Cercando di tagliar corto col noioso, ma purtroppo necessario, gioco delle differenze tra il vecchio e il nuovo album, basti sapere che, se il primo era fondato su una base melodica di violini e arpeggi e su una sezione ritmica soft, ai limiti del jazz, sulle quali venivano montate ad arte brevi ma efficacissime sfuriate di matrice black metal accompagnate da corpose dosi di voci pulite, oggi il rapporto di equilibri è ribaltato. Sono infatti gli interludi strumentali di più ampio respiro che vanno a incunearsi tra le sezioni veloci, che la fanno da padrone ma, gravitando intorno a un death metal tecnico ed ipertrofico, prediligono questa volta i growls, l’entropia e il caos a scapito delle clean vocals, del violino e, più in generale, delle atmosfere. Resta comunque presentissima quella vena prog che fa sì che i tizi di Metal Archives etichettino gli australiani come una band extreme progressive (bah!). Il fatto che, inoltre, abbiano ridotto la durata totale del disco (Portal superava l’ora e dieci) ma non la durata media dei pezzi rende Citadel leggermente più fruibile ma comunque intellettualmente impegnativo, per quanto emotivamente meno coinvolgente, almeno dal mio punto di vista. Anche se gli sviluppi futuri possibili di questo gruppo non mi sono ancora ben chiari (inorridisco e rabbrividisco all’idea che possano cedere al richiamo perverso di una di quelle categorie del metal che finiscono in -core), vorrei ribadire che, per quanto mi riguarda, ‘sti qui restano una spanna sopra le varie proposte venute fuori negli ultimi due/tre anni. (Charles)
Potete ascoltare lo streaming ufficiale di Citadel a questo link.