ma oggi il Medio Oriente non è solo quanto accaduto ieri in Libia e l’altro giorno al Cairo, è anche il crescente contrasto tra Washington e Tel Aviv sul nucleare iraniano.

Anche se le autorità di Teheran continuano a sostenere che le loro attività atomiche hanno natura puramente pacifica e non bellica, come il basso livello di arricchimento dell’uranio farebbe pensare, in Israele, ogni giorno di più, cresce la pressione del governo di Benjamin Netanyhau per un attacco preventivo contro le installazioni nucleari iraniane.

Aumenta di pari passo anche la distanza del governo israeliano da quello americano di Barack Obama.

Sono mesi che la Casa Bianca sostiene che farà di tutto, anche usare la forza, perché l’Iran non acquisisca l’atomica, ma non sembra disposta a dare credito alle continue richieste israeliane di mettere subito in pratica tale assunto per due motivi: in primis perché è convinta che sarebbe meglio lasciare ancora spazio alla mediazione diplomatica e in secondo luogo, Obama e i suoi non pensano che sia opportuno organizzare un attacco militare a due mesi dalle elezioni presidenziali e in un momento in cui gli elettori sembrano mostrare molta più attenzione ai problemi interni dell’economia e del lavoro più che per le avventure in politica estera.

Di qui le tensioni tra i due alleati che domenica scorsa hanno registrato un nuovo picco. Alla dichiarazione di Hillary Clinton che gli Usa non hanno alcuna intenzione di imporre a Teheran una linea rossa, superata la quale scatterebbe in automatico l‘azione militare del Pentagono, ha risposta Netanyhau con una presa di posizione molto dura contro il governo americano.

Il premier si è chiesto cosa si aspettava ancora con l’Iran, che riuscisse a ottenere una bomba nucleare? E poi, rivolto agli Usa, ma senza nominarli, con quale autorità morale coloro che non hanno alcuna intenzione di imporre linee rosse a Teheran vorrebbero invece sottoporre Israele a linee rosse assolutamente vincolanti?

A questo botta e risposta è poi seguito l’equivoco sul supposto veto americano, poi smentito, ad un nuovo vertice Obama-Netanyhau in occasione della loro comune visita a New York in occasione della annuale Assemblea Generale dell’Onu.

Mai si era registrato un così ampio dissenso tra capi di stato di Stati Uniti e Israele come nei rapporti tra Barack Obama e Benjamin Netanyhau e questo malgrado l’attuale amministrazione americana sia stata quella che molto più di altre si sia battuta a favore della sicurezza di Israele attraverso notevoli aiuti economici e tramite la creazione di un vero e proprio scudo anti missile, finanziato dai contribuenti statunitensi.

Anche se Israele sostiene di essere pronta ad attaccare unilateralmente gli impianti nucleari iraniani è però ben consapevole che se lo facesse non risolverebbe molto.

L’unico risultato pratico sarebbe quello di spingere Teheran, se ancora non lo avesse fatto, a imbarcarsi davvero in un progetto nucleare bellico e a farlo scavando imponenti bunker sotterranei difficilmente raggiungibili dalle bombe di Tel Aviv.

Per non parlare poi del discredito dell’intera comunità mondiale a cui andrebbe incontro Israele.

E quindi il vero obiettivo del governo Netanyhau è quello di convincere Washington a imbarcarsi con lui in un attacco preventivo a Teheran in modo da risolvere in via definitiva il problema atomico iraniano.

Proprio la riluttanza dell’alleato americano a farlo è fonte dei continui dissidi che vediamo in queste settimane.

Non è da escludere che le mosse del premier israeliano e le sue assillanti pressioni su Obama siano anche finalizzate ad incidere sul risultato delle stesse elezioni presidenziali americane.

Vista l’amicizia di Netanyhau con Mitt Romney, risalente a quando  lavoravano, negli anni ’70, a Boston nella stessa impresa finanziaria, e la loro vicinanza ideologica, la scelta del premier di alzare il livello dello scontro con Obama potrebbe essere un modo per indurlo sulla difensiva nei confronti dell’opinione pubblica americana e soprattutto dell’elettorato ebraico a tutto vantaggio di Romney. 


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