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Nata sotto la luna piena – racconto di Iannozzi Giuseppe tratto da Premio Strega

Creato il 26 settembre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Nata sotto la luna piena

di Iannozzi Giuseppe

da Premio Strega

new version, september 2011 common era

Nata sotto la luna piena – racconto di Iannozzi Giuseppe tratto da Premio Strega
Sentiva le fiamme dentro.
Tirò giù la cerniera del giubbotto.
Oramai non c’era altro da fare né si poteva.
Il cielo era scuro, d’un buio impenetrabile, così nero che sembrava un’orrida scenografia dipinta a mano, da quella del Diavolo, poco ma sicuro.
Afferrò la pala e cominciò con stanchezza a riversare sul feretro la terra.
Respirò.
L’aria era piombo e zolfo nei polmoni.
La fronte madida di sudore gli faceva male al ricordo.
Se la vedeva davanti ancora viva e vegeta, bella e impossibile.

Premio strega - di Iannozzi Giuseppe
La prima volta che la vide fu in un roseto: lei era lì, tra le rose canine, bella come una fata, inafferrabile tanta era la bellezza che sprigionava. Teneva il capo dolcemente reclinato per odorare delle rose l’estatico profumo. D’improvviso sollevò il capo e il suo sguardo incontrò il suo.
“Chi siete, Monsieur?”
Quale voce celestiale, di violino!
“Anthony”, balbettò il becchino. “Sono il becchino del cimitero…”
“Oh! Così giovane e castigato a un lavoro tanto triste.”
Anthony deglutì a fatica: “Ci si fa l’abitudine, Mademoiselle.”
“Charlotte”, precisò lei, con una punta di civetteria.
“Mademoiselle Charlotte, è un onore.” E fece di baciarle la mano, ma solo il gesto perché i due erano separati dalle spine del roseto e da un alto cancello di sbarre acuminate in ferro battuto.
Le occasioni non mancarono per incontrare Charlotte, o meglio Anthony fece in modo che non passasse giorno senza che non l’avesse sfiorata almeno una volta collo sguardo. Gli ci volle poco per scoprirsi innamorato e turbato da quella creatura sì divina, inafferrabile, più bella d’ogni Luna e stella dell’empireo. Charlotte dal canto suo non dimostrava antipatia per il giovane, anche se di umili origini: certo è che se l’avesse saputo il padre subito avrebbe troncato quella relazione d’amicizia giudicandola sconveniente per una ragazza del suo lignaggio. Nei suoi sogni libertini s’immaginava preda e vittima del giovane Anthony, sognava d’essere deflorata dalla sua verga su di un letto di petali di rose canine. Era un sogno che l’eccitava ma che, nella sua testolina, sapeva fin troppo bene che mai si sarebbe realizzato. Però nei precordi del suo cuore s’era accesa la fiamma della passione e non riusciva sempre a celare l’idea romantica che il giovane la rapisse per farla sua. Da qualche giorno i genitori avevano notato un cambiamento nella figlia, era più allegra del solito, le gote le s’imporporavano d’improvviso e qualche volta sorrideva anche se non c’era nulla di visibile che potesse arrecarle una scintilla di felicità. Paventarono che stesse perdendo completamente l’ingenuità in quell’età così difficile, di passaggio dai giochi dell’adolescenza alle responsabilità della maturità, perché sì, Charlotte non era più una bambina: era oramai un donna bell’e fatta, raggiante, anche il padre, sempre colla testa fra le nuvole, se n’era accorto. A Madame B., madre di Charlotte, dava fastidio il marito: non sopportava che guardasse la figlia, non con quegli occhietti porcini, tenendo ben aggiustato il monocolo all’occhio, quasi volesse colla vista penetrare le carni di quello ch’era anche il frutto del suo seme. Madame B. era più che mai convinta che degli uomini non è possibile fidarsi mai in maniera totale. I suoi erano solo sospetti, eppure l’idea fissa era radicata in lei: gli sguardi insistenti, sdolcinati, di Monsieur B. le davano fastidio. Conosceva quello sguardo particolare, era lo stesso che il marito le aveva rivolto quand’erano ancora entrambi giovani e di belle speranze. Madame B. aveva comunque le mani legate: il marito si limitava a delle occhiate, sgradevoli quanti si vuole, almeno per lei che ne era la moglie, ma più in là non s’era spinto, quindi era fuori luogo pensare a una sfuriata di gelosia. Non se ne parlava proprio di scandalizzare le rispettive famiglie, di lei e di lui, tirando in ballo sospetti d’incesto. Per Dio, certe cose non accadevano più da una lunga pezza: si era nel 1930 inoltrato, Benny Goodman si faceva sentire in giro con Sing, Sing, Sing; ma se doveva dar retta a Freud, secondo questi la tendenza all’incesto è insita nell’individuo. Lei ne capiva così poco di psicologia! A volte le pareva che si stava facendo delle idee sbagliate, che tutto era a posto, che non c’era nulla di poco casto fra il padre e la figlia Charlotte, ma in certe notti il sonno tardava a ottenebrarle i sensi ed allora la sua immaginazione galoppava a spron battuto e si perdeva in congetture di tragedia greca. La poverina soprattutto non capiva il motivo per cui Charlotte, così, di punto in bianco, sorridesse: sul volto ingenuo le se disegnava un sorriso estatico. C’era sicuramente sotto qualcosa, Charlotte non era mai stata una ragazza aperta. La sua educazione era stata seguita da rigidi baccellieri e i coetanei non li aveva frequentati mai, né lei nel corso degli anni aveva mai mostrato interesse di conoscere ragazze delle sua età, così il problema non si era mai posto. Charlotte, la madre lo sapeva bene, amava solo passeggiare in solitudine lungo il perimetro del roseto ch’era poi anche il confine della proprietà della famiglia B. Il mondo al di là del roseto e dell’alto cancello, Charlotte lo conosceva solo perché gl’insegnanti gliene avevano accennato. La poverina era tormentata: avrebbe dato qualunque cosa pur di sapere cosa nascondesse la figlia, però di chiederle non s’azzardava. La figlia era così riservata, e poi non diceva mai una parola in più o in meno: sempre educata, dalla sua bocca non usciva mai un se o un ma, l’accenno d’una seppur vaga protesta. Il fatto che fosse così solinga le portava un certo sentore d’inquietudine: ecco, non avrebbe mai potuto essere esplicita con Charlotte.
Così, mentre Madame B. teneva il sospetto addosso alla figlia – accusando in cuor suo il marito d’incesto -, Charlotte all’oscuro di tutto, come tutte le ragazze giovani e illibate, solo pensava d’incontrare di nuovo il giovane becchino e d’intrattener con lui un sogno erotico e romantico. Come si è già detto, Anthony non perse tempo e Charlotte gli diede corda: prima che potessero rendersene conto a separarli c’era solamente il roseto e l’inferriata, difatti i loro cuori battevano all’unisono.
Monsieur B. guardava sì la figlia ma solo per cercare di capire il motivo di quel suo sorriso raggiante: era certo che un simile comportamento fosse da imputare a qualcosa d’impudico, magari alla masturbazione di cui il pover’uomo nutriva un sacro terrore. Se solo madre e padre si fossero seduti intorno a una tazza fumante di thè, avrebbero scoperto che vivevano gli stessi timori nei confronti della figlia; ma la loro era una di quelle coppie all’antica, una di quelle che non parlava e quando sì, mai in maniera esplicita, solo con allusive metafore. Insomma i due coniugi non comunicavano. L’uomo si dilaniava l’anima al pensiero che la figlia potesse aver incontrato il Maligno proprio in casa, quando avevano fatto così tanto per tenerla lontana dalle insidie del mondo; la donna invece era tormentata dal sospetto che il marito potesse nutrire interesse carnale verso la loro prole. Entrambi paventavano che Charlotte avesse perso del tutto l’ingenuità. Se solo si fossero confidati… e invece rimasero chiusi nel loro mutismo fatto di sospetti, di paure, di gelosie.

