E così non udivi suoni dalla strada. Sentivi un passante camminare con l’inconfondibile scricchiolio delle suole sulla neve. Sentivi il suono cupo del silenzio. Vedevi un chiarore anomalo a quell’ora, il rifrangersi dei lampioni sul velo candido che aveva ricoperto la strada, i tetti, le cose. E così avevi la certezza: oggi non si va a scuola, la corriera non passa. A conferma del tutto arrivava mamma che sussurrava: “dormi che c’è la neve”. Mi accucciavo bene bene e mi dormivo quell’altra oretta che mi serviva per affrontare una giornata di capriole sulla neve.
Alle otto e mezzo al massimo arrivava qualcuno a chiamarmi: magari Uliano o Giovanni. E si usciva. Il paese era tutto bianco. Le macchine non passavano. Tutti a piedi. Tutti più calmi, rallentati. La fretta non va d’accordo con il ghiaccio. Ragazzini che giocavano a pallate ovunque. Piazza San Serafino trasformata in pista per gli slittini. Dietro le mura c’era il campo di battaglia per le pallate. I negozi di alimentari presi d’assalto come se la neve avesse dovuto durare mesi.
La giornata passava veloce, come gli slittini sul ghiaccio, come i sacchi neri dell’immondizia in discesa. Arrivava sera che nemmeno te ne accorgevi. Il gocciolare dei tetti non diceva nulla di buono. La speranza di una nuova nevicata si affievoliva. E domani le corriere sarebbero passate. Mi aspettava un’altra nottata di attesa, stavolta con poche speranze.