Per i concerti solo sentiti in CD rimando all'ottimo Crossoroads l'annuale guitar festival organizzato da Eric Clapton svoltosi lo scorso annoal Madison Square Garden di New York. Esiste anche la versione in DVD e Blue- Ray che mi dicono ottima ma mi hanno regalato il doppio Cd e godo con questo. La chitarra rock e blues (e anche un po' jazz) in tutte le sue declinazioni, con momenti altissimi (una versione di Green Onions da capogiro, Lay Down Sally mai così avvolgente, Key To Highway con Clapton e KeithRichards, lo scatenato Gary Clark Jr. in una tremenda When My Train Pulls In, i Los Lobos più boogie che mai in Don't Worry Baby, gli Allman con Clapton in Why Does Love Got To Be So Sad di Derek and The Dominos) e altri solo alti ma sempre eccezionali. Un festival galattico per quanto riguarda il rock/blues con un mare di protagonisti, oltre a quelli citati ci sono Keb Mo, Sonny Landreth, Vince Gill, Warren Haynes e Derek Trucks (insieme fanno The Needle and The Damage Done di Neil Young), Robert Cray, Jeff Beck, John Mayer (ottima le sue Queen of California e Don't Let Me Down dei Beatles), Jimmie Vaughan, Albert Lee, Booker T e Steve Cropper e altri ancora, compreso naturalmente lo stesso Eric Clapton impegnato in Tears in Heaven, Lay Down Sally, Gin House Blues, Key to Highway, Sunshine of Your Love e due pezzi di Derek and The Dominos. Più passa il tempo e manolenta si erge come la colonna più luminosa tra i chitarristi del British blues usciti dagli anni '60.
In tutte le classifiche delle riviste altolocate, Mojo, Uncut, Rolling Stone, The Next Day di David Bowie si è piazzato nelle prime posizioni con tanto di recensioni entusiaste. Anche in Italia è stata la medesima cosa, leggo un gran bene un po' ovunque, nei social network e sui giornali. Buon per il Duca bianco. Ho sempre preferito il Principe nero (Lou Reed), che purtroppo ci ha lasciato troppo presto dopo aver sconvolto da solo e coi Velvet il corso della storia del rock. Gli sia lieve la terra e luminoso il cielo (o tiepido l'inferno, più probabile). Del Duca non sono mai stato un grande ammiratore anche se posseggo qualche album ed una antologia, ma non faccio testo visto che reputo Scary Monsters uno dei suoi migliori dischi. Di lui non ho mai amato quegli atteggiamenti snob intellettual-aristocratici e quel sound gelido da Berlino in guerra fredda. E poi negli anni settanta incarnava una decadenza che puzzava un po' di nazismo ai miei occhi, avete presente il film La Caduta degli Dei........personalmente mi sentivo più blouson noir e rock n'roll. Il suo The Next Day,dopo quanto letto, mi incuriosiva anche perché assieme a John Fogerty ( modesto il suo disco di duetti) e Paul McCartney (materia che non tratto) è stato l'unico dei grandi vecchi a sfornare un disco nel 2013. Ma poi mi sono detto, non l'ho mai seguito in 40 anni (il Duca, dico) perché iniziare propri adesso che ne ho più di sessanta, per cui ho lasciato perdere. L'ho ascoltato distrattamente in Spotify e la storia è finita lì. Non insultatemi. Un altro che è finito nelle classifiche "importanti", specie quelle inglesi, è Roy Harper, settantenne nome tutelare dello psycho-folk , che ha avuto nel passato relazioni (artistiche) con Led Zeppelin e Pink Floyd. Il suo The Man & Myth è addirittura venerato come culto e così mi ha indotto, non senza timori, a comprarlo (su Spotify non era disponibile), solleticato anche dalla produzione di Jonathan Wilson, musicista, autore e produttore, che nell'attuale panorama giovanile reputo tra i più interessanti. Certo la storia di Roy Harper è di quelle che fanno retromania e valgono un bella cover story, e poi quelle corna da caprone sulla copertina mi facevano venire in mente i diavoli di Goats Head Soup (altra storia, comunque) quindi mi sono detto, dai Zambo, lascia perdere quelle fottutissime strade americane su cui continui a passare ore della tua vita e fatti un trip nei boschi e nei misteri di Albione, espandi il tuo ascolto cazzo, sii cool e open mind. Conclusione, ho comprato il disco, l'ho ascoltato