L’ operazione antiriciclaggio“Re Artù” è in corso da stamane in tutta Italia, dopo che la Guardia di Finanza di Locri, sotto la direzione della Dda di Reggio Calabria, ha bloccato una colossale organizzazione messa in atto attraverso l’intermediazione di esponenti di spicco della ‘ndrangheta reggina e di Cosa nostra siciliana. Venti sono le persone arrestate con l’ accusa di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, alla truffa e alla falsificazione di titoli di credito e che ora sono sottoposte ai provvedimenti restrittivi, firmati dal gip Silvana Grasso, su richiesta del procuratore della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone e dell’aggiunto Nicola Gratteri.Se la base dell’organizzazione è stata individuata nella Piana di Gioia Tauro,i provvedimenti restrittivi i notificati ieri, invece interessano persone di diverse città italiane, e precisamente: Trapani, Reggio Emilia, Modena, Catanzaro, Palermo, Bologna, Verona, Cosenza e Reggio Calabria.
Il titolo di credito collaterale, emesso dal Credit Suisse nel ’61, è intestato al dittatore indonesiano Sukarno ed era nelle mani della ‘ndrangheta, che cercava di negoziarlo con l’aiuto di uomini di Cosa nostra e di alcuni istituti bancari. L’inchiesta ha avuto inizio in seguito al sequestro, avvenuto a Palmi nel settembre 2009, di un un certificato di deposito (in oro) emesso dal Credit Suisse per un importo di 870 milioni di dollari per il quale furono denunciate due persone ritenute vicine alla cosca dei Fazzala.
I criminali, senza perdersi d’animo, ha creato una falsa documentazione che attestava la provenienza del titolo, dando però così modo alla Guardia di Finanza di seguire i loro movimenti di negoziazione con i diversi istituti bancari.
L’indagine ha portato a galla il grave raggiro utilizzato dalla criminalità organizzata per sostituire ingenti somme di provenienza illecita, moneta teoricamente inesistente, per traffici invisibili. Denaro che, per essere pulito, ha necessità di passare attraverso le banche. La mala vita ha cercato di monetizzare il titolo di credito rivolgendosi a insospettabili professionisti e cercando di coinvolgere contemporaneamente istituti di credito nazionali ed esteri. Le ‘Ndrine, per giustificare l’origine del certificato di deposito, aveva escogitato l’espediente di documentarne la provenienza a nome di un Monsignore deceduto, che avrebbe ottenuto il titolo da Sukarno come ricompensa per avergli salvato la vita durante una rivolta avvenuta in Indonesia. Il titolo fu trovato nell’auto su cui viaggiava Nicola Galati, 53enne originario del vibonese, che dall’Emilia Romagna stava giungendo in Calabria. Dalle intercettazioni telefoniche erano emerse le trattative per la negoziazione con istituti bancari sia Italiani, il Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di Siena e la stessa banca vaticana Ior, sia esteri Ing Direct e Unicredit. Per riciclare quella cifra stratosferica, le ‘ndrine reggine si erano appoggiate alla mafia siciliana: Cosa nostra di Alcamo.
Stamane Antonio Drago di Altavilla Milicia (Palermo), Salvatore Angelo di Salemi (Trapani) e Andrea Angelo di Alcamo (Trapani) si sono presentati in una filiale del Banco di Sicilia per negoziare il certificato. Stavano per riuscire nella loro impresa quando la Guardia di Finanza di Reggio Calabria lo ha sequestrato. Il procuratore della Dda di Reggio Calabria, Giuseppe Pignato così ha commentato. «Le trattative intavolate con le banche ci fanno porre alcune domande sul rischio di collusione o di una ingenuità eccezionale da parte dei funzionari bancari» Vicende queste che fanno certamente riflettere sul grado di penetrazione degli esponenti delle organizzazioni mafiose nel sistema bancario internazionale.
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