Pensare è MALE, ma pensare la sera è PEGGIO, è come scoperchiare un tombino la cui puzza non ti farà prendere sonno.
Praticamente, un lettore di Eurogamer mi ha chiesto “ma te, per fare sta bella vita da critico di videogiochi e sparare sentenze, che background hai? Pensi di essere adeguato?”
E sinceramente a questa storia del background del critico e dell’adeguatezza non ci avevo mica mai pensato. Ma proprio mai.
Henlein diceva che il critico è un individuo che odia allo stesso modo tutti gli individui creativi, e per questo motivo è in grado di giudicarli. Io non so se sono un buon critico, ma di sicuro so che non odio tutti allo stesso modo, anzi la cosa che mi risulta più difficile è contenere i miei eccessi, sia in positivo che in negativo, credo sia la parte più difficile per chi deve giudicare le cose altrui.
Ma ormai i famigerati 15 minuti di celebrità sono stati sostituiti con i 15 lettori, ed io a questo piccolo pubblico ci tengo, sia a quei pochi bischeri che leggono queste pagine, sia alla folla molto più corposa che legge e commenta i miei pezzi su Eurogamer, quindi quando scrivo tento sempre di mettere qualcosa di me, qualcosa di personale, come se stessi consigliando l’ennesimo amico che mi chiede se è meglio comprare l’Xbox 360 o la Ps3.
Mi è capitato nel corso del mio lavoro di innamorarmi fin troppo di un titolo e di pestarne troppo duro un altro. E a meno che tu non abbia assolutamente ragione, c’è sempre qualcuno che dice la sua. Nel primo caso a riprenderti di solito è il capo, perché un eccessivo entusiasmo può essere erroneamente scambiato per corruzione o servilismo, nel secondo sono i PR ad incazzarsi, perché le brutte recensioni non piacciono a nessuno. Ma in entrambi i casi è il pubblico il giudice più severo, e proprio dal pubblico mi è arrivata questa domanda sul background.
Non che me ne freghi un cazzo se alla gente non vanno bene i miei giudizi, beninteso, perché se cominci a dare giudizi in base a ciò che vogliono gli altri è finita, come dicono gli inglesi “Don’t blame the player, blame the game”, ma comunque ci ho pensato.
E a pensarci troppo mi sono reso conto che non so che brackground ho, non so neppure se ho un background, sono tanti pezzi messi lì, la mia personalissima strada di mattoni dorati, che mi hanno portato dove sono adesso.
Ricordo che sono sempre stato dal lato geek della strada, quello imbarazzante, dove sei sempre a spiegare le magliette e la gente ti guarda strano, o non ti guarda proprio.
Non vi dico che è stato piacevole, anzi spesso non lo è stato per niente, ma ormai è andata così.
Ricordo mio padre è gli interminabili pomeriggi passati con lui davanti alla televisione, nel vano tentativo di farmi piacere la Formula 1, sempre lui che mi traduce i primi cartoni animati di superman in inglese o che mi indica la radio e dice “questo è Eric Clapton”. Ma sopratutto di quando mi passa l’Atari 2600 o quando, anni dopo, mi crea i dischi d’avvio per giocare a Dune 2 o Dark Forces.
Ricordo mia madre che mi voleva portare al mare il pomeriggio, mentre io volevo andare in sala giochi o quando, più grande, scuoteva la testa perché stavo sui manuali Cyberpunk e non in spiaggia. La ricordo prestarmi l’aspirapolvere per crearmi lo zaino protonico dei Ghostbuster, o quando mi fece fare una torta fatta a computer per il mio compleanno.
Ricordo i pomeriggi e le sere a casa di mio cugino a leggere Zzap, che mi portò a leggere TGM, K, Giochi per il mio computer ed ogni rivista possibile.
Ricordo l’esercizio di pazienza di caricare un gioco del Commodore con la cassetta, ricordo quando per poco non svenni quando mio padre comprò l’Amiga e sembrava che la grafica non potesse andare oltre.
Ricordo lo smacco del vicino di casa che ebbe il gameboy prima di me, ma anche il trionfo di finirgli Super Mario Bros in faccia.
Ricordo gente a scuola che trovava la propria tribù: metallari, discotecari, fattoni, punk, ed io che giravo con una maglietta di Alien, e non che questo abbia aiutato la mia vita sociale, soprattutto con l’altro sesso. Ricordo la media del nove nei temi e la media del tre nei compiti di matematica. Ricordo di aver passato ore su ogni gioco possibile, senza però eleggerne mai uno a mio preferito.
Ora che ci penso questa filosofia mi ha sempre accompagnato, non sono mai stato dentro nessuna moda, nessuna scena, non sono mai stato un cazzo, mai definito, e mi piace così. Una serie di pezzi buttati li senza logica.
Solo il rugby, forse, ha spezzato questo bushido.
Ho pensato a tutto questo, e sono arrivato alla conclusione che va bene così, se sono arrivato qui vuol dire che il “background”, o qualunque cosa sia, va bene così, perché quando scrivo io sento che è quello che devo fare, perché “Critici si nasce, artisti si diventa, pubblico si muore”.