Finito che ebbe di riversare la terra sul feretro, finalmente si concesse di piangere mute lacrime.
Nel profondo dell’anima Anthony lo sapeva che Charlotte sarebbe stato il primo e l’ultimo amore.
Sì, era giovane e con tutta la vita davanti: tutti i suoi giorni sarebbero stati un bagno di solitudine, così si tormentava l’anima. Aveva iniziato a fare il becchino perché non si trovava altro lavoro. All’inizio si era detto che sarebbe stato un impegno momentaneo, ma poi era rimasto: i cadaveri non gli facevano né caldo né freddo, erano sconosciuti che avevano sol più bisogno d’essere inumati, d’essere nascosti al mondo dei vivi come amava sentenziare Anthony, con voce roca e con lieve mestizia, ai parenti piangenti.
Al funerale i coniugi B. tennero una postura rigida, quasi gl’avessero cacciato nel rètto un manico di scopa. Anthony non riusciva a comprendere se il loro fosse dolore sincero o cos’altro: Madame B. lanciava strani sorrisi, quasi si fosse levato dal petto un peso, Monsieur B. era giù di corda ma non come un padre che ha appena perso l’unica figlia: nella sua disperazione, Monsieur B. pareva stesse modestamente bene, teneva infatti il capo alto e fiero e lo sguardo immobile sul prevosto, gittando l’occhio sulla bara solo per un accenno di affettata distrazione, quasi nutrisse vergogna di dover presenziare all’inumazione.
Fu una cerimonia fin troppo semplice, pochi i partecipanti, poche le lacrime sincere o di circostanza che fossero. La bara fu presto ricoperta da due metri abbondanti di terra scura, e tutti sciamarono verso casa in silenzio. Solo Anthony pensava a quanto fosse fragile la vita: in capo a tre mesi la sua Charlotte, quella ragazza radiosa di vita e di passioni tutte da venire, era morta di tubercolosi.

