Nei bunker dei boss

Creato il 19 dicembre 2011 da Speradisole

NEI BUNKER DEI BOSS

Roberto Saviano

«Quando ci si nasconde in questo modo si è disposti, pur di mantenere il proprio potere a rinunciare alla propria esistenza, alla propria anima. Alla luce. Ci sono stati boss che stavano perdendo gli occhi per vivere lì sotto, boss che fatturano milioni di euro al giorno e vivevano lì. Non pensate che questa siano storie lontane, quasi medioevali, storie di “terroni”. In questi bunker si decide il destino dell’Italia» (Roberto Saviano . Vieni via con me)

Alcuni tra i più famosi:

Totò Riina, preso il 15 gennaio 1993 dopo 24 anni di latitanza, nella sua villa in centro a Palermo, circondata da palme e pini, con una dependance e una piccola piscina. All’interno è stato ritrovato solo un quaderno di scuola (forse della figlia Lucia, allora tredicenne). La perquisizione del covo, tuttavia, è avvenuta dopo 18 giorni dall’arresto del padrino. I suoi uomini, nel frattempo, l’avevano ripulito e per cancellare ogni traccia avevano imbiancato alcuni muri. Nello studio la cassaforte è stata ritrovata  vuota. In cucina c’erano delle bottiglie d’acqua di plastica.  Bernardo Provenzano, arrestato l’11 aprile 2006 dopo 43 anni di latitanza, in un casolare, con ovile, a 2 chilometri da Corleone (Palermo). Nel rifugio c’erano un rosario, medicine e il cibo leggero che, per problemi di salute, il padrino doveva mangiare: minestra di cicoria e ricotta. Proprio grazie alla ricotta che ogni giorno gli veniva consegnata fresca, è stato stanato. In un pannolone (per l’incontinenza) sono stato scoperti 1.000 euro. Oltre a cinque bibbie, da cui traeva l’ispirazione per i pizzini, ritrovati due macchine per scrivere, pacchi di carta e oltre 200 fogli scritti. Francesco Schiavone, scovato l’11 luglio 1998, dopo 5 anni di latitanza nella sua villetta a Casal di Principe (Caserta), dotata di bunker sotterraneo. All’interno, due frigoriferi pieni di cibo, centinaia di libri e videocassette, tra cui un corso di pittura (perché nel bunker dipingeva). La vera ossessione era Napoleone: rinvenuti decine di volumi sul condottiero francese e un suo autoritratto in posa napoleonica. Assieme ad armi e munizioni scoperte due tende da campeggio. Sempre a Casal di Principe suo fratello si era fatto costruire una villa identica a quella di Scarface (Al Capone). Antonio Iovine, preso il 17 novembre 2010, dopo 14 anni di latitanza, in un villino di via Cavour a Casal di Principe, a meno di un chilometro da quello di Francesco Schiavone. Presenti pochi oggetti personali: il boss  cambiava di frequente covo. In una delle camere da letto è stato trovato un borsone di marca. Nell’ingresso c’era una piccola scrivania in legno, con accanto un mobile dove sono stati ritrovati alcuni libri, tra cui un dizionario di francese. Accanto alla Tv nel salotto c’era un secondo schermo più piccolo che trasmetteva quanto filmavano le telecamere di sicurezza. Michele Zagaria, il re del Casalesi, arrestato il 7 dicembre 2011, dopo 16 anni di latitanza. In un bunker supertecnologico a Sasapesenna (Caserta), sotterraneo, separato con cinque metri di cemento armato dal pavimento dell’abitazione. Un vero e proprio appartamento dotato di tutti i confort, con telecamere a circuito chiuso, televisori al plasma, molto high-tech. Zagaria ha 53 anni, ed era considerato “il re del cemento”, a causa del gran numero di aziende edilizie che fanno riferimento a lui e che sono state titolari di appalti pubblici in molte regioni d’Italia, dalla Campania al Lazio, all’Emilia Romagna.

Roberto Saviano lo descrive così « E ora è Zagaria, il numero uno. È Michele Zagaria, dopo l’arresto di Bernardo Provenzano, ad essere stato posto in testa ai latitanti più pericolosi d’Italia. Michele Zagaria, dai molteplici contronomi: Michele di Casapesenna, Capastorta, Manera, è lui il capo operativo del cartello dei «casalesi». È lui che apparentemente con responsabilità fiduciaria ricevuta da Sandokan e Bidognetti, opera come vertice del cartello criminale del cemento. Michele Zagaria è stato capace di pretendere che la «sua» Casapesenna divenisse un luogo capace di articolare tranquillità per la sua latitanza e un’incubatrice attenta e efficiente per le sue aziende. Imprese vincenti in ogni parte d’Italia. Dalla Toscana all’Emilia, da Sassuolo a Cracovia, le imprese del cartello dei casalesi seguendo la scia del cemento arrivano ovunque»

Manca ancora Matteo Messina Denaro, ma sembra che i “Cacciatori” ci stiano girando attorno molto da vicino. Anche lui cadrà.

I "Cacciatori" di Calabria

Per la cattura dei boss, è stato istituito un reparto speciale dei carabinieri i  “Cacciatori di Calabria” appunto.  Nato il primo luglio del 1991 per salvare i sequestrati tenuti prigionieri in Aspromonte e finito ormai il fenomeno dei sequestri, si sono specializzati nella caccia ai boss.

Molti di loro arrivano dai fronti di guerra: Kosovo, Libano, Afghanistan. Tutti hanno superato una selezione difficilissima. Solo il 40% supera i test  fisici e psico-attitudinali. Resistono 72 ore senza dormire, sotto il sole e nella neve,

I Cacciatori sono circa un centinaio, tra di loro si chiamano “falchi” e lavorano in squadre di sei persone, ognuna formata da un comandante, un vice e quattro operatori, fra cui un pattugliatore, un tiratore scelto e un addetto al primo soccorso.

La cosa più difficile è trovare i bunker, costruiti nei luoghi più impensati: sotto il lavandino del bagno, dietro un mobile ad angolo, dentro forni a legna, nelle stalle sotto le mangiatoie, altri in pieno centro dei paesi, per cui occorre che sappiano intervenire in aree urbane, anche calandosi dai tetti con le corde.

Statua Madonna di Polsi

Quello che non manca mai nel bunker sono le statue della Madonna di Polsi, cara alla ‘ndrangheta, e di Padre Pio, oltre ai santini che vengono bruciati durante le affiliazioni. http://www.locride.altervista.org/polsi.htm



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