Di Roberto Morozzo della Rocca
Università di Roma
-seconda ed ultima parte-
Il marxismo è stato la teologia di questa religione, necessario forse per accordarla con la modernità. In verità, il marxismo in Albania non nasce da un’ispirazione del Profeta, si chiamo pure Enver Hoxha. È stato invece un fenomeno storico: è stata la risposta rabbiosa e disperata ad una società che era rimasta al livello feudale, la più arretrata d’Europa, con tassi altissimi di miseria ed analfabetismo[1]. E tuttavia, il marxismo ha servito egregiamente la religione albanese della nazione, fornendole parole d’ordine, obbiettivi, riti e dogmi. Tutte le asserite conquiste del marxismo albanese, l’uomo nuovo, la società degli eguali, sono state considerate esclusive non tanto del marxismo, quanto della nazione albanese.
In Albania, d’altra parte, la fede della nazione non ha avuto concorrenti temibili. Le religioni albanesi non ne hanno minacciato il primato nella cultura e nella vita pubblica albanese. L’egemonia ideologica del nazionalismo ha anzi influenzato profondamente le comunità religiose albanesi.
L’Albania è un paese mediterraneo molto particolare: è l’unico della riva Nord ad essere a maggioranza musulmana. Ora, l’Islam albanese è tutt’altro che integralista, ha tendenze sintetiche, ha un concetto debole dell’Umma dei credenti nel Corano, ha tradizioni ancora povere[2]. Non è un islam che forgia un’identità nazionale, pur contando formalmente sul 70% della popolazione. Del resto, il passaggio dal cristianesimo all’Islam di parecchi albanesi, lungo l’età moderna, sotto il dominio ottomano, è stato definito da taluno, non senza ironia “un atto di politica alimentare”: era un modo di sopravvivere[3].
Le comunità religiose albanesi, com’è noto, sono fondamentalmente quattro: la musulmana sunnita, la musulmana bektashi (questa setta di dervisci, con elemento dottrinali ad un tempo sciiti e cristiani, misterica ma anche aperta alle ideologie della modernità, coinvolgeva prima del comunismo intorno al 15% della popolazione), ortodossa (circa il 20%), la cattolica (circa il 10%)[4]. Ebbene, nelle mie ricerche sull’Albania contemporanea ho riscontrato come queste comunità religiose si siano strettamente legate alla passione nazionalista, assumendola come tratto privilegiato della loro azione[5].
Le riviste cristiane e musulmane, i discorsi dei capi religiosi, le dottrine sociali e politiche delle diverse religioni, tendevano in Albania sempre a sottolineare la centralità della questione nazionale. Qualora una comunità religiosa aveva contrasti con un'altra, era tutto un vantare, da una parte e dall’altra, le più alte benemerenze patriottiche. Lo stesso accadeva se una comunità religiosa era in urto con il potere civile: per prevalere nella querelle, entrambe le parti rincaravano il nazionalismo. Quasi che il dogma della nazione fosse al di sopra dei dogmi confessionali o della ragion di Stato.
Qualche minoranza religiosa – è vero – non valorizzava troppo il discorso nazionalista, ma il fenomeno è secondario. Penso alle poche migliaia di ortodossi grecofoni della Bassa Albania, che però costituivano più un problema etnico che confessionale, oppure ad alcuni gesuiti di Scutari, peraltro cittadini italiani, i quali comunque avevano un loro peculiare attaccamento alla terra albanese.
Anche il luogo comune che vuole gli albanesi di diverse fedi sempre uniti quando la patria è in pericolo non è un’astratta idealizzazione. In effetti, in virtù della professione di fede patriottica a tutti comune, si guardava agli albanesi di diversa religione come a dei fratelli non appena si aveva da condividere una qualche emergenza per la nazione. È vero che, poi, si riprendeva a vederli come diversi o inferiori in fatto di civiltà una volta tornati alla normalità. Ma di fronte ad ingerenze, minacce, invasioni straniere, le religioni albanesi si sono di regola scoperte solidali nella difesa della patria. In questo senso può essere in buona sostanza respinta l’accusa tradizionalmente rivolta alle religioni albanesi, di essere state fattore di divisione e pertanto di debolezza nazionale[6].
Quando Hoxha, nel 1967, metteva al bando le religioni in quanto antinazionali, quali che fossero i veri moventi della sua azione, la fondava particolarmente su questa accusa[7]. Ma Hoxha sapeva probabilmente di semplificare la questione, in vista dell’uso politico che ne doveva fare.
Indubbiamente le religioni sono state considerate dai nemici esterni dell’Albania come strumenti di penetrazione nel paese, ma questo non significa che le comunità religiose albanesi intendessero essere loro complici. In realtà esse erano permeate della cultura nazionalista egemone e condividevano l’idea nazionalista, vissuta come destino sacro e fatale. Così era, tra le due guerre, per gli ortodossi impegnati a fondare e sostanziare l’autocefalia e a rigettare la cultura greca: per taluni dei francescani che inclinavano – loro religiosi cattolici – alla xenofobia; per i bektashi che vantavano per sé i maggiori patrioti albanesi e identificavano nella patria “il massimo di tutti i beni”[8]; per i musulmani sunniti che, dopo qualche incertezza iniziale, sentivano l’Albania indipendente ed i palazzi di potere, a Tirana, come loro creature esclusive.
