Questo romanzo è speciale perché in questo progetto sono state riversate tantissima passione, impegno, dedizione. E coordinare un progetto simile, non ancora concluso (abbiamo in serbo altre sorprese), mi ha reso immensamente felice. Felice di lavorare con persone competenti che hanno deciso di donare il loro talento per la riuscita di un'idea e felice di poter realizzare un progetto di pubblicazione così particolare. Tantissime sono le persone da ringraziare, che trovate su Team: Roberto e Petra per il fighissimo sito che fa molto Speechless style; Giampiero perché sta creando un mondo di bellissime immagini per Lola; Marco e Cristina per gli splendidi reading; Valentina per il booktrailer che lascia senza parole; la splendida Pia che sta curando il lavoro di promozione e ufficio stampa.
Dopo tante chiacchiere, vi lascio all'intervista con Emanuela.
E mi raccomando, visitate il sito ufficiale del romanzo www.labambinasenzacuore.it1. Cara Emanuela, benvenuta nel mio spazietto privato. Ti ho invitata su Diario in qualità di ospite speciale, essendo la prima autrice di Speechless Books a essere pubblicata. Stiamo lavorando insieme da un po', ma a beneficio dei lettori parlaci un po' di te, dei tuoi interessi, delle tue piccole pazzie e idiosincrasie da lettrice e scrittrice. È un onore essere ospite di Diario. Ne approfitto e mi metto comoda. È vero, si lavora insieme da qualche mese per questo duplice esordio, e come ho già spiegato da qualche parte, tutto questo è, prima di tutto, divertente. Sono una tipa stramba, come potrei non divertirmi, con te? *lancia una provocazione* Nella vita mi sono sempre tuffata nelle situazioni che richiedevano un certo livello di creatività e follia personale, ho provato a organizzare delle cose, sulla scia dell’energia che mi esplode dentro, ma non ho il tuo stesso talento e ogni volta grandiose idee si rivelavano flopponi indescrivibili. Quindi ti rigiro la domanda: che meraviglia deve essere stata, per me, quando tu ̶ cos’era, il giorno di Natale? ̶ mi hai blandita proponendomi di lavorare su Lola? Divertimento a parte, però, è soprattutto la mia anima di narratrice a essere compiaciuta dalla prospettiva di questo progetto. Sorrido, mentre scrivo. Un sorriso diabolico per una soddisfazione atroce. Sono una sognatrice? No. Io sono un’idealista incallita con molta fantasia, ecco tutto. Di stampo classico, il che mi impedisce di abituarmi ai tentativi di arte superficiale di questo tempo, alla emulazione forzata, agli stereotipi. Amo leggere. Ho imparato a leggere e scrivere a quattro anni, grazie a mia madre ̶ lo ha fatto per farmi perdere interesse ai dipinti rupestri che realizzavo coi pennarelli sulla carta da parati del salone. Quando mi ha insegnato le lettere dell’alfabeto, lo ricordo ancora bene, mi sentivo come se mi stesse svelando il più grande e meraviglioso mistero dell’universo. L’incanto delle parole! Mia madre mi aveva donato una bacchetta magica a inchiostro ̶ questa era la sensazione precisa ̶ grazie alla quale io potevo scrivere, mettere in fila parole e viaggiare sulle ali del linguaggio, costruire storie, pensieri, mondi! Ancora oggi quella gioia mi pervade quando impugno la penna o utilizzo altri strumenti di scrittura. Una cosa magica che mi accompagnerà per tutto il corso della vita. Dopo tutta questa poesia devo mettermi in ridicolo, per sdrammatizzare, e lo farò raccontandoti della mia pazzia di autrice, quella che mi spinge a scrivere le trame dei miei romanzi a mano, in vari colori, su cartelloni coi quali a volte rivesto intere pareti di casa Non ti ho fatto abbastanza ridere? Allora senti qua: da piccola mi ero messa in testa di scrivere storie sulle foglie e lasciarle nei parchi in modo che individui fortunati potessero trovarle e leggerle. Forse trovare una storia scritta su una foglia è un mio desiderio inconscio e probabilmente tutte le storie che ho abbandonato in giro sono marcite o finite schiacciate dalle scarpe dei passanti. *si sente patetica quindi cambia discorso* Una follia da lettrice: ho diverse edizioni di ogni libro che ho amato, tutte quelle che trovo in giro, le prendo. Non mi bastano mai. Sono refrattaria a un sacco di cose. Intollerante, anche. Non credo sia il caso di fare liste, ma in somma detesto la superficialità, l’insensibilità, l’arroganza. Diciamo che ho una sorta di antipatia istintiva verso tutto ciò che è costrizione. Non mi piace chi crede di sapere fare tutto. Sono timida, chiusa, solitaria. Un mostro.
