Testi di Manolo Manco & Il Messicano
Il postulato è che i Napalm Death siano leggende del metal estremo e non abbiano mai sbagliato nulla. La recensione potrebbe chiudersi qui, con l’implicito invito ad acquistare questo nuovo lavoro, intitolato Apex Predator- Easy Meat, già dal titolo in linea con l’orientamento politico che la band ha avuto fin dagli esordi. Ma anche solo il concept merita qualche riga in più di approfondimento, non fosse altro perché ruota intorno alle storture del sistema economico contemporaneo e diventa urgente in un periodo di “giunte economico-militari di stalinisti dell’economia” (e non di economisti stalinisti, sia chiaro), per citare il filosofo. Concept politico, dicevo. Ma non noiosi slogan come in un album dei RATM. No, si tratta di una dissezione chirurgica dell’abominio prodotto dai rapporti di produzione a livello mondiale. Ricordate la copertina di Scum, raffigurante un manipolo di uomini benvestiti sulla via della trasformazione in zombie, con alle spalle un angelo della morte, su un terreno di teschi con nomi di multinazionali sparsi qua e là? L’immagine mentale che mi ha sempre creato la musica dei Napalm Death è quella di una grossa voragine che si apre in quell’ossario, inghiottendo i potenti. Il nuovo album non fa eccezione.
No, i dischi non cambiano la realtà. Ma l’arte scuote la singola coscienza quando dipinge in maniera lacerante e brutale ciò che ci circonda. Dear Slum Landlord, Stunt your Growth o Metaphorically screw you, già dal titolo, non lasciano spazio a interpretazioni. Assalti alla diligenza di geometrica potenza all’interno dell’apparente caos grind (in verità i pezzi sono tutti molto ben strutturati e riconoscibili), filtrato da una certa classe distanziante i Napalm Death dai numerosi epigoni che affrontano gli stessi temi, senza però analoga capacità di rappresentare liricamente le pieghe sottili della critica (anche raffinata, nella misura in cui si concentra anche sulle conseguenze psicologiche a livello individuale delle ingiustizie prodotte dal capitalismo assoluto) e senza soprattutto la padronanza di uno suono che è Napalm Death al 100%, miscela solidissima di grindcore, death metal, hardcore punk e momenti oscuri di influenza Swans, trademark che la band ha affinato da quel lontano 1987. Nonostante tutte le sperimentazioni e le progressioni del caso, la loro musica è sempre riconoscibile: loro insegnano e dominano, i cloni arrancano centinaia di metri dietro. La voce del 45enne Greenway è prodigiosa, il lavoro di batteria risulta impeccabile nell’alternanza di blastbeat, tupatupa e momenti cadenzati, il riffing segue strutture proprie dell’hardcore , anche quando suona death metal. La produzione di Russ Russel consente di distinguere ogni sottigliezza delle partiture, senza scadere nell’iperproduzione. La “carne facile”, contenuta nella vaschetta rappresentata in copertina, realizzata dal danese Frode Sylthe (già al lavoro con At The Gates e The Haunted), è pronta per essere servita cruda agli squali della Troika. (Manolo Manco)
Tutto questo per dire che con questo Apex Predator – Easy meat si riprendono. Non ci voleva molto, ok, ma è un disco almeno decente. Comunque mi fa un po’ incazzare pure questo, fondamentalmente perché nel recente passato hanno fatto album con i controcoglioni, mentre questo è soltanto appena sufficiente. Pure qui ci dobbiamo sorbire le parti melodiche, in almeno tre o quattro pezzi, del radical chic Greenway, che più passa il tempo e più prende le sembianze fisiche dello scemo del paese (non so perché). Ou, ma lo volete capire che da voi voglio solo calci e pugni e che del resto non mi fotte una minchia? Chi spacca il culo come me ascolterà questo album una decina di volte e poi mai più, agli altri forse piacerà tantissimo. Non c’è altro da dire sul serio. Non so se si nota, ma sto cercando di allungare il brodo, dato che mando poca roba per Metal Skunk. Vi potrei raccontare di quando, secoli fa, li andammo a vedere in un postaccio occupato lercio pieno di gente con la scabbia e un mio amico si ruppe la testa contro il palco. Ecco, l’ho raccontato. ‘Sta recensione fa un po’ cacare, ma penso sia proporzionata all’album, più o meno. Sapete che ho fatto le analisi post-sospensione patente e ora, dopo oltre un mese, posso tornare a bere? Ecco, non ve ne fotte un cazzo, ma a me sì: infatti ora mi vado a spaccare a merda. Un saluto agli amici carcerati. (Il Messicano)