MUOS: Sicilia, pilastro delle tele-comunicazioni USA?

Creato il 13 marzo 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Il Mobile User Objective System

Tecnicamente il MUOS è una “stazione di telecomunicazioni satellitari” formata da tre antenne di 18,4 metri di diametro e due torri radio alte 149 metri della Marina militare degli Stati Uniti. Il Mobile User Objective System è un sistema ad altissima frequenza (da 300 MHz a 3 GHz) dell’impianto SATCOM al servizio del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti: esso sostituirà il sistema UHF Follow-On (UFO) prima che questo sia dismesso per fornire agli utenti nuove funzionalità e maggiore mobilità, accesso, capacità e qualità del servizio. Destinato principalmente ad utenti mobili (ad esempio: piattaforme aeree e marittime, veicoli di terra e soldati appiedati), il MUOS trasmetterà la voce degli utenti, i dati e le comunicazioni video ed opererà come fornitore globale di servizi cellulari per sostenere ogni militare con le moderne funzionalità della tecnologia cellulare, come ad esempio la condivisione di file multimediali. Il MUOS sarà composto da quattro impianti di stazione a terra (ognuna delle quali serve da supporto ai quattro satelliti attivi) ubicati presso: l’Australian Defence Satellite Communications Station a Kojarena a circa 30 km a est di Geraldton, Australia dell’ovest; il Naval Radio Transmitter Facility (NRTF) a Niscemi; nel Sud-Est della Virginia; presso il Naval Computer and Telecommunications Area Master Station Pacific nelle isole Hawaii1.

L’“Ufficio per il Programma delle Comunicazioni Satellitari” del comitato esecutivo del programma (PEO) per i sistemi spaziali a San Diego è lo sviluppatore a capo del progetto di cui Lockheed Martin è il primo contractor e progettista del satellite del Muos2. Il contratto3 base prevede una capacità operativa iniziale composta da due satelliti con gli elementi associati di controllo a terra. Subappaltatori chiave includono: General Dynamics (Architettura di trasporto terrestre), Boeing (UFO e WCDMA) e Harris (riflettori maglia schierabili). Il lancio in orbita del primo satellite era stato previsto per la fine del 2009 con il raggiungimento della capacità operativa nel 2010. Dopo molti ritardi, il primo satellite del sistema, “MUOS-1”, è stato lanciato nello spazio il 24 febbraio 2012.

Aspetti giuridici sulle basi statunitensi in Italia

Le polemiche sollevate dopo la decisione del governo italiano di concedere l’installazione del MUOS in Sicilia dimostrano quanto sia complicata la questione delle basi statunitensi presenti nel territorio nazionale. Prima di condurre un’indagine meticolosa sulla difficile problematica è bene fare chiarezza, in primo luogo, su alcuni aspetti fondamentali:

  1. il fondamento giuridico delle basi e le condizioni di utilizzo: se la base sia una base comune, e cioè Nato, oppure esclusivamente statunitense;
  2. se la presenza di alcuni tipi di armamenti contravvenga agli obblighi internazionali gravanti sull’Italia.

 
La base militare viene costituita in territorio altrui mediante un trattato che contiene il regime della base stessa e che detta i diritti e gli obblighi dello Stato o dell’organizzazione titolare della base e dello Stato che la ospita. Per quanto riguarda l’Italia, l’accordo è la fonte dei diritti e degli obblighi tanto delle basi sottoposte al regime Nato quanto delle basi Usa. Il Trattato istitutivo della Nato non contiene precise disposizioni per quanto riguarda le basi, ma si fa spesso riferimento a due categorie di disposizioni: l’art. 3 che dispone gli Stati membri a prestarsi mutua assistenza e a mantenere ed accrescere la loro capacità individuale o collettiva di resistere ad un attacco armato4; e l’art. 9, istitutivo del Consiglio atlantico, che è stato talvolta invocato, specialmente in passato, per giustificare l’assunzione di obblighi indipendentemente da un accordo formale stipulato secondo le procedure stabilite dalla nostra Costituzione. Ma dalla cooperazione non discende l’obbligo di concedere una base, il cui fondamento resta un accordo bilaterale. Nell’ordinamento italiano esistono due procedure per la stipulazione degli accordi internazionali: una solenne ed una semplificata.

Sinagra-Bargiacchi: “Nella forma solenne l’espressione del consenso a vincolarsi può risultare da un apposito atto scritto che prende il nome di ratifica (art. 14 della convenzione di Vienna)” – nell’ordinamento italiano l’accordo è sottoposto al Parlamento (art. 80 Cost.), il quale autorizza il presidente della Repubblica alla ratifica (art. 87, 8° comma) mediante una legge ad hoc. “La stipulazione in forma semplificata consiste di due procedure, indicate dagli art. 12 e 13 della convenzione di Vienna: a) la firma; b) lo scambio degli strumenti costituenti il trattato [...]. In linea generale, l’entrata in vigore del trattato coincide, nelle procedure semplificate, con la firma o l’avvenuto scambio degli strumenti”. La L. 11 dicembre 1984 n. 839 prescrive la pubblicazione degli accordi, inclusi quelli in forma semplificata.