tre volte con molto impegno e attenzione e poi l'ho rivenduto a metà prezzo ad uno molto più cool di me. Non che sia un brutto disco, intendiamoci, è solo che quel visionario farneticare barocco tra abissi e Dio Pan non fa per me, figlio degli Stones e del Barbera, mistico un giorno al mese e biker sette mesi all'anno. Eppure amo Nick Drake e John Martynma Roy Harper è troppo mitologico per me. Per cui sono subito tornato alle fottutissime strade americane con un blues d'annata aspro e farneticante ma umano e realista (non nel senso monarchico), disordinato ma terreno. Mi sono comprato il vinile, in questi casi, complice anche la copertina, è necessario il padellone, di I Do Not Play No Rock n' Roll di Mississippi Fred Mc Dowell, disco del 1970 oggi ristampato, assolutamente strepitoso. Cazzo (non è una parolaccia, solo un intercalare che ne rafforza il senso) che disco. Un disco che se vi capitasse, per fortuna ed una volta nella vita, di avere a cena da voi Keith Richards, potete metterlo sul giradischi e andare avanti imperterriti tutta la sera con solo quello per colonna sonora, perché se dopo il quarto ascolto faceste gesto di toglierlo dal piatto il buon vecchio Keef vi morsicherebbe le mani. A proposito di Jonathan Wilson il suo Fanfare ha spaccato in due critica e pubblico, chi lo odia e chi lo ama, senza mezze misure. Alla americana, due partiti e stop. Meno male che c'è qualcuno che ancora fa discutere, la discussione è vitale, poi ognuno si tiene il suo punto di vista ma almeno si dialoga, si scambiano opinioni, sperando che non si tramutino in slogan o in cori da stadio. Come la penso a proposito di Fanfare è in un post del mio blog, lo trovo un disco non perfetto ma con molte idee e trovate melodiche, arrangiamenti e fantasia, ricorda un disco che ho amato, Pacific Ocean Blue di Dennis Wilson e ha il potere di riportarmi sul Tamalpais sopra la Baia dove David Crosby concepì il suo meraviglioso If I Could Only Remember My Name. E' magari troppo lungo, 78 minuti,se avessero tolto gli ultimi tre brani sarebbe stato perfetto. Ma va bene anche così, un po' di visioni californiane d'antan li regala eccome e certe prelibate acidità ormai li potete gustare solo con lui e con Chris Robinson Brotherhood, quindi consigliato.
Un mio caro amico architetto e ristoratore che ha due figli a scuola in etàelementare, stanco dei nomi delle teen-boy band che girano in classe tra alunni e maestre, ha iniziato i figli ad una cura Strypes per combattere l'egemonia delleband alla One Direction che girano attorno. Sembra che abbia funzionato, i suoi figli non vanno a dormire se non dopo aver ascoltato Snapshot (vedi blog) . Lo consiglio anche agli adulti sebbene i tipi non siano ancora ventenni.Gli irlandesi Strypesvengono da una provincia povera e depressa e possono contribuire a difendere una gioventù cresciuta nella bambagia dalle porcherie e idiozie e contemporaneamente far felici padri, zii e pure qualche nonno. Col loro disco hanno riportato indietro le lancette dell'orologio al 1965 quando i club inglesi si inebriavano delle gesta primitive di Yardbirds, Stones foruncolosi, i Beatles di Kansas Citye Long Tall Sally, i Kinks di You Really Got Me, mettendoci però il tiro degli Inmates, dei primi Nine Below Zero e di Dr.Feelgood in Stupidity . Devastanti e salutari. Blues, r&b e rock n'roll alla velocità della luce, con l'energia del punk . Forse dietro loro c'è un "disegno superiore" visto che fanno da supporter ai concerti degli incensati brit-poppers Arctic Monkeys ma inserire il loro Snapshot nell'ora di Educazione Musicale delle Scuole Medie può essere un primo passo per salvare i nostri giovani dal peccato. Jamie N' Commons (vedi post) col suo Ep, Rumble and Sway, si rivelauna delle più allettanti promesse nel campo del songwritig rock, ambito che tra fremiti acustici folk e chitarre elettriche conosce un momento di rinascita (Jake Bugg, Israel Nash Gripka, Johnny Flynn, Willy Mason, Slaid Cleaves, Ben Howard, Hayward Williams solo per fare qualche nome). E' inglese ed il suo