Nell’antica Grecia le Muse, nove divinità figlie di Zeus (Dio della Sapienza) e di Mnemosine (Dea della Memoria), si manifestavano agli uomini sotto la protezione e l’ispirazione di Apollo, Dio della Bellezza. Le Muse rappresentavano la perfezione di tutte le Arti ed il dominio della Conoscenza. Fin dall’antichità il sublime non poteva manifestarsi se non con sapienza filtrata dalla memoria e riconciliata nella bellezza; grazie a ciò, le Muse erano le sole divinità capaci di raggiungere le massime espresioni della divina perfezione e dell’assoluta verità. Le Muse erano entità femminili e, non a caso, ancora oggi l’arte al femminile sembra non rinunciare all’esercizio della memoria, dell’annotazione, della scansione temporale del vissuto, nel mistero degli accadimenti e nel segno dei sentimenti. In molte delle opere presenti nella mostra, la memoria diventa quella materia, altra ed invisibile, capace di far riaffiorare pensieri, immagini, emozioni, identità mai perdute, solo semplicemente in attesa di essere richiamate da dimore lontane. Per le Artiste invitate, senza eccezione, la verità della loro arte, si manifesta nell’evolversi dello sguardo interiore, intento a decodificare e rifondare il proprio assetto esistenziale: lo sguardo dentro o, comunque, mai inutilmente altrove. E’ lo sguardo di colei che non si spaventa di fronte al mistero come in silente accettazione e consapevolezza di farne parte. Quando questo mistero si svela, ogni cosa si ricompone nel divino della bellezza, nell’incanto lieve che ogni verità porta con sé. Spesso la metamorfosi si compie: la dea si manifesta e la donna, essa stessa, diventa Musa in grado di far intravedere scenari d’inedita bellezza.
Roberta Ubaldi, Dorian Rex e Stefania Orrù sono accumunate dallo stesso sforzo di rappresentare l’intima essenza della donna: loro guida la Memoria, quella forma di pre-conoscenza che aiuta, la prima, a riconoscere la forma nell’attimo stesso che la figura emerge e, nell’alchemico uso di acidi e solventi, la metamorfosi fisica ed ancestrale si compie. Per Dorian Rex invece la memoria custodisce profondità dell’essere pervase dal mistero del perenne divenire: dimensioni dell’anima da decodficare e da ricomporre con potenza digitale e lirismo interpretativo. In Stefania Orrù la memoria è invece l’amica narrante, disponibile al suo richiamo di belllezza e mistero: lei traduce per noi e dipinge velando l’incanto. Quando la memoria si scontra con il disagio esistenziale, quando nel viaggio intrapreso, l’orizzonte resta immobile, l’artista si ferma e reclama tempo per dare, alla memoria di sé, il senso di una rinnovata consapevolezza. Ilaria Margutti persegue la bellezza di un corpo riconciliato dalle ossa alla pelle, dal midollo al cuore. Nel tempo lento del ricamo, Ilaria, opera per la ricomposizione della propria pelle come femminile metafora di un’identità curata e rinnovata. Anche Cristina Volpi ricorre alla natura femminile del ricamo ma sceglie le tessiture oniriche della propria psiche inquieta: nelle sue opere, ordine e caos convivono in trame di possibili convivenze. L’esplorazione dello sguardo interiore delle nostre Artiste, nel caso di Roberta Serenari, raggiunge il tempo dell’infanzia ed il mistero dell’innocenza: nostalgia di un Eden perduto, memoria, disagio. Per Tina Sgrò la memoria del proprio vissuto si alimenta di quello altrui: narrazioni, scene di ambienti vissuti da altri, dove oggetti, mobili ed arredi sembrano rassicuranti condivisioni d’identità emozionanti e vicine. Le Muse cantano il mistero ed incorraggiano l’uomo all’immaginazione, a sconfiggere la paura con il sorriso e la poesia: Claudia Giraudo propone scene circensi dove le gabbie della memoria si aprono al surreale e l’immagine fantastica diventa sogno favolistico e liberatorio. La Memoria, in Annalù diventa consapevole riflessione sulla materia e spiritualità delle cose, meditazione attenta sulla natura che genera la vita ed incantato stupore di fronte alla vita quando accoglie l’invisibile e la forma ne diventa testimonianza. Marica Fasoli si spinge oltre: le sue opere manifestano l’ambiguo rapporto fra reale e virtuale; nel suo caso la memoria del vero diventa condizionata percezione visiva di un falso. Nella memoria di altre artiste si cela la consapevolezza di un’identità femminile la cui specifica natura si muove anche dalla rappresentazione dell’incanto che il corpo femmineo naturalmente custodisce. Emila Sirakova, Cristina Iotti, Claudia Leporatti sono muse votate alla bellezza, al paziente declinare di sentimenti e gesti segreti e preziosi: operano con la forza ed il mistero della seduzione visiva.
Le sculture di Paola Staccioli ricordano l’incanto del bimbo nell’integrità di un mondo ancora puro e genuino. Lontano dai misteri, dalle nebbie grigie e tristi del reale. In Martha Pachon, ogni sua opera in ceramica vive del ritmo leggero dei colori pastello, sono la memoria della musica, dell’acqua, del volo.
Stefano Gagliardi
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