Natale in casa Cupiello

Creato il 24 dicembre 2015 da Af68 @AntonioFalcone1

Scritta e rappresentata nel 1931, anno in cui debuttò, il giorno 25 dicembre, presso il cinema-teatro Kursaal di Napoli ad opera della compagnia Teatro Umoristico I De Filippo, Natale in Casa Cupiello è forse la commedia più nota di Eduardo, caratterizzata inoltre da una particolare gestazione prima di giungere alla sua costruzione definitiva.
Nata originariamente come atto unico (oggi è il secondo), un secondo atto venne aggiunto l’anno successivo ed un terzo nel 1934. Eduardo ne curò anche due versioni televisive per la RAI, una nel 1962 e l’altra nel 1977, quella analizzata nell’articolo. Casa Cupiello, ore 9 del mattino, il giorno precedente la vigilia di Natale. Concetta (Pupella Maggio), prima di scendere a fare un po’ di spesa, si appresta a destare il consorte Luca (Eduardo De Filippo), il quale non riesce a capacitarsi, emergendo dalle coperte tutto imbacuccato, di come si sia già fatto giorno, neanche il tempo di mettersi a letto … Per non parlare del freddo patito durante la notte … Ma dopotutto è Dicembre e “questo Natale si è presentato con tutti i sentimenti”, come ripete l’uomo prima di accingersi a bere il caffè premurosamente portatogli dalla moglie, non propriamente di suo gusto (fete e’ scarrafone).

Pupella Maggio

Il battibecco fra i due prosegue quando Lucariello le rammenta se abbia scaldato la colla, necessaria per ultimare la costruzione del suo amato presepio, uno scambio di “complimenti” il quale fa intuire come sia stata proprio Concetta a condurre con un certo polso la gestione familiare nel corso degli anni, assecondando l’inclinazione del marito a vivere in una sorta di mondo a parte, mantenendolo all’oscuro di tanti problemi.
La realtà alternativa prospettata da Luca è una probabile proiezione dell’immagine di quella Sacra Famiglia che andrà a raffigurare da lì a poco, salda nei valori morali ed inattaccabile da qualsivoglia avversità, cristallizzata in una coreografia costruita con le proprie mani, ma l’ambiente familiare si mantiene ben distante da tale ideale di perfezione.
Un figlio ormai adulto, Tommasino, detto Nennillo (Luca De Filippo), che non intende alzarsi dal letto se mamma prima non gli porta a’ zuppa e latte, nullafacente e tendenzialmente mariuolo, intento com’è a perpetrare una serie di furtarelli a danno di zio Pasquale (Gino Maringola), ospite (pagante) nell’abitazione del fratello Luca. Il pargolo appare poi essere del tutto refrattario alle tradizioni e ai valori “antichi” che il genitore cerca di tramandargli (Non me piace o’ presepio), e sembra attendere fatalmente un futuro di cui non conosce la portata.

Eduardo De Filippo

La figlia Ninuccia (Lina Sastri), apparentemente ben sistemata, sposata con il facoltoso fabbricante Nicola (Luigi Uzzo), matrimonio fortemente voluto dai genitori, nasconde anch’essa i suoi scheletri nell’armadio: è infatti innamorata di Vittorio (Marzio Onorato), amico di Nennillo, sentimento tanto forte che, come confida a mamma Concetta, l’ha ormai portata all’idea di fuggire con l’amante, abbandonando il marito.
Proprio nel corso dell’atteso cenone della Vigilia, una serie di equivoci e fraintendimenti, cui non sarà estraneo il candido Luca, ma senza comprendere alcunché, porterà alla tragica rivelazione di tutta la polvere nascosta sotto il tappeto. Un duro e traumatico impatto con la veridicità dei fatti che condurrà necessariamente l’anziano Lucariello a prospettare un nuovo punto di vista su quanto gli sta intorno, ma, ancora una volta, trasfigurato dal suo personale punto d’osservazione, per quanto incline ad appoggiare una logica superiore che gli sfugge, volta a sostenere la causalità degli eventi così come si sono prospettati al suo cospetto. Ecco l’appagante riconciliazione filiale a lungo attesa, Tommasino propenso ad accogliere l’idea del “piccolo mondo antico” paterno e Ninuccia intenta a riappacificarsi con colui che il padre, nel “benedire” la loro unione, vede come Nicolino ma che in realtà è Vittorio.

