Iniziamo questo nuovo, e si spera duraturo, spazio dedicato ai libri. Semplicemente “ai libri” in quanto il mio essere onnivoro mi impedisce di specializzarmi in “letteratura orientale”, “testi di geopolitica”, “diari di viaggio” e quant’altro. Meno ancora sarò in grado di seguire le uscite in libreria. Quindi una rubrica di libri, un po’ a casaccio, tendenzialmente tutti viranti “ad est”. Spero che possano essere spunti per partenze verso altrove, che i viaggi siano fisici o mentali poco importa. Resta il fatto che qualunque segnalazione sarà ben gradita. Andiamo dunque a cominciare…
Il libro di cui parleremo oggi è stato scritto da un autore imprenscindbile nella letteratura centro-asiatica, ossia Peter Hopkirk. Ma non stiamo parlando del Grande Gioco, sarebbe troppo ovvio; si invita in ogni caso a leggere la recensione di quel libro scritta tempo fa per East Journal. Quello che qui prenderemo in considerazione è un’opera meno conosciuta dello scrittore inglese: Diavoli stranieri sulla Via della Seta. Messo in ombra dal successo del “Grande Gioco” questo libro ha una visione meno geopolitica ma non per questo meno affascinante. L’area presa in considerazione è più ristretta, l’attuale Xinjiang, ma allo stesso tempo assolutamente centrale. La regione del Taklamakan e del bacino del Tarim è stata infatti luogo di incontro – e scontro – tra oriente e occidente; poste lungo il tratto della Via della Seta che fa da porta per la Cina, ai piedi del Pamir e dell’Hindu Kush, le città-oasi di cui parla Hopkirk furono centro di regni, come quelli di Lou-Lan oppure Karakhoja, ormai sepolti dalla sabbia del deserto.
Terra di scambi commerciali la zona attorno al Taklamakan fu anche luogo di fermento religioso, dove l’islam soppiantò il buddismo, prima di scontrarsi con l’impero cinese. Questa fu anche la linea di frontiera oltre la quale la Cina non riuscì ad espandersi, scontrandosi con il mondo islamico. Le conseguenze di questo urto sono visibili ancora oggi, con le tensioni nello Xinjiang tra la popolazione uigura, di etnia turca, e le autorità cinesi, impegnate ancora oggi nell’opera di sinizzazione della regione. Le sabbie del Taklamakan ancora oggi custodiscono tesori, i resti di quei regni scomparsi, e proprio questo è il punto di partenza di “ Diavoli stranieri sulla Via della Seta”.
Quello che Hopkirk racconta sono le imprese degli esploratori occidentali (e di un misterioso giapponese) che per primi andarono alla ricerca di quei tesori, trovandoli a volte per puro caso. Nel XIX secolo personaggi come Stein o Le Coq, accademici e inviati da istituzioni prestigiose, furono veri e propri avventurieri: Taklamakan in uiguro significa “luogo da cui nulla torna”. Ma queste vicende possono essere lette secondo diverse angolazioni; per anni da parte cinese i protagonisti di questo libro sono stati considerati veri e propri trafugatori di manufatti, dei ladri che hanno distrutto un patrimonio storico (con la complicità di musei e fondazioni occidentali) depredandolo e lasciando dietro di sé solo pareti scrostate dopo l’asportazione di millennarie opere d’arte.
Per contro la giustificazione occidentale è sempre stata che portare gli affreschi e gli altri cimeli nei musei europei (e non solo) ha significato salvarli, ricordando la deturpazione dei templi buddisti, come nel caso di Dunhuang, dovuta all’iconoclastia musulmana ed all’incuria degli stessi cinesi. Senza inoltre dimenticare i danni (ma questo è forse più vero per altre regioni della Cina) provocati dagli anni della Rivoluzione Culturale voluta da Mao Zedong. Un dibattito durato decenni, che in ogni caso aggiunge solo una chiave di lettura al bellissimo libro di Hopkirk, un autore che come pochi ha saputo ricreare le atmosfere di vere e proprie epopee. Un libro che si legge tutto d’un fiato, e che farà sentire trasportati direttamente tra le dune del Taklamakan, alla scoperta di rovine quasi cancellate dai secoli, e dagli uomini.