Non era stato un gran lavoro riesumarla; il difficile era stato doverla abbandonare per sempre, ribattere i chiodi e ributtare la terra sul feretro. Nonostante respirasse a pieni polmoni, l’aria lo riempiva troppo: si sentiva bruciare dentro. E non era solo per il dolore d’aver perso l’amata. Qualcosa che non sapeva spiegare gli stava accadendo. Fece di non pensarci e tornò colla mente al bacio. Sollevare il coperchio della bara e vederla tra i cuscini, pallida e immobile: ma senz’ombra di dubbio era Charlotte. Le tempie gli pulsavano: una eco gl’entrava dentro, “Portami via con te”. Sospirò invano. Era sicuro che quella voce appartenesse a Charlotte, ma non era possibile. Eppure qualcosa non lo convinceva. L’aveva baciata ch’era bell’e morta. Sulle labbra rosse, ma il volto pallido, uguale a quello che assumono tutti i corpi quando perdono l’anima e si fanno algidi. Una vertigine lo colse: le ginocchia gli cedettero, come se un peso immane lo schiacciasse dal di dentro per inchiodarlo alla terra. L’eco si ripeteva con sfogo ossessivo: “Portami via con te, portami via con te, portami via…”
Cadde in ginocchio, chiuse gli occhi.
Quando fu di nuovo vigile, la terra era accanto a lui e la bara aspettava solo d’essere schiodata: Selene aveva finalmente fatto capolino in quel cielo altrimenti più nero del culo dell’inferno.
“E’ la solitudine eterna che vuoi?”
Era una voce. Quella di Charlotte. Adesso lo sapeva.
Ma sapeva anche che non era possibile che fosse realmente lei, la Charlotte che lui amava.
“Vuoi la solitudine dunque? Si può sopportare tutto in vita, persino la morte, non la solitudine però.”
Erano parole folli, eppure tanto tanto vere: Anthony riconosceva che non gli veniva detto il falso. Il suo cuore comprendeva quello che la mente si ostinava a ricusare.
Non ricordava d’aver scavato di nuovo, ma non aveva più importanza: il feretro era davanti a lui e c’era solo bisogno che schiodasse il coperchio.
Doveva farlo. E se non fosse accaduto nulla, allora l’avrebbe baciata una seconda volta: sarebbe stato un vero peccato essere arrivati tanto in fondo e tirarsi indietro. La Luna gl’assicurava che l’alba era molto lontana, aveva dunque tutto il tempo che gl’occorreva. Si adagiò sul feretro e a quel punto avvertì chiaramente che l’aria non gl’era più pesante. Si affrettò a levare i chiodi.
Doveva solo sollevare il coperchio.
La Luna era alta in cielo, splendente come non mai. D’una bellezza superba.

