Foto di Eugenio Stefanizzi, genius loci della scena metal romana
Gli impegni conviviali della serata si abbandonano agevolmente in tempo per lo show dei rumeni perché il Closer per me è davvero il closer, il locale romano più vicino a casa mia. Non appena avranno completato i lavori della Stazione Tiburtina, non dovrò manco più girarci intorno per arrivare. Più Closer di così si muore. Pur ribadendo la riprovazione morale per lo scippo perpetrato da Negru ai danni degli altri due membri fondatori Sol Faur e Hupogrammos (che hanno poi dato vita agli eccellenti Dordeduh), con i quali aveva concordato lo scioglimento della band per poi fregarsi il marchio, avevo apprezzato moltissimo i due primi lavori pubblicati dal batterista con la nuova formazione, lo straordinario Vîrstele pămîntului e l’ep Poartă de dincolo, e la loro prestazione al Roma Obscura di un paio d’anni fa era stata poco meno che esaltante. Peccato che subito dopo Negru abbia licenziato in tronco tutta la line-up (si è salvato solo il polistrumentista ricciolone Petrica, che stasera però non c’è), uscendosene con quel Tau che è decisamente il disco meno interessante mai uscito a nome Negura Bunget. Oltre a due giovini carneadi al basso e alla chitarra, dietro il microfono troviamo, però, una vecchia conoscenza della scena estrema rumena: Tibor K., già frontman dei Grimegod, piccola leggenda underground locale.
Entro a set già iniziato da un quarto d’ora, mentre la band esegue Nămetenie, primo brano di Tau. Si inizia a ragionare con la successiva Tara de dincolo de negură, dove Negru imbraccia il bucium (o tulnic), un lungo corno che è tra gli strumenti tradizionali rumeni più utilizzati dal gruppo. Il guaio è che il bucium è lungo più di due metri e il palco è piccolo, quindi Negru deve stare attento a non falciare le teste delle prime file, che educatamente si chinano per consentirgli di evocare le divinità ancestrali della Transilvania. Durante la successiva Împodobeala timpului, sempre da Tau, la tensione un po’ cala. Subito dopo arriva però l’altro grande momento folk della serata con la strumentale Norilor, da Om, durante la quale tutti e quattro i membri si dedicano alle percussioni. Già, per fortuna si sono portati quella colossale tavola verticale che si suona con i martelletti. Non so come si chiami ma ci sarei rimasto male se non l’avessi vista. Siamo pochi ma buoni: dopo la cosmica Dacia hiperboreană, chiediamo e riceviamo il bis. Concerto coinvolgente ma un po’ altalenante, almeno per me che non ho apprezzato Tau. Però la prossima volta non lasciate a casa Petrica, mi stava tanto simpatico (Ciccio Russo).