Il trattato fondamentale che disciplina lo status delle basi nordamericane in Italia è l’Accordo bilaterale sulle infrastrutture (Bia), stipulato in forma semplificata tra Italia e Stati Uniti il 20 ottobre 1954. Dagli articoli si desume che le basi non solo sono concesse in uso agli Stati Uniti e non godono di alcuna extraterritorialità, ma devono essere usate nell’ambito dell’Alleanza atlantica, a meno di accordi particolari e specifici con il governo italiano. Nel quadro della Nato, le strutture militari dell’organizzazione coesistono accanto a quelle derivanti da accordi bilaterali stipulati dagli Stati Uniti. Talvolta è difficile distinguere se si tratti di una base Nato o di una Usa, poiché può darsi che in quella Nato esistano aree riservate agli Stati Uniti: ad esempio è da classificare tra le infrastrutture comuni la base aerea di Decimomannu in Sardegna, mentre è una base Usa quella di Camp Derby vicina Livorno. I rapporti tra basi Nato e basi Usa si possono desumere dal già citato art. 3 del trattato istitutivo della Nato che concede alle parti di sviluppare le loro capacità di difesa, individualmente e congiuntamente, e a prestarsi reciproca assistenza per sviluppare le loro capacità di legittima difesa individuale e collettiva. Gli Stati Uniti, essendo distanti dal teatro di guerra, si giovano dell’opportunità di usare le basi all’estero per rendere più efficiente la loro partecipazione alla Nato. Occorre inoltre tenere presenti che alcune basi, che sono interamente italiane, possono essere messe a disposizione dell’Alleanza: ad esempio, Taranto è base italiana, ma le navi dell’Alleanza possono ivi rifornirsi ed appoggiarsi. Sono da aggiungere a queste basi, inoltre, i depositi di combustibili e munizionamento a disposizione dei membri dell’Alleanza.

Se la distinzione durante la guerra fredda non è stata significativa perché la presenza nordamericana in Europa coincideva con la missione della Nato, tanto che il comandante delle truppe staunitensi in Europa era lo stesso delle forze della Nato, dopo la fine della guerra fredda e soprattutto dopo l’11 settembre la situazione è cambiata totalmente poiché la Nato ha perso la centralità nel rapporto atlantico, gli europei non si sentono in guerra contro il terrorismo come gli Stati Uniti e Washington ha scelto la strada unilaterale. L’allora ministro della difesa Arturo Parisi ha dichiarato, dinanzi alla Camera dei deputati, il 19 settembre 2006, che esistono otto basi Usa in Italia disciplinate sulla base di accordi bilaterali Italia-Usa. Si tratta delle seguenti:

  1. Aeroporto di Capodichino (attività di supporto navale);
  2. Aeroporto di Aviano, Pordenone (31° stormo e 61° gruppo di supporto regionale);
  3. Camp Derby (Livorno);
  4. la base di Gaeta, Latina;
  5. la Base dell’Isola della Maddalena;
  6. la Stazione navale di Sigonella;
    l’osservatorio di attività solare in San Vito dei Normanni;
    una presenza in Vicenza e Longare.

 
Ma come precisato pocanzi, devono considerarsi basi Usa anche quelle ad uso Nato o di supporto agli Stati Uniti presenti nel nostro paese.

L’altro accordo che disciplina la presenza dei contingenti militari in Italia e l’uso delle basi è il Memorandum d’intesa tra il Ministero della Difesa della Repubblica italiana e il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, relativo alle installazioni/infrastrutture concesse in uso alle forze statunitensi in Italia (c.d. Shell Agreement). Tale accordo è stato concluso il 2 febbraio 1995. Anche in questo caso si tratta di un accordo in forma semplificata, che non fu pubblicato, nonostante la vigenza della L. 839/1984. L’accordo in questione e i relativi annessi furono però resi pubblici nel 1998, dopo la tragedia del Cermis, dall’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema. Ma come si concilia la segretezza degli accordi con le disposizioni della Costituzione? Ronzitti afferma che:

tra i valori garantiti dalla nostra Costituzione sono da ricomprendere la difesa e la sicurezza, cui fanno esplicitamente e implicitamente riferimento gli artt. 11 e 52. Si tratta di valori fondamentali che, tuttavia, non possono nullificare il principio democratico del controllo parlamentare della politica estera del governo. Quindi si potranno tenere segrete le clausole strettamente riservate dell’accordo, ma la sua cornice dovrà essere sottoposta alle normali procedure parlamentari e pubblicata in Gazzetta Ufficiale.5

È ovvio che qualsiasi mutamento dello status della base implica un accordo tra lo Stato detentore e lo Stato concessionario.

