13 settembre, Libia. Due cacciatorpedinieri USA, con a bordo missili Tomahawk e un equipaggio di 300 persone, stazioneranno davanti alle coste libiche come “misura preventiva”, dopo l’attacco all’ambasciata statunitense durante il quale è stato ucciso l’ambasciatore Chris Stevens.
L’FBI parteciperà alle indagini quasi sicuramente. Il personale diplomatico è stato evacuato. Al suo posto stanno per partire circa 200 marines per “rafforzare la sicurezza”. A questi si aggiungeranno i famosi droni, che sorvoleranno la Libia alla ricerca dei campi d’addestramento dei terroristi.
Il presidente del Congresso generale Nazionale Mohamed al-Megaryef in una conferenza stampa ha detto: «Presentiamo le nostre scuse agli Usa, al popolo americano e al mondo intero».
La ricostruzione.
Secondo la Cnn, che cita fonti americane, l’attacco sarebbe attribuibile ad Al Qaeda.
Un modo per punire la proiezione del film “Innocence of Muslim” di Sam Bacile, l’uomo che dopo i disordini al Cairo aveva poco diplomaticamente affermato che “l’Islam è un cancro”.
L’assalto alla sede diplomatica, durato 45 minuti, è cominciato “con un botto forte – hanno raccontato testimoni – poi si è visto del fumo e si sono sentiti dei colpi. Le strade vicine sono state chiuse rapidamente e quasi subito sono stati formati anche dei blocchi nella zona”.
L’ambasciatore e le altre tre vittime, due marines e un impiegato erano in auto, cercando un luogo sicuro dopo l’attacco all’ambasciata, quando il mezzo è stato colpito da un razzo.
Ayman al Zawahiri, numero due di Al Qaeda ha rivendicato l’attentato: “Una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi”.
Vittorio Nigrelli