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Nagorno, Iran e Siria: i punti caldi del Vicino Oriente secondo A. Dugin

Creato il 04 aprile 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
Nagorno, Iran e Siria: i punti caldi del Vicino Oriente secondo A. Dugin

Riportiamo di seguito la traduzione dell’intervista realizzata da “Day.Az” lo scorso 29 marzo al professore Aleksandr Dugin, geopolitologo molto noto in Russia.

 
“Day.Az”: Recentemente il Gruppo di Minsk dell’OSCE ha festeggiato il 20° anniversario della sua missione d’intermediazione. Come valuta l’attività del Gruppo di Minsk nel passato?

Aleksandr Dugin: Mi sembra che in passato non ci siano state grandi occasioni diplomatiche, tali da cambiare la situazione che si è sviluppata nell’ambito della questione per la risoluzione del conflitto armeno-azero. Durante questi 20 anni la diplomazia non ha potuto cambiare nulla in maniera radicale, in forza del fatto che questo obiettivo non è strategicamente favorevole. Tramite gli sforzi diplomatici esiste comunque l’opportunità di poter fare qualcosa, ma solo se basati su metodi diplomatici: in tal caso sarà possibile influenzare il corso generale degli eventi.
Nel contempo, esistono oggi buone probabilità che un cambiamento dello status quo, nella questione del Karabakh, sia realizzabile qualora si sviluppino determinati processi geopolitici nella regione.
D’altra parte, l’attività del Gruppo di Minsk dell’OSCE, sebbene operi in un contesto diplomatico, a volte, è indubbiamente necessaria. Tuttavia, ai nostri giorni, è ancora difficile determinare quanto sia un bene, o quanto sia un male questa sua struttura operativa.

Nel mese di maggio, in Armenia si terranno le elezioni parlamentari. Alla luce degli attuali eventi politici in questo Paese, quale sarà il più probabile assetto delle forze dopo le elezioni legislative dello Stato armeno?

In questo caso non mi aspetto dei seri cambiamenti, poiché la situazione politica in Armenia è “congelata”. Il sistema politico di questo Paese si trova in una “camicia di forza”, per tale motivo la sua situazione interna è abbastanza prevedibile, è statica. Fino ad oggi, non vedo i presupposti per un “cambiamento rivoluzionario” nella struttura della élite politica armena.

Il fatto più probabile è che le elezioni avranno luogo sotto l’egida di un costituito status quo. Il processo delle elezioni si svilupperà secondo uno “scenario inerziale”. In generale, affinché nel Paese cambino alcune realtà, sarebbe auspicabile una trasformazione della sua politica estera ed economica. Ma tutto ciò, per il momento, non è ancora contemplato nelle azioni ufficiali di Yerevan.

Nel mese di marzo l’Iran, anche se precedentemente contrario, ha dichiarato il suo consenso alle ispezioni internazionali nel complesso militare di Parkin. Teheran ha dimostrato tale docilità perché teme un attacco militare?

Penso che sia qualcosa di situazionale. L’Iran, fino ad ora, ha sempre difeso duramente la propria posizione sulla questione nucleare. A sua volta, Teheran gestisce le dinamiche politiche dei negoziati con l’AIEA e con l’Occidente secondo la propria strategia. In linea di principio il governo iraniano, con grande successo, continua a “perdere tempo”. Un mutamento sostanziale della politica in Iran sarà possibile solo in presenza di cambiamenti radicali nei rapporti di forza all’interno della sua società, ma tutto ciò è ancora poco probabile.

Un altro “punto caldo” in Medio Oriente continua ad essere la Siria. È possibile prevedere una prolungata guerra civile in questo paese, anche nel caso che Bashar al-Assad dovesse lasciare il suo posto?

Beh! prima di tutto, è evidente che la posizione del capo del governo siriano nel suo confronto con l’opposizione armata è molto stabile. Detto questo, è ancora presto per dare per finito Bashar al-Assad. Per ciò che concerne lo schieramento antigovernativo, in realtà, è diviso tra le cosiddette “forze patriottiche” contrarie alle interferenze straniere nella creazione di una nuova Siria, e i gruppi a favore del Qatar e dell’Arabia Saudita. Per questa ragione, indubbiamente, nell’opposizione siriana esistono diverse opinioni riguardo a ciò che sta accadendo sia all’interno del Paese che al di fuori dei suoi confini.
Comunque, secondo la mia convinzione personale, nonostante il fatto che spesso si prefiguri a Bashar al-Assad la stessa sorte di Muammar Gheddafi, la situazione in Siria è decisamente più stabile rispetto alla condizione della Libia durante la sua guerra civile. Bashar al-Assad controlla abbastanza saldamente la maggior parte del governo siriano.

Oggi si parla molto di “democratizzare” il Medio Oriente. Alcuni esperti esprimono perplessità per come questa retorica sembri entusiasmare uno Stato come l’Arabia Saudita…

Tutto questo va percepito nel contesto della famigerata politica del “doppio standard”. La situazione è veramente più che comica, direi, persino da barzelletta. Ha fatto sorridere ascoltare le dichiarazioni dell’Arabia Saudita sulla “democratizzazione della Siria”. Lo Stato saudita in nessun modo può essere considerato la cittadella della democrazia nella regione del Medio Oriente. Altra questione sarebbe se, ad esempio, fosse la Turchia a fare simili discorsi, e comunque in tal caso parleremmo di uno Stato laico.

(Traduzione dal russo di Eliseo Bertolasi)


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