nuovo Ep mi ha stupito, difficile trovare oggi tantaforza espressiva, grinta e personalità in un semi-esordiente, una voce autorevole che ti arriva dentro senza preavviso e ti scombussola. Ha l'oscurità di un bluesman ma appartiene ad un mondo post-industriale di geometrie spigolose e metalliche. Un uomo in nero tra Johnny Cash, Nick Cave e John Hiatt, di cui riesce ad offrire una sensibile versione di Have A Little Faith. Folk-rock elettrico del XXII secolo il suo, scuro e sincopato, ma non privo di romanticismo. Sentire per credere. Visto il riferimento non si può negare che Push The Sky Away di Nick Cave and The Bad Seeds sia uno dei dischi più belli dell'anno, lo dice uno che non si è mai strappato i capelli per l'australiano, un disco come quelli di una volta, che si continua ad ascoltare per mesi e mesi. Dei concerti di Nick Cave visti, il primo erano ancora gli anni ottanta, quello di quest'anno all'Alcatraz è il mio preferito proprio per i toni non esasperati alla Grinderman, così come prediligo i suoi album più melodici ed introspettivi, tipo Boatman's Calle Murder Balladse ovviamente Push The Sky Away, intimista, elegante, a tratti struggente, perfino delicato nell'usodell'elettronica, eppure profondo ed emozionante. Concerto e album magnifici, un 2013da incorniciare per Nick Cave ed una canzone, Higgs Boson Blues, per il sottoscritto il top del suo show milanese, già scolpita nella storia.
Della serie casi strani della vita, segnalo il ritorno di Sixto Rodriguez (vedi post) folk-pop-rock singer/songwriter prima dimenticato e poi riscoperto grazie ad un rockumentario, Searching For Sugar Man curioso ed eloquente circa gli up and down del rock, tra poco disponibile in DVD anche coi sotto titoli in italiano. Si racconta la sua strana avventura al suono delle sue canzoni migliori, tratte dagli unici due album pubblicati tra il 1970 (Cold Fact) ed il 1971 (Coming From Reality). A marzo sarà in concerto a Milano e Bologna, date andate sold out quattro mesi prima, stranezze paradossali per un artista che per circa trentanni, a parte Sud Africa ed Australia, è stato completamente ignorato e nessuno se l'è filato.
Che per i songwriter, come scritto sopra sia stata una buona annata, lo dimostra l'interesse che ha suscitato il nome Phosphorescent, creazione del cantautore di Athens,Matthew Houck attorno a cui ruotano alcuni turnisti formanti una band. La sua musica è stata definita alternative country indie rock per via di un suono lo-fi e di un uso misurato della lap steel e dell'elettronica, quasi un ossimoro a prima vista. Ed invece Phosphorescent crea una musica intrigante, melodica e modernista al tempo stesso, con ballate che invogliano a sognare quell'America che negli anni settanta era protagonista dei film della New Hollywood ( a tale proposito consiglio l'economicissimo ed informato e approfondito Lost Highway, pamphlet di supplemento al settimanale FilmTV diretto da Mauro Gervasini, uno dei pochi in Italia che capisce come il cinema si accompagni al rock). Si intitola Muchacho il disco di Phosphorescent e la copertina è singolare: un tipo outsider con tanto di barba, baffi, camicia slacciata e cappello da cowboy è i compagnia di quella che appare comeuna dolce prostituta all'interno di un motel di quarta categoria ai bordi di una highway americana. Sembra la scenografia di Reno dello Springsteen di Devils and Dust, ma qui atmosfera e musica sono ridenti, niente smarrimento e sensi di colpa ma sorrisi e complicitàoltre che birre e sesso allegro. Magari non è così ma le copertine hanno il loro potere e questa di Muchacho è proprio un quadretto filmico. Un disco originale, fuori dai canoni con una musica che accontenta sia i frequentatori dell'indie-rocksia i sognatori di un'America da strade perdute. E poi Song for Zula è una canzone che lascia il segno. I limiti per Phosphorescent si riscontrano in concerto, chi lo ha visto alla Salumeria della Musica di Milano qualche mese fa riferisce di uno show poco diverso dal disco, un poco rigido e senza troppo entusiasmo.
