Negli Anni - Capitolo V - Giochi di Strada

Creato il 07 maggio 2011 da Laperonza
  

Non avendo videogiochi in casa (c'era giusto PacMan al bar di Dino) bisognava industriarsi, lavorare di fantasia e anche un po' di mano. Allora i giochi diventavano creativi. Per giocare a pallacanestro dovevi costruirtelo il canestro. Per giocare a pallone la porta erano due mattoni. Per giocare a nascondino, beh...bastava nascondersi.

   Mio figlio ha scoperto i "carozzi" solo l'anno scorso, proponendosi di costruirne uno ma, troppo impegnato con la sua PSP e i computer, ha abbandonato il progetto.

Con Francesco Di Rosa ne costruimmo uno stile Dick Dastardly. C'era Dino il falegname accanto alla casa di Francesco e impietosirlo e convincerlo a collaborare non fu difficile: Dino era ruvido come i suoi baffi e fumino come il suo sigaro ma era un pezzo d'uomo. Con una tavola piuttosto larga realizzammo il telaio portante. L'asse posteriore era un pezzo di legno avvitato bene al telaio, tornito sui mozzi per le ruote. Uno simile faceva da semiasse anteriore, ma non era avvitato se non al centro con una barra filettata e due dadi, in modo da fare da perno. Smontammo il meccanismo dello sterzo di un'automobilina a pedali e lo attaccammo al semiasse così realizzato.

Sul lato del telaio avvitammo un altro asse di legno in maniera che, basculando, faceva da freno a mano. Sempre in legno (e qui Dino fu determinante) costruimmo il sedile del pilota con tanto di spalliera. Il tocco di classe fu che tappezzammo il sedile con della pelliccia sintetica di agnellino gialla, del tipo che si usa per foderare i polacchi. Le ruote, naturalmente, erano quattro grossi cuscinetti tirati via da chissà quale macchina per calzature.

Era progettato per scendere in due e si guidava a turno. Si partiva dalla cima di via Palestro e la si percorreva tutta, con un rumore infernale e tutti gli abitanti che si affacciavano e qualcuno che ci malediceva. Filava che era una bellezza. Dopo qualche discesa un cuscinetto si allentò confermando che la fisica è una scienza esatta e ci sfracellammo sul selciato. Finì ad acqua ossigenata e cerottoni sulle ginocchia, tutto condito da severi rimbrotti da parte di babbo e mamma. Ne facemmo altri di carozzi, ma belli come quello mai più.

Con Ubaldo Tarabelli facevamo la gara con le bici nuove fiammanti ricevute in regalo per la prima comunione. Era l'epoca delle bici da cross. La mia era rosso Ferrari e cromo, con la sella lunga e il cambio a cloche che era meglio non usare se no se ne andava la catena. La sua era azzurro metallizzato con gli ammortizzatori.

Il garage con la porta rossa vicino all'ospedale vecchio, che ti trovi davanti scendendo per via Solferino poi via Don Minzoni, l'aveva affittato mio padre. Non essendo la porta al livello della strada c'erano due rampe per farci salire le ruote delle macchine. Aprivamo la porta, poi andavamo sotto la torre dell'acquedotto. Prendevamo larincorsa cercando di guadagnare quanta più velocità possibile gettandoci in discesa. Vinceva chi si infilava per primo dentro al garage facendo saltare la bici sulla rampa.

Di velocità se ne prendeva davvero molta, tanto che era necessario frenare prima di saltare nel garage altrimenti si andava a sbattere contro il muro di fronte. Ubaldo una volta se ne dimenticò. Lo vidi superarmi come un missile poco prima della rampa, la bicicletta salì il dislivello, decollò e andò a schiantarsi contro il muro. Credo fermamente che esistano gli angeli custodi perché Ubaldo non si fece nulla. La ruota anteriore della sua bicicletta però sì. Era diventata ovale.

Montegranaro è un paese da stambecchi, tutto salite e discese, pianura davvero poca. Così per giocare a pallacanestro bisognava adattarsi al poco spazio piano che c'era e magari farsi anche qualche palleggio sbilenco lungo le discese. Davanti casa di Francesco Di Rosa in via Palestro c'era un piccolissimo spiazzo dove appendevamo un canestro, ma il gioco si svolgeva lungo la via, in discesa, o in salita, dipende dai punti di vista. Gruppo fisso io, Francesco, Gioacchino Pirro e Lorenzo Brinchi. E chi perdeva palla la rincorreva. C'era da correre un bel po', poteva arrivare anche in fondo alla strettoia di via Cavallotti.

Passavamo pomeriggi interi in quel modo, con sudate da spavento. Un Giovedì Santo giocammo diverse ore grondando sudore, andammo a cena, e poi, senza cambiarci i vestiti né tantomeno le scarpe, andammo in chiesa per la cerimonia della lavanda dei piedi, celebrata dal vescovo Monsignor Cleto Bellucci, che a momenti svenne.


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