Napoli, chiude la libreria Guida: il punto di vista di chi c’era

Creato il 29 settembre 2014 da Temperamente

Di nuovo, volando su un alito di vento caldo, il profumo inconfondibile delle sfogliatelle si spande tutt’attorno, raddolcendo l’aria; a pochi metri da me, due giovani sui vent’anni, universitari con la borsa a tracolla, mangiano con gusto le paste avvolte da tovagliolini di carta. È una giornata molto calda, nonostante siamo alla fine di settembre, anche se qui a Napoli non è un fatto insolito…il caldo settembrino, intendo; perché oggi, in questo momento, in questo luogo, si sta consumando un evento tutt’altro che consueto.

Oggi, 25 settembre, la storica libreria Guida chiude i battenti.

Qui davanti, proprio sopra la mia testa, campeggia ancora il cartello che la proclama “Patrimonio Culturale di Interesse Nazionale”; ma affisso un metro più in là, un foglietto di carta lo sbeffeggia impunemente, informando il pubblico che quella stessa libreria, adesso, è in piena svendita, e lo sarà per due giorni consecutivi ( primi di dieci in totale).

Centinaia di persone sono in fila qui fuori, munite di numero per procedere agli acquisti ordinatamente; l’aria è satura del brusio della gente, dell’odore di pizza e frittura che si sprigiona da ogni metro cubo qui sotto Port’Alba, la celebre strada che si snoda incassata fra esercizi commerciali di vecchia data. La libreria Guida è un pezzo di storia della città del Vesuvio: qui letterati e artisti in genere hanno stregato il pubblico accorso per assistere alla presentazione di libri e opere d’arte; da Giuseppe Ungaretti a Indro Montanelli passando per Andy Warhol, queste pareti stracariche di scaffali ne avrebbero da raccontare…ma fra poche ore taceranno, immerse nel silenzio del locale semivuoto.

Come mi succede spesso da quando mi è giunta voce del fallimento, lascio che un’ondata di malinconia mi sommerga per un attimo; mi ci avvolgo tutto, con una certa voluttà di sofferenza. Sono momenti come questi che mi riempiono di frustrazione; poi, la frustrazione lascia il posto alla rabbia. E lasciarsi avvolgere dalla rabbia ti carica di energia per qualche istante, facendoti vibrare le interiora; ma subito dopo, quando sciama via, quello che resta è solo una terribile, sconfortante sensazione di vuoto. Purtroppo, il mio compagno di avventura, che è qui accanto a me e assiste alla svendita senza perdersi nemmeno un volto, nemmeno un consiglio di lettura di un acquirente a un altro, rende tutto più difficile. Più vecchio di me di almeno vent’anni, questa storia del fallimento lo sta mandando fuori dai gangheri.

«Un popolo ignorante è più facile da governare, ecco qual è la verità» ringhia sottovoce.

Non ribatto, anzi mi sforzo di non ascoltare. Da quando è iniziata la svendita, il mio amico mastica bile a tutte le ore e la sputacchia in giro con un certo gusto masochistico.

«Perché credi che nessuno ci abbia dato una mano?» continua, imperterrito, frusciandomi accanto con la pelle ingiallita. «Se fossimo stati storici venditori di aria fritta, allora sì che ci avrebbero aiutati. Ma qui si vendono pensieri, ecco qual è il problema. E tutto ciò che è pensante è destinato a soccombere».

Evito di esprimere il mio disaccordo e mi concentro sulla gente che sfila fuori dal negozio, armata di buste di plastica colme di acquisti (s)venduti fino al 70%: non posso fare a meno di spingere lo sguardo in quelle buste, cercando di scorgere i titoli sui dorsetti dei libri; dimmi con chi vai e ti dirò chi sei, dice il proverbio. Io aggiungerei: dimmi cosa leggi e saprò farmi un’idea di quello che pensi.