Non intendo affatto, con queste osservazioni, ridurre le religioni dell’Albania a entità irrilevanti, la cui unica funzione era o è di sostenere l’idea di nazione. Lo storico non può indagare l’assenza del fenomeno religioso, ma solo proporre una storia positiva dei comportamenti umani socialmente rilevanti, indipendentemente dal giudizio del sentimento religioso e della “fede” degli individui e dei popoli. Lo storico non può dire se gli albanesi siano o no un popolo religioso, benché ciò sia stato oggetto di infinite controversie politiche e letterarie. La “fede” è per sua natura realtà interiore, invisibile, incontrollabile. Lo studioso può invece ricostruire il ruolo di comunità, che ad una fede si richiamano, negli avvenimenti di una società e di un paese. In questo senso, si può rivelare la forte influenza che l’idea di nazione ha esercitato sulla cultura e sugli uomini di religione e sui credenti albanesi per un lungo periodo, stante che nessun credente vive al di fuori della propria determinata temperie culturale e sociale.
In conclusione, se gli albanesi non sono, dopo il crollo del comunismo, un popolo senza identità, questo è dovuto al sedimentarsi, ininterrotto, di una cultura in cui patria e nazione sono elementi tutt’altro che secondari. Le religioni hanno pure contribuito a questa cultura, inserendosi in tal modo pienamente nella corrente e nello spirito della vita albanese contemporanea. D’altra parte, è pur vero che una civiltà cristiana e una civiltà islamica dell’Albania sono realtà di fatto, che hanno plasmato l’identità di questa nazione, ma forse sarebbe meglio dire che ne hanno plasmato l’anima, che è qualcosa di cui lo studioso di cose storiche non riesce facilmente a parlare.
[1] Cfr. a questo proposito B. BARDOSHI e T. KAREGO, Le dèveloppementèconomique et social de la R.P. d’Albanie (1944-1974), Tirana, 1974 e, in altro senso, S. SKENDI, Albania, New York 1956; ma soprattutto il quadro dell’economia albanese tracciato in A. ROSSELLI, Italia e Albania: relazioni finanziarie nel ventennio fascista, Bologna 1986.
[2] Sull’Islam albanese cfr. A. POPOVIC, Les musulmans du Sud-Est europèen dans la pèriode post-Ottomane. Problèmes d’approche., (Journal Asiatique”, 26 (1975), pp. 317-360; P. BARTL, Die albanischen Muslime zur Zeit der nationale Unabhängigkeitbewegung 1878-1912, Wiesbaden 1986; oltre al mio, Nazione e religion in Albania(1920-1944), Bologna 1990.
[3] Cfr. il citato articolo sulla”Revue des deux Mondes”. La definizione in questione è del figlio del re Zog e aspirante al trono d’Albania, Leka I. su un piano più scientifico si vedano, a proposito dell’islamizzazione degli albanesi: BARTL, op. cit.; T. W. ARNOLD, The Preaching of Islam. A History of the Propagation of the Muslim Faith, London 1986; G. Stradmüller, Die Islamisierung bei den Albanern, “Jahrbücher für Geschischte Osteuropas”, 3 (1955), pp. 404-429; H. KALESHI, Das Türkische Vordringen auf dem Balkan und albanischen Volkes, in Südosteuropa unter dem Halbmond, hrsg. Von Peter Bartl und Horst Glassl, München 1975, pp. 125-138.
[4] Per un approccio complessivo alle religioni in Albania rimando al mio, Nazione e religione in Albania.
[5] Cfr. ibidem.
[6] Un tentativo di mettere a fuoco il rapporto tra religione e nazione, ovvero di appurare come fattore religioso incida sul nazionalismo, se in senso favorevole o contrario, in un recente studio di Eric J. HOBSBAWM (Nazioni e nazionalismo dal 1870. Programma, mito, realtà, ed. it. Torino 1991), il quale dopo una casistica che presenta situazioni molto contraddittorie non azzarda una conclusione univoca: “In definitiva: i rapporti tra religione e identificazione proto nazionale o nazionale restano complessi e assai poco chiari e, in ogni caso, non sono suscettibili di generalizzazione(p.80). a proposito dell’Albania, Hobsbawm rileva come gli albanesi avessero nell’Ottocento una coscienza nazionale piuttosto sviluppata “nonostante fossero divisi al loro interno da una quantità di fedi religiose molto maggiore di quella che normalmente si ritrova nell’ambito di un territorio dalle dimensioni all’incirca corrispondenti a quelle del Galles” (p. 79).
[7] Sulla lotta antireligiosa del 1967 e degli anni successivi cft. Le motivazioni e le ricostruzioni su cui si sofferma no poco, e con chiarezza, l’ufficiale Storia del Partito del Lavoro d’Albania, edita a cura dell’Istituto di studi marxisti – leninisti presso il Comitato centrale del Partito del Lavoro d’Albania, Tirana, 1971, pp. 652-258.
[8] L’espressione è del bektashi Naim Frashëri, considerato il maggior patriota albanese de secolo scorso (cft. N. Frashëri, Die Bektaschis, herausgageben und übersetz von Norbert Jokl, “Balkanarchiv”, 2 (1962), pp. 226-240).
Tratto da: LINGUA MITO STORIA RELIGIONE CULTURA TRADIZIONALE NELLA LETTERATURA ALBANESE DELLA Rilindja. Il contributo degli Albanesi d’Italia. Atti del XVII Congresso Internazionale di Studi Albanesi. Palermo 25 – 28 novembre 1991