3. Che effetto ti ha fatto lavorare per la terza volta su Lola, dopo il concorso Fazi, e cambiare anche il tessuto narrativo della storia? E com'è stato condividere la propria storia con qualcun altro in fase di lavorazione? Non sono legata alle mie storie. Non esiste una versione definitiva di qualcosa, a mio parere. Tutto è in divenire. Tutto può essere migliorato, all’infinito. Poi uno si ferma, certo, quando è soddisfatto mette un punto, ma la mia visione delle storie che scrivo è elastica. Non mi preoccupa cambiare la forma se a restare intatto è il nucleo. Il significato. Null’altro conta, per me, se non il senso delle cose. E sempre in nome di quella condivisione di cui sopra, ho trovato bellissimo lavorare sul testo con qualcuno che non fosse una delle mie molteplici personalità, anche solo per sapere come sente un’altra testa, per vedere quali ricchezze portano, altre mani, in una cosa sino a ora limitata al mio pensiero.
4. Quanto è importante per te, alla luce del lavoro svolto su Lola e anche su Ophelia (in uscita per Gems il 7 marzo), la figura di un editor esterno che analizza, corregge e lavora con te alla storia? Sono stata fortunata. In entrambi i casi ho trovato editor analitici, col senso del bello molto accentuato, disponibili all’ascolto. Quello però che maggiormente stimo in te e in Alessandra Mascaretti di GeMS è la capacità di assimilare cosa volevo dire e aiutarmi a dirlo meglio. Sia Lola che Ophelia, dopo gli interventi fatti col vostro sostegno, sono romanzi nuovi, limati, fluenti, armoniosi. L’editor è fondamentale se si vuole fare un buon lavoro, perché chi scrive, ripeto, ha una visione limitata della realtà che sta creando, per questo deve lasciare che occhi esperti si insinuino tra le sue righe, poi ché la percezione allargata porta solo a migliorare, a crescere.
6. Quali sono le tue influenze letterarie? Dirti che sono cresciuta coi classici del genere fantastico e non è riduttivo. Da piccola portavo nel letto i libri, per non privarmi della gioia selvaggia che contenevano. Avevo sempre qualcosa di Ende sotto al cuscino, ma nei risvolti delle coperte potevi trovarci Verne, Hesse, Calvino. Un amore particolare mi univa ai racconti di Dickens e Hugo. Leggevo Topolino, anche, persino a tavola, per la disperazione dei miei. Credo siano loro, le radici. Poi, nel tempo i miei orizzonti si sono allargati e ho apprezzato la genialità di Doyle, Wilde, le sorelle Bronte, Mary Shelley, Poe, Lovecraft! Fino ai visionari Murakami, Yoshimoto, Dick. Amo leggere. AMO leggere, ma non tutto.
7. Che cosa comporta il tuo processo creativo? Cosa fai mentre scrivi e da cosa ti fai ispirare per scrivere le tue storie? Le storie mi nascono nella testa, in un punto preciso, dietro agli occhi. Nascono lì e sono finite, perfette, complete. Quello complicato è il processo di estrazione. Può durare mesi, anni o minuti, dipende tutto dalla mia capacità di accedere in quel luogo dove esse riposano in attesa di essere scritte. Quando scrivo esco dal mondo oggettivo, non capisco più niente di niente. Se mi parlano non ascolto. Trascuro tutto, e tutti. Non mi lavo. *ride* Non me ne frega più niente, capisci. Sono in trance da trasposizione. Da idea a romanzo il percorso è delicatissimo, remoto. Bisogna fare un lavoro di traduzione inconscio/italiano non trascurabile. E poi scrivere la trama senza tradire l’origine, scegliere l’evidenza dei momenti narrati, capire lo spazio e il tempo dove collocare le vicende, fare la conoscenza coi personaggi, vestirli, aiutarli a esprimersi senza soffocarne le personalità. È un lavoro di introspezione. Un cammino alienante. Qualcosa in grado di succhiare via tutta l’energia che possiedo, per restituirmela al fine di essere compiuto. Quando scrivo esiste solo la connessione tra la mia mente e le mie dita.