La costruzione del MUOS in Sicilia

Da quanto esaminato finora si nota che le operazioni per la costruzione del Muos, nei pressi di Niscemi, sono il frutto di un accordo tra il governo italiano e il governo statunitense. L’accenno a tale intesa, mai reso pubblico dal governo italiano, si evince dall’interrogazione parlamentare n°4-19110 di martedì 18 dicembre 2012 dell’On. Francesco Barbato che, nell’esporre i fatti, parla di un accordo datato 2001 con il governo Berlusconi. Nel 2006 il governo Prodi ratifica l’accordo e impone il rispetto delle normative in materia di inquinamento ambientale ed elettromagnetico dando mandato alla regione siciliana di concedere i relativi nulla-osta. I vertici della base militare di Sigonella inviano la documentazione dell’impianto alla Regione Sicilia il 24 gennaio 2007. Essa è rimasta nei cassetti dell’Assessorato regionale al Territorio e Ambiente sino al 3 aprile 2008, quando fu trasmessa al Comune di Niscemi. Mentre l’Assessorato regionale al Territorio e Ambiente si limita a convocare una “conferenza di servizi”, i funzionari del Comune di Niscemi dopo le opportune verifiche ambientali sul progetto Muos danno un parere contrario alla sua realizzazione. Alla fine di gennaio si costituiscono numerosi comitati anti-MUOS in tutta la Sicilia orientale, perché queste antenne sono considerate «pericolosissime» per la salute degli esseri umani (e viventi in genere: piante e animali), in grado di provocare leucemie, tumori, cataratte e altre malattie che non si è in grado al momento di prevedere.

A tal proposito Massimo Zucchetti, professore ordinario di impianti nucleari del Politecnico di Torino e research-affiliate del Massachusetts Institute of Technology (U.S.A.) e Massimo Coraddu, consulente esterno del Dipartimento di energetica del Politecnico ed ex ricercatore dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), sostengono che “le persone irraggiate accidentalmente potrebbero subire danni gravi ed irreversibili anche per brevi esposizioni”. Inizia così un susseguirsi di manifestazioni ed opposizioni dell’ex sindaco di Niscemi, Giovanni Di Martino, e dei Comuni del Nisseno. Il 28 giugno 2011 dagli uffici del Territorio e Ambiente della Regione siciliana arriva il “sì” definitivo per il proseguimento dei lavori. L’ubicazione della stazione Muos viene spostata come prevedeva il progetto iniziale dalla piana di Catania per la vicinanza alla base militare di Sigonella poiché si teme da un lato il pericolo che le frequenze emesse abbiano effetto di innesco di ordigni militari a detonazione nei confronti delle installazioni esistenti, e dall’altro per i disturbi che essa avrebbe arrecato al traffico aereo di Fontanarossa. A tal proposito si possono già presupporre delle interferenze con il futuro aeroporto di Comiso che mette in discussione le tanto attese prospettive di sviluppo economico e turistico del territorio. Il sistema Muos provocherebbe non solo, quindi, rischi per la salute, ma anche per lo sviluppo economico del territorio.

Posti in essere i fatti del Muos sembra doveroso provare ad analizzare la normativa internazionale in materia ambientale per tracciare un profilo giuridico relativo ai fatti: l’International Court of Justice, in una sentenza dell’8 luglio 1966, ha affermato che la nozione di ambiente comprende oltre che il “living space”, anche la qualità della vita e la salute degli esseri umani e delle generazioni future; l’Unione europea con la direttiva 85/337/CEE nel definire l’oggetto ambiente, da tutelare in sede di impatto ambientale, menziona più fattori: uomo, fauna, flora, suolo, acqua, aria, clima, paesaggio; fra i principi del diritto internazionale, emersi a seguito delle dichiarazioni generali di Stoccolma 1972, Rio 1992, Joannesburg 2002, è sancito l’obbligo di non causare danni, anche ambientali, ad altri Stati, principio affermato ulteriormente nella sentenza Gabcikovo del 1997, anche quando ci si trovi su spazi estranei alla sovranità dello Stato.

Conclusioni

L’esistenza di un accordo tra il governo italiano e il governo statunitense risulta dall’analisi giuridica dei trattati precedentemente firmati dai due Stati. Ciò che resta un tema complesso è il passaggio di competenze venutosi a creare tra lo Stato centrale italiano e la Regione Sicilia, visto che l’art. 117 della Cost. pone la competenza in materia di sicurezza nelle sole mani del governo centrale. Il Muos costituisce una grande sfida per l’intera isola e per i cittadini che, allo stadio attuale, rischiano conseguenze fisiche, il degrado dell’ambiente e, con la eventuale installazione del sistema, di diventare un bersaglio sensibile. C’è da chiedersi se questo sacrificio sia volto non al bene della propria nazione ma alla difesa di un paese terzo.


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