Come pellegrini a Lourdes attendono la salvezza recitando il salmo del liberismo come fa compunto e stentoreo il giovane barone Filippo Taddei irresponsabile economico del Pd il quale dall’alto di consistenti fortune familiari, spiega ai giovani che per studiare occorrono molti soldi e che quindi solo i ricchi se lo potranno permettere. Che il lavoro è destinato ad essere precario, che gli orari si alzeranno vertiginosamente per favorire i profitti del padrone e che si dovrà smettere di pensare di poter andare in pensione. La cosa ridicola è che il baronetto, il quale ha potuto sempre evitare il lavoro e a cui i soldi hanno comprato il tempo, i contatti e le possibilità di accedere a posizioni para accademiche presso umbratili succursali italiane di università Usa, una volta che si è messo alla prova ha fallito miseramente il concorso per cattedre di economia presso vere università pubbliche non riuscendo ad intercettare nessuno dei 300 “posti” su poco più di 400 candidati.
Dico questo non tanto per la soddisfazione di togliere il velo griffato a un ennesimo economista della mutua, quanto per sottolineare la distanza fra ciò che occorrerebbe immaginare e ciò che la classe dirigente italiana è capace di pensare al di là di recitare il rosario come il baronetto Taddei, beghina del mercato. Alla luce di questo panorama non appare sorprendente che i pasticci compiuti ormai da un quindicennio con Alitalia, fra amministratori incapaci, capitani coraggiosi della minchia fino alla sua svendita ad Etihad, porti oggi alla grottesca possibilità che l’hub dell’ex compagnia di bandiera venga alla fine trasferito fuori dal Paese. Una possibilità tutt’altro che remota, in fondo insita nella natura stessa della vendita a una compagnia che aveva nel suo arco diretti concorrenti di Alitalia. E che comincia a prendere corpo attraverso i misteriosi incidenti e incendi di cui è stato vittima Fiumicino con l’approssimarsi dell’estate.
Del resto che dire in un ceto politico che si strappa i capelli per i “danni incalcolabili” di un giorno di sciopero a Pompei pur essendo direttamente responsabile del degrado del sito archeologico più famoso del mondo, completamente incapace di farne un motore di sviluppo e cercando con esemplare cecità di risparmiare il centesimo? Che dire di un sindacato da videogioco come l’Uil che ora propone scioperi virtuali? Che pensare di un sindaco della Capitale che dopo un anno e mezzo di assenza – demenza solo ora, per conservare il suo prezioso lato B sulla poltrona del Campidoglio, si accorge che forse sarebbe opportuno badare alla pulizia della città, che probabilmente occorre persino governare e fa il patto della birra con la Boschi, mentre comincia la rivolta? Questi sono davvero i becchini del Paese.