Il titolo mi piace poco, devo dirlo. Mi piace poco perché insinua il sospetto che si sia già deciso in anticipo che i media digitali producono trasformazioni nei "nuovi" bambini e adolescenti che ci smanettano sopra. E invece le cose sono più complesse. Perché non è possibile isolare la tecnologia nella sua capacità di produrre effetti sulle persone da tutti gli altri elementi che nei contesti sociali interferiscono su questa relazione. I nati(vi) digitali leggono meno perché passano più tempo con i media? O passano più tempo con i media perché leggono meno? Ed è poi vero che leggono meno? Se si sta a quanto le ricerche dell'équipe di Morcellini hanno fatto emergere sui consumi culturali dei giovani si direbbe di no: e infatti nell'ultimo decennio risulta che leggono di più. Qundi, prima cosa: il rapporto tra soggetto e tecnologia va letto al riparo dalla tentazione di facili determinismi. Chiarito questo articolo il mio pensiero in tre passaggi.
1. I consumi. Qui mi interessano più i tratti che accomunano nativi e adulti (gli immigranti) che non quelli che ne demarcano il gap. Mi interessano di più perché sono messi in evidenza dalla ricerca recente e dai recenti sviluppi degli usi sociali della tecnologia. La mia tesi è che il divario tra nativi e immigranti si va facendo sottile. Penso a tre aspetti. Primo: la tecnologia si va facendo invisibile (Norman), e questo la rende più facile, anche per chi come l'adulto è tradizionalmente meno avvezzo a relazionarsi con essa. Secondo: per tutti (noi compresi) le tecnologie stanno sempre più diventando protesi di competenza sociale. Comode per dirsi cose spiacevoli o comuqnue imbarazzanti, in ogni caso sempre più "innestate" nelle nostre vite. Terzo: la tecnologia (soprattutto i cellulari) va definendosi come uno spazio interessante di relazioni intergenerazionali, luogo di negoziazione dei rapporti, anticamera di un ritorno del dialogo educativo.
2. I punti di attenzione educativi. Sono quattro, comuni alla preoccupazione educativa dei genitori di tutti i tempi. Li possiamo ridurre ai seguenti: luogo (da dove comunicano?), tempo (per quanto tempo e in quali tempi?), contenuti (cosa scaricano? cosa pubblicano?), relazioni (con chi comunicano e quali spazi sociali allestiscono?).
3. Linee di intervento. Le agenzie educative possono ragionare su questi punti di attenzione, presidiandoli secondo i loro specifici. In particolare due parole in più le spendiamo sulla scuola. Qui due osservazioni. La prima. Non è vero che la scuola è solo "giurassico tecnologico", è sempre in ritardo sul nuovo, vive nel passato, è luogo di insegnanti incompetenti e demotivati. Chi ci lavora sa che la scuola è al contrario spazio di molte eccellenze, di professionalità eccezionali, di buone pratiche. Il problema è far diventare tutto questo sistema. Ecco il punto. A questo riguardo ho tre indicazioni operative: a) concentrarsi sul mindware, sulla testa dell'insegnante, cioè sulla tecnologia che realmente fa la differenza; b) applicare alla tecnologia la stessa ricetta che la Media Education ha applicato ai media tradizionali, insegnare il pensiero critico; c) lavorare per la costruzione di un'appropriazione responsabile della tecnologia da parte dei ragazzi. Il tema della cittadinanza passa oggi in larga parte da qui.