La ricompensa finale per quest’uomo con il cuore da bambino sarà un’inedita visione, forse l’ultima… “un presepio grande come il mondo sul quale scorge il brulichio festoso di uomini veri, ma piccoli piccoli che si danno un da fare incredibile per giungere in fretta alla capanna, dove un vero asinello ed una vera mucca, piccoli anch’essi come gli uomini, stanno riscaldando con i loro fiati un Gesù Bambino grande grande che palpita e piange, come piangerebbe un qualunque neonato piccolo piccolo…” Rappresentazione teatrale in apparenza piuttosto semplice nel suo impianto complessivo, Natale in casa Cupiello accompagna la graduale propensione delle commedie eduardiane dai toni comici propri della tradizione farsesca a quelli più umoristici e tragici, dall’evidente ascendenza pirandelliana. Pone inoltre in evidenza quel particolare legame, spinto fino alla totale identificazione, fra l’ attore e il personaggio interpretato, ad avviso di chi scrive una delle caratteristiche più evidenti delle tante prove attoriali di Eduardo.
Il grande artista ha infatti offerto spesso risalto sul proscenio ad uomini solitari, pur in un contesto familiare, solidi nei loro principi e il cui senso della vita appare spesso permeato in egual misura da un’ironia tragica ed una certa inquietudine.

Lina Sastri ed Eduardo

Personaggi con i quali il pubblico a sua volta ha un rapporto di completa immedesimazione, anche in virtù di un’esibita napoletanità nel mettere in scena le varie abitudini popolari oramai divenute veri e propri riti, a volte trasmutate da un afflato surreale ma sempre evidenziandone le caratteristiche propriamente umane, perpetrate da individui che in esse vedono il conforto, la sicurezza di un soffio vitale. Ravvisando inoltre una sorta di catena evolutiva, con tutte le problematiche sociali che essa comporta, del ceto più basso, il popolo propriamente detto, verso la piccola borghesia, prende vita nel gioco dell’arte teatrale condotto da Eduardo la metafora di una realtà che da particolare si rende universale, come confermato dall’internazionalità dei successi relativi alle varie rappresentazioni. Così, anche nella commedia in esame, nel portare in palcoscenico la celebrazione di uno dei riti più sentiti dal popolo napoletano, Eduardo offre una netta contrapposizione fra “l’universo parallelo” di Luca Cupiello, al cui interno il passato è un valore da preservare, utile anche nel rapportarsi con un naturale progredire ed intuirne meglio la portanza innovativa, e quello prospettato dalle nuove generazioni, probabili protagoniste, felice intuizione, del secondo dopoguerra, le quali invece intendono distaccarsi del tutto da tali retaggi, ritenuti inutili gravami imposti dall’autorità genitoriale.

Lucariello sembra percepire la propria inferiorità e il suo defilarsi di fronte alle pressanti problematiche familiari costituisce un atto volontario, una forma di autodifesa, che viene probabilmente ancora prima della delicatezza espressa dalla moglie Concetta nel volerlo tenere lontano dai suddetti triboli, assecondandone ogni andamento umorale. L’allestimento del presepio è l’unico modo che l’uomo ha di approntare una realtà tutta sua, ferma ed incrollabile nelle assunte regole morali, lottando contro i mulini a vento dell’incomprensione filiale, risolta solo in punto di morte, quando i figli, in una cornice onirica e surreale, verranno a patti con la figura paterna e il genitore troverà pace nel definitivo confronto con la propria più intima essenza. Nella versione televisiva trasmessa dalla Rai nel ’77, analizzando in conclusione gli aspetti meramente tecnici, risalta la regia di Eduardo, attento a far sì che i personaggi si presentino gradualmente in scena, rivelando attraverso dialoghi e situazioni ogni aspetto della loro personalità, anche il più subdolo e meschino. Superba poi la sua interpretazione del nominale pater familias, indimenticabile anche nella caratterizzazione fisica, un vero e proprio saggio di mimica, accorte pause e momenti silenti ulteriormente espressivi, nella loro incisiva e naturale sottolineatura, di un fare fanciullesco ed ingenuo.

Eduardo e Luca De Filippo

Mirabile il ritratto di Tommasino offerto da Luca De Filippo, a metà strada fra il burattino birbante di collodiana memoria e Peter Pan, figura in un certo senso speculare a quella paterna nella sua immobilità esistenziale ma senza alcuna impronta d’autentico candore, mosso soprattutto dall’ opportunismo nell’adattare la vita alle proprie vacue esigenze. Da non dimenticare, ovviamente, la sublime Concetta di Pupella Maggio, colonna portante della famiglia che sembra potere reggere ogni colpo, cadendo e subito “resuscitando”, anch’essa foriera in scena di una rara arte mimica e di una sopraffina naturalezza recitativa, così come tutti gli altri interpreti, quali Lina Sastri nel ruolo dell’inquieta Ninuccia o Maringola nei panni del furbo zio Pasquale. Il finale è piuttosto suggestivo, velato, come già scritto, di toni surreali ed ammantato di coinvolgente tristezza, ma umanamente consolante. Un invito a voler accogliere nel proprio animo l’abbraccio fatato di una fantasia la quale ci porta a raffigurare l’ideale di un mondo al cui interno ogni singolo individuo sa farsi piccolo piccolo di fronte al grande ed infinito mistero della propria quotidiana esistenza.


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