Napoletani lavatevi? Lo hanno sempre fatto. Alla scoperta del saponaro

Creato il 03 novembre 2014 da Vesuviolive

‘O sapunaro, il saponaro, è un antichissimo mestiere di Napoli che oggi si è estinto, salvo qualche rarissima eccezione in alcuni piccoli paesi, e che prende le mosse dal Quattrocento, quando i monaci olivetani producevano del sapone con il quale compravano umili mobili per arredare il proprio convento sito in quella che oggi si chiama propria Via Monteoliveto, nei pressi di Piazza del Gesù e di fonte alla chiesa di Sant’Anna dei Lombardi. Il sapone prodotto da quei monaci era di elevatissima qualità, e il baratto era sempre a favore dei falegnami e dei rigattieri, che poi rivendevano il sapone, simile a quello di Marsiglia, guadagnandoci ulteriormente. Esso era utilizzato, oltre che per lavare i panni, anche per la pulizia del corpo e dei capelli, usanza sopravvissuta fino a circa tre decenni fa, quando le grandi aziende non avevano ancora invaso il mercato con i propri prodotti, fattore che poi ha determinato la scomparsa del saponaro, di cui si parla di seguito..

Prendendo spunto dagli olivetani il saponaro divenne un vero e proprio mestiere, praticato da chi non sapeva esercitare alcuna arte, e infatti quella figura un po’ presa in giro dagli artigiani i quali, al contrario, possedevano specifiche abilità apprese nell’arco di anni; per questo motivo, ancora oggi c’è chi apostrofa “saponaro”, o peggio “sapunariello”, colui il quale non possiede alcuna competenza, è totalmente incapace. In realtà i saponari una grande abilità l’avevano, ed era quella di riuscire a persuadere le donne di casa ad acquistare il proprio sapone (successivamente anche altra merce di uso giornaliero) che sovente era scarsissimo e non particolarmente profumato, acquisto che avveniva, ancora, attraverso il baratto: il saponaro accettava di tutto, specialmente mappine, vestiti consunti e malandati, scarpe vecchie, oggetti di vario utilizzo non più adatti alla propria funzione che poi “riciclavano”; qualche volta erano pagati anche in denaro, se gli stracci erano davvero troppo rovinati o non ce n’erano in casa, però ciò avveniva molto di rado anche perché, come detto, il saponaro nasce proprio per liberare le donne dalla roba vecchia. Da tale mestiere nasce poi il famoso detto ccà ‘e pezze e ‘ccà ‘o sapone, che specifica l’equità di un baratto, non solo materiale, di un “io do a te e tu dai a me”.

Carretto del saponaro. Foto: blog “ilsorrisovienmangiando”

Ancora fino a qualche decennio fa, il saponaro girava per le strade e i vicarielli di Napoli indossando alcuni degli stracci che vendeva, dei colori più diversi, insieme a un sacco di juta sulle spalle contenente la merce da vendere e avuta in pagamento, in modo tale che costui era una delle più popolari figure del folklore: immaginatelo tutto colorato, da solo o con un carretto trainato da un ciuccio, che si annunciava a voce alta – E cu nu sportello ncapo vaco facenno ‘o sapunariello!; o ancora: Robba ausata, scarpe vecchie, simme lente, stamme ccà! Bona gente, arapite ‘e recchie: sapunare, sapunà! Il saponaro era, insomma, quasi una maschera che univa la necessità di guadagnarsi il pane quotidiano alla teatralità, rispondendo in modo perfetto ai versi di Eduardo De Filippo: “Napule è ’nu paese curioso / è nu teatro antico, sempre apierto. / Ce nasce gente ca senza cuncierto / scenne p’ ’e strate e sape recità”.

Il saponaro, inoltre, non facevo altro che “sfruttare” una caratteristica delle massaie napoletane, ossia la particolare attenzione alla pulizia. Ancora oggi, entrando nelle più umili case dei quartieri poveri della città, si nota come quelle quattro mura e i modesti suppellettili siano tenuti lindi e pinti, a differenza di quanto è possibile vedere altrove, dove sovente si ironizza sulla presunta scarsezza di igiene dei Partenopei. Napoletani i quali, ricordiamo, sono stati i primi in Europa a potersi lavare quotidianamente a casa, visto che le loro case erano dotate di acqua corrente, mentre gli altri erano costretti a immergersi nelle acque di fiumi e canali. Come non ricordare poi il bidet, il quale non si trovava soltanto alla Reggia di Caserta o nelle dimore nobili e ricche, bensì anche nelle case della gente comune, e che al momento dell’Unità i piemontesi, non sapendo cosa fosse, indicavano con “oggetto per uso sconosciuto a forma di chitarra”: destinazione d’uso che d’altra parte non hanno imparato nemmeno a oltre un secolo e mezzo di distanza, giacché è noto che spesso da Napoli in su lo adoperano soltanto per i piedi, ammesso che lo usino. L’aspirante showman Emanuele Filiberto di Savoia, infatti, in TV ha dichiarato candidamente: “gli Inglesi non usano il bidet, neanche io lo uso”.


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