Myanmar: Aung San Suu Kiy vince le elezioni di medio termine

Creato il 05 aprile 2012 da Yleniacitino @yleniacitino

da ragionpolitica.it

Chi l’avrebbe mai detto che uno Stato come il Myanmar, più conosciuto come Birmania, potesse diventare il simulacro presente del successo di una donna, paladina dei diritti umani, prima bistrattata, imprigionata, torturata e, poi, acclamata dal suo popolo. Aung San Suu Kiy, premio Nobel per la pace, ce l’ha fatta. Potendo finalmente prendere parte alle elezioni di medio termine del Parlamento birmano (45 seggi vacanti da coprire), la Lega Nazionale per la Democrazia, storico partito di opposizione di cui Suu Kyi è leader, ha conquistato ben 40 seggi.

Una svolta memorabile per un Paese che dal 1962 è governato da una pesante dittatura militare.Un maxischermo installato fuori dalla sede del partito ha proiettato in diretta i risultati parziali dello spoglio delle schede, facendo saltare di gioia quella folla che non credeva ai propri occhi. Non ci credeva, perché la LND aveva boicottato per protesta le elezioni precedenti e ufficialmente non era sulla scena politica dal 1990, anno in cui si erano tenute le prime «elezioni libere». Proprio allora, infatti, il partito della Suu Kyi aveva conquistato uno sbalorditivo 80% di seggi, poi illegittimamente mantenuti dai militari al potere. Certo, i 40 seggi di oggi, su un totale di 1160, sono briciole.

Suu Kyi difficilmente potrà influenzare un Parlamento in cui il 25% dei membri è nominato (sic!) dalla classe militare. Ma se si considerano solo i numeri per i quali si è tenuta la competizione elettorale, la soglia di rappresentatività ottenuta dalla LND è del 91% dei votanti. Suu Kyi non può che gioirsi di questo risultato, ma deve anche tenere in considerazione un rischio. Dopo le pesanti ripercussioni della Rivoluzione dello Zafferano, guidata dai monaci buddhisti, il governo birmano ha iniziato un processo di ripensamento delle proprie modalità di gestione del potere. La cattiva reputazione che si era fatto negli ambienti diplomatici era, infatti, sfociata in una serie di misure sanzionatorie e in un pericoloso isolamento, deleterio su un’economia già fiaccata dal sovrappopolamento e dai danni enormi provocati dal ciclone Nargys del 2008. Così, in quello stesso anno si era dato il via alle prime riforme: un referendum aveva, infatti, promesso delle leggi che avrebbero fatto rifiorire la democrazia. Ogni illusione sfumò, poi, quando l’unica cosa che si portò a termine fu l’inserimento nel nome ufficiale dello Stato della parolina magica «Repubblica». Ma la forma non era sufficiente ad incidere sulla sostanza. Tant’è che le elezioni del 2010 ricevettero unanime censura dalle Nazioni Unite e dai paesi occidentali, in quanto elezioni-farsa in cui il partito spalleggiato dai militari aveva ottenuto il 77% dei voti. Le riforme erano, poi, continuate nel segno del cambiamento del sistema economico in senso più liberale. L’ultimo grande passo è coinciso con la liberazione della nemica principale da parte dei suoi detrattori: Aung San Suu Kyi. Ma di prigionieri politici ce ne sono ancora troppi e le insurrezioni locali vengono comunque represse duramente.

Il rischio è, dunque, che l’attenzione venga dirottata verso una finta guarigione del Paese, per nascondere alle nazioni con cui si vorrebbe riprendere a fare affari ciò che continua ad accadere sotto la superficie. L’esito di questa strategia è facilmente intuibile: cedendo solo 40 seggi all’opposizione, l’establishment militare birmano potrebbe ottenere il riconoscimento della legittimità del suo governo, oltre che un allentamento delle pressioni economiche e degli embarghi. Tutto, allora, è rimesso nelle mani di una donna, una leader che ha saputo resistere agli oltraggi e alle diffamazioni gratuite, e che, oggi più che mai, dovrà difendere negli opachi palazzi istituzionali i diritti di quegli individui che continuano a subire intollerabili violazioni.


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :