Il narciso – simbolo della bellezza e della fertilità femminile nell’antica cultura ebraica – diventò il fiore prevalente nelle celebrazioni cristiane di
Pasqua per sottolineare la
rinascita promettente felicità e gioia personificata nella resurrezione di Gesù Cristo dopo l'ineluttabilità della morte. I narcisi furono ripresi nell’iconografia cristiana sui libri di illustrazioni medievali, sulle pale degli altari, in dipinti in cui compariva Maria Vergine – come la ‘Madonna dei Narcisi con il Bambino e i Donatori’ (olio su pannello, 1535 ca.) dipinto dal pittore olandese Jan van Schorel (o Scorel) – oppure l’Annunciazione o il Paradiso per celebrare il trionfo dell’amore di Dio e della vita eterna sull’egoismo e sul peccato.
Da quando la pianta di narciso – nativa in Europa, Nord Africa e Asia – fu introdotta in Cina intorno all’anno 1000 sotto la dinastia Song (960-1279) come bulbo scambiato con merce, i cinesi attendono di vedere sbocciare i suoi fiori, simbolo di fortuna e di prosperità per l’anno nuovo, segnale di rinnovato vigore a ridosso del Capodanno cinese. Popolare decorazione abitativa, regalo gradito, il narciso è stato raffigurato da numerosi artisti cinesi in inchiostro su carta, come Chen Jiayen in ‘Bambù, Rocce e Narciso’ (1652) durante la dinastia Qing (o Ch'ing o Manciù, 1644-1911). Si è diffusa anche la modellazione artistica dei bulbi di narciso in modo da indurre la pianta a crescere assumendo forme simili a pavoni, granchi, ecc. Nell’arte tradizionale del tatuaggio cinese, il narciso è simbolo di buon auspicio che induce ad emergere il talento nascosto in se stessi e ad assicurare il giusto riconoscimento nella carriera quale premio per il duro impegno nel lavoro. I narcisi rappresentano pertanto il dono migliore per coloro che stanno tentando di ottenere un avanzamento professionale e fortuna nella vita. Un mazzo di questi fiori allegri, che sembrano raggi di sole emanati dal suolo e sono celebrativi del decimo anniversario di matrimonio, portano felicità. Una sensazione di piacere gioioso e di ricrescita vitale è trasmessa dalla lirica dedicata a ‘I Narcisi’ (1804, pubblicata nel 1807 nella raccolta ‘Poemi in Due Volumi’) dal poeta britannico moderno William Wordsworth (1770-1850) ricordando l’emozione provata durante una passeggiata con sua sorella Dorothy alla visione di una distesa di ‘diecimila’ di questi fiori che svolazzavano dondolando al vento sotto gli alberi in riva al lago Ullswater, nei pressi del villaggio di Grasmere, nella contea della Cumbria.
Per superstizione, regalare un fiore singolo di narciso prediceva sventure, mentre raccolto e portato a casa avrebbe fatto sì che un unico pulcino sarebbe nato dalle uova deposte nel pollaio, ma l’incantesimo veniva interrotto raggruppando invece almeno 13 narcisi in mazzo. Nello Stato americano del Maine, i superstiziosi erano convinti che trovarsi soltanto un narciso in bocciolo avrebbe fermato la fioritura degli altri e che, qualora il primo di questi fosse fiorito rivolto verso l'osservatore, allora avrebbe arrecato sfortuna per il resto dell'anno. Gli antichi Romani credevano che i narcisi crescessero nelle profondità dei Campi Elisi e quindi li piantavano sulle tombe. Nell’inno a Demetra – compreso negli ‘Inni Maggiori’ degli ‘Inni Omerici’ (dal VII a.C. ca.) – un fiore mai visto, un narciso, stava per essere raccolto dalla figlia della dea, Persefone (o Kore), quando emerse il dio Ade dalla voragine apertasi dal mondo degli Inferi per rapire la nipote caricandola a forza su un carro dorato, trainato da due cavalli immortali, e condurla nel suo regno sottoterra per sposarla.
Nel Galles, il narciso – detto ‘giglio di Quaresima’ per il fiorire durante questo periodo in Inghilterra – viene esibito appuntato addosso il Giorno di San Davide (1 marzo), ed è credenza popolare che la sua fioritura precoce a inizio della stagione preannunci un’annata prospera. A livello internazionale, numerose associazioni impegnate nella lotta contro il cancro hanno seguito l’esempio della Canadian Cancer Society, la prima ad istituire il ‘Giorno del Narciso’ a Toronto (Canada), nel 1957, per raccogliere fondi (di solito in una giornata di marzo), offrendo fiori di narciso, simbolo della speranza in una nuova vita, in cambio di una donazione.
