Nasa, il futuro è a ultravioletti

Creato il 24 luglio 2014 da Media Inaf

Quando si dice guardare avanti: mancano ancora quattro anni al lancio di JWST, il successore dello Hubble Space Telescope, e già pensano a cosa verrà dopo. A illustrare il gioiello di punta targato NASA al quale, in un futuro non tanto prossimo (si parla del prossimo decennio), toccherà raccogliere il testimone di miglior telescopio spaziale mai costruito sono stati gli scienziati e gli ingegneri del Goddard Space Flight Center (GSFC). Nome in codice ATLAST (acronimo per Advanced Technology Large-Aperture Space Telescope), l’avveniristico osservatorio nasce con un occhio già idealmente rivolto alla ricerca di vita extraterrestre.

«Una delle killer application attualmente previste per ATLAST», spiega infatti Mark Clampin, project scientist del James Webb Space Telescope, «è la capacità di individuare, nelle atmosfere di pianeti simili alla Terra presenti in sistemi nei dintorni del Sole, le firme della presenza di vita». E fra gli altri obiettivi scientifici, oltre allo studio in dettaglio dei processi di formazione di stelle e galassie, ATLAST promette di riuscire a vedere le singole stelle in galassie a più di 10 milioni di anni luce di distanza, nonché tutte le regioni di formazione stellare, ovunque nell’universo, con dimensioni superiori ai 100 parsec.

Insomma un telescopio all’altezza di quello vagheggiato nelle pagine del piano trentennale della NASA, una sorta di libro dei sogni immaginifico già dal titolo: “Enduring Quests, Daring Visions”. Un progetto che, per diventare realtà, dovrà riuscire a unire – migliorandoli – i pregi principali dello Hubble Space Telescope e del James Webb.

Del primo, in particolare, la NASA vuole mantenere quella filosofia di fondo che lo rende a tutt’oggi unico al mondo: un telescopio spaziale general-purpose (dunque con un ampio spettro d’applicazioni astrofisiche), modulare e serviceable, ovvero progettato in modo tale da poter essere sottoposto a manutenzione e aggiornamenti. Un’impresa non di poco conto, soprattutto tenendo presente che la casa di ATLAST non si troverà a qualche centinaia di km sopra le nostre teste, dove orbita Hubble, bensì nel punto lagrangiano secondo, a 1.5 milioni di km dalla Terra.

Con il James Webb Space Telescope, invece, ATLAST avrà in comune anzitutto le dimensioni da record dello specchio primario: 6.5 metri di diametro nel caso di JWST, oltre 10 metri per il suo successore. Uno specchio dispiegabile e a più segmenti, realizzati in vetro o in fibra di carbonio, «in grado di garantire una capacità di raccolta della luce diciassette volte maggiore di quella raggiunta dallo specchio di Hubble», dice Carl Stahle, l’ingegnere del GSFC incaricato di valutare le sfide tecnologiche che attendono il progetto.

Sfide fra le quali Stahle mette ai primi posti lo sviluppo di nuovi sensori, e di nuovi rivestimenti per gli specchi, pensati per migliorarne la resa in banda ultravioletta. Già, perché se la lunghezza d’onda d’elezione di JWST sarà l’infrarosso, ideale per lo studio di molte sorgenti remote, la finestra di ATLAST si affaccerà su un panorama molto più simile a quello che ci ha fatto conoscere Hubble: dal vicino infrarosso, dunque, su fino alle frequenze elevate dei raggi UV, dove la risoluzione e la sensibilità del futuro telescopio potrebbero riservare notevoli sorprese.

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Malaspina