Pensare e rivedere questo film per me è sempre un duro colpo. Innanzitutto perché l'ho visto in un periodo molto delicato della mia vita [che per questione di privacy e allegria generale, non vi enuncerò], e soprattutto perché mi ha insegnato che non sempre il libro è superiore al film. Senza togliere nulla a quel geniale scrittore che è Dennis Lehane, uno dei thrilleristi più originali e intelligenti in cui mi sia mai capitato di imbattermi, ma questo film è un qualcosa di indescrivibile. Zio Clint questa volta mette a tacere tutti coloro che affibbiavano la sua capacità espressiva al proprio cappello e dimostra di essere un regista geniale e, cosa rara, indispensabile alla settima arte. E per quanto sia vero che si sia imbolsito non poco negli ultimi tempi, per questa e altre pellicola non gli si può che essere grati. A me è riuscita a cambiare la vita, mi ha insegnato quali sono gli ingredienti per imbastire delle trame memorabili e dei personaggi indimenticabili. Sinceramente, credo che sia uno di quei film che tutti dovrebbero aver visto almeno una volta nella vita, un film che andrebbe fatto vedere nelle scuole per insegnare qual'è il buon gusto e chi sono i veri autori.
Negli anni Sessanta dei bambini giocano a hockey in un vicolo, fino a che una macchina non si ferma davanti a loro. Ne scendono due uomini che dicono di essere dei federali, e decidono di portare con loro uno dei tre. In realtà sono dei pedofili, e il ragazzino per alcune settimane è costretto a subire i peggiori trattamenti, finché non riesce a fuggire. Passano gli anni, e i tre ragazzini crescono. Quello catturato dai pedofili cresce e si fa una famiglia, mentre degli altri due uno diventa un poliziotto e l'altro un commerciante (dopo una vita di delinquenza). Quando la figlia di quest'ultimo rimane uccisa, il 'ragazzo fuggito dai lupi' diventa il primo sospettato, e si scatena una serie di eventi dal peggior esito...
Che il film mi sia piaciuto moltissimo credo sia capibile già dal primo paragrafetto. Diciamo che in una mia ideale top ten questo se la combatte a piè pari con un altro lavoro del grande Clint Eastwood, ovvero Gran Torino. Due film ottimi che però sono tali ognuno a loro modo, e pur essendo ambedue dei film drammatici diretti dallo stesso regista, finiscono per essere, nonostante tutto, totalmente differenti. Ma così che rende questo film un capolavoro? Tutto va a ricercarsi nella versione cartacea originale. Dennis Lehane non è solo un ottimo giallista, è un grande autore, quello del thriller è solo un'etichetta auto impostasi perché è il genere narrativo che gli riesce meglio. Guardiamo Woody Allen, ha fatto per decadi lo stesso film, ma era proprio il modo di ripetere magari gli stessi concetti sempre in maniera diversa che lo ha reso un genio - e qui ricordo che ci sono diversi tipi di genialità. Ma soprattutto, Lehane ha capito una cosa fondamentale: il genere deve essere solo un contorno alla cosa più importante di tutti, ovvero il messaggio e l'evoluzione psicologica dei personaggi, che andrà di pari passo con quella del lettore o dello spettatore. Quindi posso avere degli ottimi romanzi fantasy o drammatici o horror, quel che conta è cosa essi sappiano trasmettermi in base alle regole appena elencate. Il libro La morte non dimentica era un romanzo bello tosto ma, nonostante tutti i suoi grandi temi ed i personaggi magnificamente descritti, possiede un certe statico dinamismo [!] che per certi versi si confà più alle versione su celluloide che su quella su carta. Tutto sta anche nella potenza delle immagini, che diventa invariata anche se non descritta ma direttamente mostrata (vediamo quella nella gallery qua sotto dove Sean Penn mette il vestito sul cadavere della figlia) oppure in certe scene particolarmente macabre o pensati (la pedofilia) che grazie alle immagini vengono non esplicitate bensì suggerite, senza però che la tensione abbia mai un calo o smetta di tenerti strette le budella in una morsa. Seguono poi dei personaggi canonici e ottimamente descritti, ognuno un pilastro del tipo di uomo che si vuole demolire. Da una parte abbiamo il poliziotto, un uomo cresciuto seguendo delle regole e dei principi saldi; dall'altra l'ex galeotto che si ritrova a dover riabbracciare un modo di vivere che aveva abbandonato, costretto dalla sete di vendetta; e infine c'è anche la vittima per eccellenza, una persona che dalla vita è stata schiacciata e che la vita stessa mette sempre su un percorso incerto e mai chiaro, che verrà svelato fino alla fine come le regole del genere vogliono. Questi personaggi segnano l'apologo di un film che in genere parla della vita, soffermandosi però su un aspetto fondamentale: la perdita dell'innocenza. Innocenza che può essere smarrita tramite azioni peccaminose, o pure dopo essere stati proiettati davanti alle prove più ardue e crudeli, ma alla fine solo chi riesce a riemergere dalle acque di questo fiume di sofferenza [a mio parere non è un caso che il titolo originale sia quello di un fiume] può dirsi veramente vincente... sempre che abbia il tempo di poter godere di questa sua beatitudine. La regia di Eastwood per ribadire questi concetti e rappresentare delle scene che in mano di altri saprebbero potute diventare solo una fiera dello shock compie dei guizzi semplici ma altamente efficaci, senza perdersi in manierismi non richietsi, come solo i grandi maestri sanno fare. Si ha quindi una pellicola fantastica supportata dalla performance di tre grandi attori: Tim Robbins, Kevin Bacon e Sean Penn, dei mostri di bravura al servizio di tre personaggi non facili ma ai quali hanno dato piena e gloriosa giustizia.
Un classico moderno, un capolavoro. Immergetevi nelle acque di questo fiume, prima che straripi e vi inondi con tutta la sua furia.