MY DYING BRIDE – Feel the Misery (Peaceville)

Creato il 02 novembre 2015 da Cicciorusso

Come ogni anno arriva l’autunno e cadono le foglie; arrivano le prime piogge e le foglie si accumulano sul Lungotevere ai bordi dei marciapiedi; come ogni anno nessuno le raccoglie; le foglie otturano i tombini e le prime piogge diventano sempre più intense; tutto si trasforma in melma e la melma intasa la città, facendola lentamente sprofondare nel proprio guano. Le persone, flosce e derelitte, si trascinano in mezzo a questo guano e faticano a tornare a casa dopo una giornata di lavoro. Roma, quando arriva l’autunno, diventa improvvisamente una città triste; ti intristisce sempre vederla più derelitta dell’anno precedente, così abbandonata a sé stessa, così laida e misera; percepisci questa miseria nell’aria e nelle facce della gente. Sarebbe anche normale, è l’autunno, è la stagione triste per definizione, ma è peggio. Con l’autunno, puntualmente arriva il nuovo disco/EP dei My Dying Bride che ci aiuta sempre a contestualizzare meglio tutto ciò, la miseria umana in cui viviamo, non solo l’indigenza di alcuni ma proprio la meschinità autodistruttiva intrinseca alla maggior parte delle persone, che straborda fuori insieme al guano della città, sempre più arrabbiate e stupide, che litigano per un parcheggio, un semaforo o un altro squallido motivo. Senti la negatività nell’aria. Come ogni anno mi prendo un lungo periodo per ascoltare e assimilare il nuovo disco/EP dei My Dying Bride e mi faccio trascinare in questa pesantezza d’animo e mi sento ogni anno più vecchio. Questo è l’obiettivo degli inglesi, farci sentire più vicini alla morte e allo squallore che ci circonda. I My Dying Bride, da oltre vent’anni, scandiscono il nostro tempo che passa. 

Feel the Misery. Non c’è molto altro da dire. L’album inizia con un brano cimiteriale in memoria della morte del padre del cantante e prosegue con To Shiver In Empty Halls che è uno dei dieci pezzi più intensi mai scritti dai MDB; dura una decina di minuti ma vorresti non finisse mai e termina con una cantilena che fa precisamente così: For those of you, who exist/ I lay for you, three numbers six/ Over the hill and under the ground/ Sing as you like, there is no sound. A parte A Cold New Curse, il resto dell’album non mi ha convinto. Musicalmente molto più carico di atmosfere gothic rispetto alla recentissima produzione, dunque, per me un pelino meno interessante, ma sempre negativo, deprimente e definitivo. Rispetto alla line up, c’è da segnalare l’uscita di Glencross, il chitarrista di The Dreadful Hours, per capirci, e attuale membro dei Vallenfyre, e il ritorno di Robertshaw, il primissimo chitarrista della band.

Oggi piove, la gente litiga, la stupidità dilaga e la città si allaga; scrivo queste parole solo ai fini della catarsi rituale; devo liberarmi dalla coltre negativa e togliermi dalla testa quella cantilena che non mi abbandona. Over the hill and under the ground/ Sing as you like, there is no sound. (Charles)