I coniugi B. rimasero di sasso di fronte al sacrilegio: nessuno dei due diede però in lacrime e tanto meno si strappò i capelli in preda all’isterismo. La tomba di Charlotte era stata saccheggiata. La telefonata era arrivata di primo mattino e i due genitori afflitti, per così dire, si erano recati sulla tomba della figlia ma non prima d’una doverosa toilette. La bara era nuova di zecca: Madame B. fra sé e sé pensava ch’era un vero peccato, che la si poteva riciclare nel caso il corpo di Charlotte non fosse stato ritrovato. Monsieur B. esaminò il feretro, con il suo monocolo, lo trovò a posto e sospirò: per un momento gli s’era mostrato l’orribile pensiero che un necrofilo potesse aver abusato del corpo di Charlotte, ma non c’erano segni, i cuscini non erano sporchi di liquido seminale né c’era l’ombra di altro. Semplicemente qualcuno aveva trafugato il cadavere. Ed era negl’interessi dell’uomo non dar luogo a ricerche troppo insistenti: se mai fosse stato ritrovato il corpo, Charlotte, anche da morta, l’avrebbe messo in serio imbarazzo.
Entrambi i genitori tacquero di fronte al Responsabile del cimitero e alla Polizia. Entrambi tennero vivo il silenzio, che fu scambiato da tutti per indicibile dolore, cosicché la Polizia si limitò a verbalizzare ch’era stato trafugato il corpo di Charlotte B. Le ricerche, lo sapevano bene i poliziotti, non avrebbero condotto a nulla. Troppi pochi indizi e poi c’erano affari ben più urgenti da sbrigare: ritrovare un cadavere era un surplus di lavoro che sarebbe stato rimandato d’ufficio, fino ad archiviazione della pratica. Ovvio che non dissero nulla ai genitori. Strinsero loro la mano, con generosa forza che voleva significare ‘Fidatevi di noi!’
Non passò inosservato il fatto che Anthony fosse scomparso. Un ometto tarchiato arrivò a bussare fino a casa della famiglia B. per chiedere se sapevano d’un certo Anthony. Non sapevano nulla, ma quand’anche fossero stati a conoscenza d’una seppur minima traccia, loro non avrebbero aperto becco, così l’ometto dovette fare dietrofront e riferire. Nessuno se ne preoccupò più di tanto, anche se si cominciò a vociferare che fosse stato proprio il becchino a trafugare il cadavere di Charlotte. Si fecero delle indagini sommarie, giusto per salvaguardare le apparenze, e com’è prevedibile immaginare non furono trovate tracce attendibili: Anthony sembrava scomparso nel nulla, anzi era come se mai in questa Valle di Lacrime avesse mai portato il suo urlo di dolore natale.

“Staremo insieme per sempre.”
Era una constatazione, non un semplice desiderio.
Anthony accennò col capo ch’era proprio così.
Era ancora un po’ a soqquadro, non capiva bene cosa gl’era successo; però era certo della felicità che provava. Sollevando il coperchio della bara, Charlotte gl’aveva sorriso: “Sono nata sotto la Luna piena per Te!” Chiunque altro, come minimo, si sarebbe terrorizzato fino a farsi venire i capelli bianchi, invece Anthony aiutò la sua sposa ad alzarsi da quel tristo giaciglio. Insieme uscirono dalla fossa e mano nella mano, benedetti da una Luna raggiante, s’incamminarono lontano, in un mondo dove nessun umano avrebbe mai potuto torcergli capello. E in quel luogo non-luogo, che non è né del Paradiso né dell’Inferno, Charlotte aveva perso la verginità per darla all’uomo che amava e che avrebbe amato per sempre, perché così era scritto nel Libro del Destino. Anthony l’aveva deflorata e amata con tutto sé stesso in un nido di petali di rose selvatiche, petali più teneri del velluto, odorosi d’Indie mai toccate da sguardo umano. L’avevano fatto l’amore nel nido degli Dèi, e un po’ lo erano diventati pure loro.
Naturalmente Anthony le aveva chiesto se lei lo sapeva dove si trovano, ma Charlotte aveva chinato il capo sorridendo appena, allora lui aveva ripetuto la domanda: “Tu lo sai dove siamo? Che cosa ci è successo?” Charlotte, presa sotto la gentile insistenza di Anthony, gl’aveva risposto con voce flebile, un po’ civettuola: “Ci è successo l’amore, non ti basta? E questa è la Luna.” Poi era scoppiata a ridere, felice.
Anthony non le chiese più niente. Lei era bella e felice. Sospettava che lei sapesse, ma era felice anche lui. Il resto, tutto il resto non contava.

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Un corpo in avanzato stato di decomposizione venne alla luce durante una notte di Luna piena: a fare la macabra scoperta un vecchio col vizio di fare lunghe promenade in luoghi insoliti e alle ore meno convenienti. Il vecchio denunciò la scoperta: il cadavere era messo davvero male. L’autopsia stabilì che si trattava d’un giovane maschio bianco, ma non riuscì a stabilire la causa della morte. Furono prese le impronte dentarie. Nulla: non se ne venne a capo, quel cadavere comparso dal nulla non ce l’aveva un’identità, almeno all’apparenza. L’autopsia stabilì soltanto che non s’era trattata d’una morte violenta. Morte naturale. Il caso fu sepolto accanto ai verbali di Charlotte, che la indicavano come cadavere trafugato da ignoti.

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