Forse il diavolo oltre che nei dettagli si nasconde nelle parentesi, e alle volte basta una parentesi per spiegare più di mille parole. Prendete queste due frasi, la prima è presa dall’ordinanza San Michele, indagine su una ‘ndrina operante in Piemonte e sulle sue mille ramificazioni che arrivano su su fino al cantiere di Chiomonte; si riferisce a Giovanni Toro, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa:
“individuava canali preferenziali per l’infiltrazione nei lavori di realizzazione di opere pubbliche, ivi comprese quelle per la realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità (T.A.V.) Torino-Lione”.
La seconda è in un articolo de La Stampa del 29 marzo 2015, scritto da Giuseppe Legato, che annuncia la chiusura delle indagine dell’inchiesta San Michele; in un virgolettato riferito a Toro e all’ordinanza leggiamo:
“individuava canali preferenziali per l’infiltrazione (non avvenuta) in opere pubbliche compresa la Tav”.
La medesima frase, ma con una aggiunta: una parentesi che apre dei mondi.
L’articolo de La Stampa inizia così: “novecento pagine che si leggono come un romanzo”; ed è vero, le carte dell’ordinanza sembrano davvero un noir con protagonista il movimento terra, gli appalti e la mafia, un romanzo che si svolge nei nostri paesi e le cui trame denunciamo da tempo. Ma subito dopo il giornalista prende una strada curiosa: “un romanzo che è poi la storia di un sogno infranto: quello della ‘ndrangheta di entrare negli appalti legati alla Tav Torino-Lione”. Tutti felici, i buoni vincono, la mafia è sconfitta, forza Tav. Concetto questo ripetuto anche nell’immagine dell’articolo: una foto del cantiere in Clarea con sotto scritto: “il cantiere Tav di Chiomonte in cui la malavita calabrese non è riuscita a infiltrarsi”.
Purtroppo questo idilliaco scenario appare in contraddizione con ciò che sta scritto nelle carte dell’inchiesta.
Ad esempio Legato si guarda bene dal dire nel suo articolo che Giovanni Toro ha lavorato nel cantiere di Chiomonte. Nell’intercettazione che segue Ferdinando Lazzaro, anche lui indagato nell’inchiesta e definito “uno dei principali riferimenti per le società RFI e LTF”, parla con Giovanni Toro di un lavoro nel cantiere Tav tirando in ballo Elia di LTF (Lyon Turin Ferroviaire).
Non solo. Nell’ordinanza si dice pure che dopo il fallimento della Italcoge di Ferdinando Lazzaro e prima della creazione della Italcostruzioni, Lazzaro continuò ad occuparsi del cantiere proprio grazie a Toro.
Giovanni Toro anche dopo la costituzione della Italcostruzioni continua a collaborare con Lazzaro per lavori relativi al cantiere Tav, questa intercettazione è di fine marzo 2012:
L’ordinanza è ancora più esplicita a pagina 938, un passaggio che dev’essere sfuggito a Legato, dove si parla della “effettiva capacità” della ‘Ndrangheta di infiltrarsi nel cantiere di Chiomonte e di “progressivo inserimento” nei lavori:
Noi comprendiamo lo slancio de La Stampa affinchè il fango della ‘Ndrangheta non schizzi sui lavori per l’Alta Velocità, ma se raccontando così la vicenda dell’inchiesta San Michele fa un ottimo servizio a LTF e ai fautori del Tav, ne fa uno pessimo all’informazione e ai lettori. Raccontare la favola del cantiere immacolato della Maddalena non serve a nulla, oltre ad essere falso. Minimizzare, sminuire, far credere al lettore che può tirare un sospiro di sollievo, non ci pare buon giornalismo. Sarebbe più interessante chiedersi cosa intende Toro quando parlando con Sisca, uno dei principali indagati per il sodalizio mafioso, e sfregandosi le mani per i cantieri in Val Susa dice: “io l’ho vista…la TAV…l’ho vista…l’ALTA VELOCITA’ l’ho vista a Settimo…cosa porta…”
[Per un racconto dettagliato dell’intera vicenda cfr qui]
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lione notav spinta dal basso tav torino 2015-03-31