Per alcuni anni mi sono divisa tra Bologna e Roma e a Roma abitavo nel Ghetto. Avevo scelto quel luogo perché mi permetteva di arrivare a piedi alla libreria per ragazzi che avevamo aperto in Piazza Santi Apostoli e perché mi piaceva la vita che percepivo girando per le strade, andando a prendere il pane e la carne secca, a mangiare al Portico d’Ottavia. Un vita che si contrapponeva alle tante pagine lette che mi riportavano al tragico 16 ottobre 1943, alle storie drammatiche di vite recise e ai pochi racconti di chi, nell’oggi, ha potuto testimoniare quei terribili fatti. Ho appena letto il libro Portico d’Ottavia, scritto da Anna Foa, storica bravissima , uscito per i tipi di Laterza nella collana “Celacanto” e sono tornata nelle strade del ghetto accompagnata dalla sua voce narrante. Una voce colta, capace di dire, di ricreare atmosfere, di inventare occasioni per l’esercizio di una memoria necessaria per affrontare il presente. E’ una memoria visiva che racconta i luoghi, le persone e il loro agire, le relazioni, è una memoria che chiama per nome i protagonisti, una memoria che parla di quelli che hanno agito in silenzio, invisibili aiutanti magici in un clima di terrore, è una memoria che crea emozioni. E’ il giusto modo di portare ai ragazzi, e agli adulti, la Storia, una storia che esce dai documenti ed entra nelle pieghe dei ricordi. Una narrazione in cui le parole incontrano le figure, figure che aprono nuove brecce capaci di condurre il lettore in altri luoghi, figure che invitano ad avvicinare l’occhio ad una finestra, ad alzare lo sguardo, figure che fanno sentire il rumore degli stivaloni e l’aria smossa dai passi veloci di chi tenta la fuga. Illustrazioni firmate da Matteo Berton, giovane matita pisana che dal comics si è spostata verso altri linguaggi visivi, illustrazioni, graphic design, video.
“Dopo la liberazione, poi, nel dopoguerra la vita rifiorì. Le case si riempirono di voci, le donne ricominciarono a lavorare sui ballatoi, a stendere i panni, ad appendere la carne ad essiccare. Ora, aaccanto alle canzoni antiche, si sentivano anche quelle nuove dalle radio. Con la primavera fiorirono i vasi dei davanzali. I bambini tornarono a schiamazzare nel cortile. Le bimbe di nuovo lanciavano il sasso e sulle gambe sottili ed elastiche giocavano a campana. Altre saltavano la corda. Adesso c’erao anche giochi nuovi: io ormai ero grande e li guardavo solamente, ma con i fucili di legno, i piccoli giocavano a nazisti e partigiani…”