Vicinissima a me, una ragazza sfoglia con aria assorta un libro vecchio, con la copertina scolorita; accanto a lei, girando intorno a una delle celebri bancarelle con sguardo attento, c’è una donna sulla quarantina che si trascina dietro un marmocchio di nove o dieci anni. Il marmocchio tiene gli occhi fissi sullo schermo del suo smartphone, e di quando in quando fa scorrere il dito su e giù per i cristalli liquidi.

«Non ha neppure alzato lo sguardo da quando è qui, ci crederesti?» sbotta il mio amico. «Potrebbe essere in uno zoo, o su un’isola sperduta in mezzo al mare, farebbe lo stesso». Faccio appena in tempo a provare a ignorarlo, che il mio compagno comincia una delle sue solite tiritere su come la tecnologia svuoti la testa delle persone.

Io non sono d’accordo. Certo, l’uso indiscriminato di quegli aggeggi costosissimi non piace neanche a me, però devo ammettere che ci sono novità, in quel campo, che mi attirano parecchio; per esempio, mi piacciono gli e-book, che sono meno costosi di un libro di carta e, sostiene qualcuno, molto più ecologici. Pensare una cosa del genere va contro il mio stesso interesse, si capisce, ma so essere sufficientemente obiettivo da riconoscere i meriti di un’invenzione simile; anche se le librerie, questo è ovvio, hanno un altro sapore. Questa qui che stanno chiudendo, per esempio, ne aveva uno intenso e avvolgente, come il caffè bollente che si prepara da queste parti; sapeva di consolidato, di sicuro, di competente. Mi mancherà.

Stavolta, la vampata di frustrazione è più forte; per reprimerla, devo far finta che il mio compagno non si stia ancora scagliando contro la tecnologia e il mondo di oggi e che davanti a me non ci sia quel ragazzino antipatico ostinatamente concentrato sul suo apparecchio. Alza la testa e guarda dove sei, stupido moccioso!, vorrei strillargli. Poi la tensione si smorza. Allora schiudo di nuovo i miei sensi, pronto ad accogliere pazientemente lo sfogo del mio amico: ma lui non c’è più. Peccato. Avrei almeno voluto dirgli addio.
Mentre mi rattristo di nuovo, stavolta per la perdita che ho appena subito, mi sento attraversare dallo sguardo della signora sulla quarantina, la madre del marmocchio: è proprio davanti a me, e i suoi occhi luminosi mi scrutano con una certa esultanza.

Adesso è sera inoltrata. La temperatura è calata sensibilmente, e un fascio di luce artificiale mi illumina di traverso, come se temesse di disturbarmi; ma io sono sveglio, e sto solo aspettando che la giovane signora abbia un po’ di tempo per me…

Eccola. Il suo volto affaticato si china sulla scrivania, e le sue dita affusolate mi sfiorano con curiosità; il tocco della sua mano sulla copertina è leggero e delicato. Poi è la volta delle pagine, fatte scorrere velocemente con il pollice: la sensazione è gradevole come sempre, e come sempre avverto un lieve solletico. Ho come l’impressione che questa donna conosca il mio segreto, cioè che sono un oggetto vivo, che ho una mia energia, un fuoco inestinguibile. Sono felice, dimentico per un attimo della svendita…ma poi succede qualcosa: è una sensazione che ho provato solo una volta, durante una giornata piovosa; è una sensazione di bagnato.

Lentamente, in silenzio, la donna sta piangendo. Il suo dispiacere mi inonda come un fiume in piena, lasciandomi senza parole; vorrei dirle che presto la conforterò, ma sarebbe una bugia, perché la storia raccontata dalle mie pagine è tragica e senza lieto fine. Vorrei dirle che chiuso un posto di cultura se ne apre un altro; vorrei rassicurarla, farle capire che nessuno potrà mai tirare giù la saracinesca sulla mente, la fantasia, la memoria. Ma tutto ciò che riesco a dirle, sussurrandolo con appena un filo di voce, è: «Coraggio, signora Partenope. Coraggio».

Mariachiara Eredia


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