Nell’antica Grecia si riteneva che il primo narciso – simbolo dell’egoismo, della vanità e della presunzione – fosse sbocciato laddove il mitico giovane cacciatore Narciso si era innamorato dell’immagine di se stesso riflessa in uno specchio d’acqua fino a morirne prematuramente a primavera annegando nel tentativo di abbracciarsi oppure, in un’altra versione, consumato dallo struggimento, da fame e sete, seduto solitario sulla riva. Quando era nato da una Naiade, Liriope, e dal dio fluviale Cefiso, l’indovino Tiresia ne aveva predetto infatti il destino di rimanere immortale finché non si fosse guardato. Il mito di Narciso, presente in numerose versioni nella mitologia greca, fu riportato dal poeta latino Ovidio nel terzo libro del poema epico ‘Metamorfosi’ (8 d.C. ca.) e diventò ricorrente in opere artistiche a olio su tela – ‘Narciso’ nel 1546-48 per mano di
Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, nel 1728 dal pittore francese rococò François Lemoyne, nel 1937 nella ‘Metamorfosi di Narciso’ dell’eclettico surrealista
Salvador Dalí – e in statue come quella sulla facciata a nord del Louvre, a Parigi, scolpita nel 1866 dallo scultore francese Paul Dubois. Nel mito greco sulla tragica storia d'amore di Narciso e Eco si narrava che questo giovane straordinariamente attraente, così superbo e fiero che, con atteggiamento freddo e distaccato, rifuggiva da tutte le giovani donne che lo cercavano preferendo andare a caccia di cervi da solo. La bellissima ninfa di nome Eco, nascosta dietro a un albero, intravide Narciso e, colpita dalla sua bellezza, se ne innamorò perdutamente. Eco non poteva parlare, ma soltanto ripetere le ultime parole pronunciate dagli altri in seguito alla maledizione di Giunone, che le aveva tolto la voce per punirla del fatto che suo marito Zeus induceva la ninfa a far sì che riuscisse distrarla a parole per tradirla con le altre ninfe. Dopo essersi comunque dichiarata, infelice e addolorata in seguito al rifiuto dettato dall’arroganza di Narciso, si consumò tra le lacrime struggendosi a tal modo che di lei rimase soltanto la voce. Scene raffiguranti ‘Eco e Narciso’ furono dipinte nel corso dei secoli da molti artisti, come nel 1629-1630 ca. dal pittore francese Nicolas Poussin in stile classico, nel 1903 dal britannico John William Waterhouse, famoso per i soggetti mitologici in stile preraffaellita, così come nel ‘Narciso ed Eco’ dell’italiano Placido Costanzi (1688-1759) nel periodo tardo Barocco e dello statunitense neoclassico Benjamin West nel 1805. La dea della vendetta Nemesi, dispiaciuta per il tormento di Eco, attirò Narciso presso un lago per indurlo a infrangere il suo destino: chinatosi a bere nelle acque chiare, non riuscì a resistere a guardare la propria immagine riflessa, se ne innamorò senza speranza, si disperò per non poter più vivere e, infatti, svanì per effetto della punizione divina. Quando giunsero le sue sorelle Naiadi per procedere alla sepoltura, trovarono un bel fiore giallo profumato dal cuore bianco al posto del suo corpo: gli dèi non volevano dimenticare la bellezza di colui che era stato il più attraente di tutti. Ancora oggi, con il termine ‘narcisista’ si intende colui che soffre del ‘complesso di Narciso’, ama soltanto se stesso e non gli altri.
I narcisi erano considerati simboli di purezza dai Druidi – la classe di sacerdoti dei Celti dislocati in gran parte dell’Europa centrale e sulle isole britanniche tra il IV e il III secolo a.C. – però si diffuse la leggenda che erano diventati velenosi dopo avere assorbito tanti pensieri malvagi dagli uomini. Ma a causa del contenuto in alcaloidi (licorine, galantamina, ecc.) – nelle foglie e soprattutto nei bulbi, nei quali è concentrata la narcisina, il narciso è davvero una pianta velenosa. Queste sostanze chimiche tossiche combinate con i cristalli di ossalato di calcio contenuti nella linfa provocano
orticaria e
dermatite allergica da contatto (screpolature, desquamazione, eritema nelle mani, ipercheratosi subungueale, cioè ispessimento della pelle sotto le unghie) per lo più ai lavoratori del settore floricolo (coltivatori di bulbi, fioristi). Nel settore della profumeria, possono insorgere reazioni a contatto dell’essenza di narciso, dal profumo dolce ed inebriante, con conseguenti gravi problemi di allergia (rinocongiuntivite allergica, asma, ecc.), anche ad esito letale. L’ingestione del bulbo provoca disturbi neuronali, gravi sintomi multisistemici (ipotermia, tremori, convulsioni), irritazione gastrointestinale (vomito, gastrite grave, diarrea) da curare entro 24 ore negli animali da pascolo e nell'uomo per non rischiare un esito infausto. L’avvelenamento accidentale può
avvenire scambiando i bulbi di narciso per cipolle, come è successo nel 2009, in Inghilterra, agli alunni della Gorseland Primary School a Martlesham Heath, nella contea del Suffolk, dopo avere consumato una zuppa durante una lezione di cucina. A partire dal VII-IX secolo, pare che invece l’antica medicina tradizionale giapponese Kampo, riadattamento di quella cinese a base di erbe, trattasse le ferite con un impasto a base di bulbo di narciso e farina di grano.