Di tutt'altro tenore i lavori di Tony Joe White e della cantante Beth Hart.Adesso che non c'è più JJ Cale (altra triste perdita del 2013) è rimasto solo Tony Joe White a suonare quel blues strascicato, pigro ed ipnotico che è la fotografia di un sud misterioso e arcaico che sta tra Missouri, Mississippi e paludi della Louisiana. TJWè un settantenne che fa dischi regolarmente uno ogni tre anni, tutti uguali, stesse note, stessa atmosfera, stessa voce bassa e monocorde. Uno swamp-blues dolente ed affascinante, una monotonia che è un pregio, un copione che lui ha inventato e molti imitano. Hoodoo non è tanto diverso dagli ultimi che lo hanno preceduto ma la voce sofferente di TJW si fa carico dei dolori e delle ingiustizie subite dalla popolazione della sua Louisiana, tra disastri ambientabili riconducibili alla cinica logica del profitto e sciagure climatiche "divine" quali alluvioni ed uragani. Nonostante ciò Hoodoo infonde un senso di pace e tranquillità nella ineluttabilità degli eventi, un disco sonnolente, sussurrato, estremamente piacevole.
Non ho mai smesso di usare il mio piatto Thorens, ho conservato centinaia di Lp e continuo ad ascoltarli anche se con meno frequenza del lettore Cd, che consente tempi di ascolto più lunghi senza alzarsi dal pc, dalla scrivania e dal divano. Adesso però che impera la musica liquida, ho seguito la tendenza inversa e sono tornato a comprarmi del vinile. L'ho sempre fatto ma riguardava le mie escursioni a Vinilmania, roba vecchia e usata, anni settanta come Different Climate dei Mallard, consigliata band di Los Angeles molto simile ai Little Feat, o recuperi come Mark-Almond, Mick Newbury e Paul Siebel. Adesso però mi sono messo a ricomprare vinile nuovo di 180 grammi. Ho cominciato con i Black Crowes di Before The Frost....Until The Freeze perché era assemblato meglio ed in modo completo rispetto al CD (una parte della quale andava scaricata in rete) e poi ho continuato con il picture disc Blurry Blue Mountain dei Giant Sand,visivamente fantastico, musicalmente splendido, con I do Not Play No Roack n'roll di Mississippi Fred McDowell, con qualche disco di vecchio jazz, sedotto ad esempio dalla copertina di Cool Struttin' di Sonny Clark e da Inside Dave Van Ronk che ho scelto in alternativa alla colonna sonora del film InsideLlewyn Davis dei fratelli Coensullo stesso tema.Per lo più però ascolto vinili che già posseggo, la cosa mi permette dievitare la perniciosa corsa all'ultima ultima edizione deluxe proposta dal mercato o all'ultimo Box Set sbandierato come imprescindibile da critici di manica larga. Molti sono delle esclusive operazioni commerciali basate su una mirata operazione di assemblaggio più che di archivio, naturalmente con un accattivante corredo di foto rare, booklet e trovate grafiche. Sto molto attento a selezionarli, guardando scalette e contenuti, spesso rivado ad ascoltarmi i vinili originali da cui il materiale è stata estratto e mi accontento così, non c'è bisogno di avere qualche outtakes che valgono come il due di picche a scopa d'assi . E' la fortuna di avere tanti vinili e di aver iniziato a comprarli negli anni sessanta. Va da sé che bisogna essere anziani e ciò non è una fortuna.Nella lista dei Box Set del 2013 ci metto innanzitutto il Fisherman's Box di sei CD ( vedi blog) degli Waterboys, esaltante all'ascolto, economico all'acquisto, il quadruploBrothers and Sistersdegli Allman già fuori catalogo, con l'inclusione