Uno dei disegni di Giampiero Wallnofer
8. Perché hai scelto di scrivere narrativa fantastica? E cosa significa scrivere di questo genere in un periodo nel quale il fantasy è diventato molto commerciale? La mia scrittura non è immobile, come non sono immobili le mie storie. Mi evolvo e loro con me. Scrivo al di là della realtà perché parto dal principio del meravigliarsi. Cerco sempre di essere originale. Desidero sopra ogni altra cosa creare meraviglia. Condire la realtà di tutti i giorni con lo spiazzante, l’inedito, l’impossibile. Scrivo fantastico ma non nel senso fantasy del termine. Forse psicofantasy, se proprio vogliamo, ma preferisco definirmi slip-streamer per la forte componente surreale al confine tra realtà e sogno che infilo nelle storie. Sempre di più. Credo fermamente che la realtà sia fatta per essere esplorata. Nei suoi recessi si nascondono tutti gli incubi del mondo, insieme a tutte le favole narrabili.9. Quanto di Emanuela Valentini possiamo trovare ne La Bambina senza cuore? Qualcosa di personale nell’origine. Per il resto, quella di Lola, è una storia comune a molti.
10. Parlaci di Ophelia e le Officine del Tempo e della tua esperienza di partecipante al Torneo IoScrittore. Il Torneo IoScrittore è un’esperienza fortissima. A fine dicembre dello scorso anno, per caso mi capitò di leggere il bando. In quel periodo stavo scrivendo un racconto di natale (che con il natale non c’entrava nulla) sul valore del tempo, e galeotto fu quel bando tanto da costringermi a espandere, molto in fretta, l’idea di base del racconto e provare a farci un romanzo di 500.000 battute. Scrissi la trama di getto e lavorai tutte le notti per un mese – continuando anche a recarmi in ufficio e a fare la mia vita “normale”. Il risultato fu una bella bozza di romanzo che spedii al torneo con il cuore gonfio di soddisfazione e che tornò indietro vincente, con in tasca la pubblicazione in ebook con il prestigioso marchio GeMS. Si era partiti in 1100, circa. Siamo arrivati in trenta. Non dimenticherò mai il giorno della proclamazione a Mantova (io non c’ero, seguivo sui social l’evento). Chiunque si occupasse di postare su twitter i titoli dei trenta, per qualche motivo si dimenticò di Ophelia e io scoprii di esserci solo a festa finita, quando il mio fidanzato cercò la lista ufficiale sul sito. Ah, che botta. Non mi entrava più l’aria dalla bocca, non riuscivo a respirare. Ma ridevo, chissà come. Ophelia molto più che Lola rispecchia la mia vita. Lei aggiusta aeronavi, ma vuole fare l’aeronauta, vuole volare, in un’epoca difficilissima per le donne, come può essere stato il secondo decennio del novecento. La vicenda si svolge in una realtà fantastica (questa volta il sottogenere fantastico che uso è lo steampunk) inserita in un tempo conosciuto. Ho calcato le atmosfere retrò in una Londra affascinante e imperscrutabile. Neve e fuliggine. Sangue e amore. Amo pensare alla storia di Ophelia come a una grandiosa avventura nel mistero incorrotto del tempo, e mi auguro che i lettori l’apprezzino!
11. Come ti senti alla vigilia di due pubblicazioni, a distanza breve una dall'altra? Sinceramente sono così impegnata che non ci penso neppure. Lavorare su due romanzi è sfiancante e bellissimo. Se, però, ci penso, mi sfarfalla lo stomaco, anche perché non so a cosa vado incontro. 12. Domanda a cui non è possibile non rispondere. Come ti immagini Emanuela Valentini tra 10 anni? Quali sogni e desideri vorresti realizzare nella tua carriera di scrittrice? Quali i progetti futuri? Vedo una donna felice, come sono adesso, che non ha perduto la passione per la scrittura e che, anzi, ha fatto della scrittura il suo mestiere. Vedo un’autrice apprezzata dalla critica, seria, coerente con quello che è stato il suo percorso. Una scrittrice che fa del suo dono un omaggio alla realtà, cercando di narrarla nei suoi aspetti migliori o peggiori, ma sempre e comunque obiettivi.