La fatina buona dei boschi
Secondo me già depone male il solo fatto che una band dalla carriera ventennale se ne esca con un disco omonimo. Di solito queste cose, nove su dieci, accadono quando le band in questione sono bollite o giù di lì. Non è che adesso voglia farmi prendere pure io dalla irresistibilissima fregola di definire un nuovo teorema… Ma sì, che me frega: dopo il Teorema degli Ulver (buoni i primi, merda tutto il resto) e il Teorema dei Misery Index (non importa quanti dischi farai: se suoni qualcosa a cavallo tra death, grind e brutal, sarà difficile mantenere inalterati gli stessi standard associandoli a genuine innovazioni) ecco a voi il Teorema dei Manegarm, anzi facciamo che si chiama Teorema dei Satyricon, che lo hanno fatto prima e meglio, e che dovrebbe recitare più o meno così: pubblicare un disco omonimo dopo una lunga carriera è da paraculi. Secondo me questa regola si può applicare in moltissimi casi, ma è ovvio che ci siano pure le eccezioni che confermano la regola. Quindi i MANEGARM pensano sia giunto il momento di strizzare l’occhio a Enya e sostituire quell’attitudine birraiola e caciarona, che si aggiungeva all’immaginario nandrolonico degli omini nordici, con una effeminata deriva folkeggiona da ninfe dei boschi incantati e folletti bicuriosi. Månegarm è un disco paraculo che vuole tenere i piedi in due diverse calzature: lo stivale di cuoio del combattente barbarico dal possente membro nerboruto sventra-valchirie e l’infradito del suo figliolo ‘sensibile’ e al passo coi tempi. Di seguito un’altra fatina.