di una inedita I'm Gonna Move To The Outskirts che da sola vale mezzo cofanetto e altri due CD con una delle prime uscite live della band con Chuck Leavell e Lamar Williams nella line up. Allman diversi da quelli di Duane al Fillmore East ma altrettanto superlativi e coinvolgenti. Non ho comprato il cofanetto su Duane Allman perché il materiale più allettante che contiene è già disponibile in altri CDe nemmenoil Live at The Academy of Music 1971 di The Band perché troppe ripetizioni di stesse canzoni, mentre ho ceduto alla tentazione di acquistare il doppio (non quadruplo) CD rimasterizzato di Moondance diVan Morrison. Lo stesso autore dice di "non riconoscerlo" , forse per questo contiene delle perle nel disco degli inediti come le alternative take di Come Running e Crazy Love, come la outtake Nobody Knows You When You're Down and Out nota nelle versioni di Bessie Smith e Derek and The Dominos e soprattutto come i dieci minuti deliranti di I've Been Working, un funky sensuale alla James Brown (ooops, alla Van Morrison) che abbatte ogni barriera tra musica bianca e nera. Dal punto di vista tecnico la rimasterizzazione ha tenuto i volumi troppo bassi, bisogna alzarli per una resa migliore.
Curioso è l'ennesimo, il millesimo?, concerto dei Grateful Dead , Sunshine Daydream ovvero estate del 1972 in Oregon in mezzo ai boschi e senza polizia, tantomeno hell's angels. Il concerto, tre CD, è all'altezza delle loro cose migliori, con una stratosferica e acidissima Dark Star di 31 minuti ma eccezionale il DVD, filmato pressoché amatoriale in sintonia con i free festival dell'era. Difatti, dopo che i volunteers hanno montato il palco nel verde delle foreste dell' Oregon, sotto un sole cocente, (Veneta è la località), i Dead iniziano a planare nel cosmo coi loro strumenti attaccando in sequenza Promised Land, China Cat Sunflower, I Know You Rider e Jack Straw, gli astanti si mettono a ballare. In meno di un'ora sono praticamente tutti "fatti" e la maggior parte nudi. Tranne i Dead (forse) che sembrano compiti nel loro acid rock, qui psichedelico come non mai. L'espressione di un'epoca felice, una season of loveprotratta negli anni. Era il 72 e la stagione dell'amore era stata ufficialmente chiusa cinque anni prima. In campo più soffice e sobrio ( ma era stranoto il loro smodato consumo di cocaina mentre lo registrarono) vale la pena la ristampa in tre CD (originale, outtakes ottime ed estratti del Rumours World Tour del 77) di Rumours dei Fleetwood Mac, un disco ai confini del pop, elegante ed intrigante come una bella donna borghese dal fascino discreto e misterioso. Steve Nicks poteva esserla al tempo, anche se i suoi veli, i suoi cappelli, i suoi abiti zingareschi, le sue acconciature, la rendevano troppo fatalona e hippie-chic per essere veramente tale. Rumours è uno dei simboli del rock californiano degli anni settanta, un soft-rock godereccio e raffinato e Stevie Nicks una magnifica vocalist, sentire la sua Dreams è una delle gioie della vita, canzone che ha sedotto anche quell'arruffato di Ryan Adams che con gli Whiskeytown ne faceva una rockata versione ai tempi di Strangers Almanac, la cui edizione deluxe uscita nel 2008 è assolutamente da recuperare.
Mi fermo qui, qualcosa avrò sicuramente dimenticato, degli italiani ho parlato in diversi blog durante l'anno, scusate se sono stato prolisso ma il Barbera mi ha preso la mano. Buon Anno e tanta serenità.
MAURO ZAMBELLINI 27 dicembre 2013