Speciale: I primi 25 anni del Sandman di Neil Gaiman
- Neil Gaiman e Sandman: una questione di stile
- I primi 25 anni del Sandman di Neil Gaiman
- Sandman di Neil Gaiman for dummies
Né personaggi femminili con fisico da pin-up vestite con uniformi degne della più antica delle professioni.
Né momenti dove un qualche ideale sale sulla scena e prende la parola con forza oratoria.
Il linguaggio non abbonda di parolacce, sebbene sia vero che proprio su Sandman #64 (Le Eumenidi #8) appaia, per la prima volta non censurata, la famigerata “parola di quattro lettere” (e chissà se magari, in fondo, non sarà proprio questo tutto ciò che rimarrà di Sandman nella memoria fumettistica collettiva).
Non è esattamente così, ma queste affermazioni sono significativamente vere; d’altra parte, come tutta la narrativa, Sandman racconta cose vere, non necessariamente reali.
In Sandman non ci sono risposte.
Né un lieto fine.
Perché il protagonista, a cui si suppone il lettore si sia legato profondamente, esce sconfitto. Anzi, si ritira dalla lotta. Passa le consegne al proprio successore.
E lascia il lettore sconfortato.
In Sandman i momenti migliori, quelli che brillano di una luce particolare, sono dei “piccoli momenti” e Neil Gaiman stesso li definisce fondamentali nella poetica dell’opera (1). Momenti in cui lo stile dell’autore, basato sull’understatement, risulta più suggestivo, efficace nel delineare personaggi e rendere le sottigliezze delle emozioni con un’economia di tratti esemplare.
Gaiman acquisisce questa leggerezza di stile scrivendo il primo arco narrativo, Preludi e Notturni.
Per quanto valido, infatti, questo primo ciclo (2), non si fa scrupolo di utilizzare scene, se non di violenza gratuita, certo al limite del morboso: si veda 24 Hours, dove lo sterminio degli avventori di un locale è illustrato senza risparmio di particolari (si pensi all’orribile morte di Judy).
Così, in Una Speranza all’Inferno, assistiamo a uno scontro retorico fra Sogno e il demone Choronzon, la cui conclusione (la speranza è ciò che dà senso anche a un luogo come l’inferno) è il momento più didascalico dell’intera saga. Con l’ottavo episodio, Il Suono delle Sue Ali, assistiamo a una svolta nell’approccio alla scrittura, che tende a dare importanza a quei piccoli momenti di cui parlavamo.
La sicurezza con cui Gaiman mantiene questa cifra stilistica nel seguito fa pensare che, oltre che sviluppare padronanza del mezzo, la platealità di alcune soluzioni mirasse a creare/consolidare una base di lettori, il target essendo stato stimato essere quello degli appassionati dal genere horror (come conferma la locandina promozionale della serie, con il motto “Vi mostrerò terrore in una manciata di polvere” – variazione di un verso della Terra Desolata di T.S. Eliot.
Un flusso che scorre in maniera particolare, perché riesce a mantenere il fuoco sul protagonista anche quando, apparentemente, divaga. In questo emerge non solo la capacità narrativa di Gaiman, ma la sua, per così dire, abilità concettuale: scegliendo come protagonista il Re del Sogno, Signore delle Storie, colui che probabilmente definisce la realtà stessa (è l’ipotesi di Distruzione, il fratello che – “per viltade“? -”fece il gran rifiuto“), lo scrittore inglese ha fondato saldamente la pretesa di poter tornare sempre a lui, qualunque storia avesse deciso di raccontare.
E infatti, molti dei racconti liberi manterrebbero con piccole modifiche una propria forza anche se non avessero niente a che fare con Morfeo, anche se lui non comparisse, né venisse nominato.
Tuttavia, a questo proposito, merita notare che quelle “piccole modifiche”, ovvero la rimozione degli agganci all’universo di riferimento (delle tangenze narrative, per così dire) sono molto spesso accorgimenti tecnici capaci di creare suggestione. Si pensi alla sala sotterranea delle cerimonie che incontriamo in Cerements (in La Locanda alla Fine dei Mondi): quel particolare, che per gli ascoltatori della storia non allude a niente altro, è per noi fonte
Altre volte, certo, sembra che il racconto che leggiamo semplicemente intersechi l’intreccio principale: Façade addirittura non porta in scena Morfeo, ma solo sua sorella Death (paradossalmente più simpatica del fratello) e Il Sogno di Mille Gatti resta un mero divertissement. All’estremo opposto, Il Lamento di Orfeo finisce per essere appesantito dalla necessità di definire il contesto per ciò che avverrà in Brevi Vite (e, di conseguenza, ne Le Eumenidi); Sogno di una Notte di Mezza Estate lo è dalla volontà di collegare Morfeo e Shakespeare (creatore di storie per antonomasia, a cui si deve, teniamo sempre a mente la frase di Samuel Johnson “l’invenzione dell’uomo“).
Tuttavia, in quest’ultimo episodio, il momento di massima suggestione fantastica risiede in un singolo scambio di battute fra i due: di fronte al luogo dove si terrà la rappresentazione, Morfeo spiega a Shakespeare che quello era un teatro da molto tempo prima; “Da prima dei Sassoni?“, chiede il poeta; “Da prima dell’uomo“, risponde Sogno. Questa singolo battuta d’effetto spalanca una prospettiva temporale che sbalordisce Shakespeare e fornisce al lettore un ulteriore esempio dell’alienità di Sogno.
La tattica, in questi due casi, è costruire il contesto emotivo, che consenta la massima empatia nel lettore, ma evitare il didascalismo patemico. Di passaggio, si può anche notare che la vignetta di discontinuità de Le Eumenidi è forse la meno efficace dell’intero arco disegnato da Mark Hempel, ma semplicemente perché in essa, ispirata alla raffigurazione michelangiolesca del contatto fra Dio e Adamo della Cappella Sistina, il kitsch fa aggio sul significato paradossale, che pure è fondamentale: in Michelangelo, quel contatto dona la vita, in Sandman la morte; in entrambi, questo è lo spunto di riflessione e di inquietudine, dona la libertà.
Ha lasciato qualche eredità, marcato una tendenza stilistica?
In fondo, il successo, nel fumetto mainstream seriale, non ha forse premiato approcci maggiormente basati sull’enfatizzazione e la spettacolarizzazione, secondo un percorso che da Grant Morrison (il cui sbarco in USA è sostanzialmente coevo a quello di Gaiman) e Garth Ennis ha condotto a Mark Millar?
Tuttavia sembra grossolano negare qualsiasi influenza dell’opera di Gaiman, così come è importante inquadrarlo in un evidente percorso di maturazione autoriale del fumetto mainstream, che dimostra la possibilità (e sostenibilità economica) di progetti e opere che, pur mantenendo un’elevata leggibilità non siano puro intrattenimento o pedagogismo didascalico, che, in altre parole, rifuggano l’infantilizzazione del lettore. Questa visione del fumetto mainstream è più importante di una caratterizzazione stilistica e il Sandman di Gaiman ha sicuramente contribuito a diffonderla e consolidarla. Anche al di fuori del mondo degli appassionati.
Note
- Cfr. Hy Bender: Sandman companion, pag. 256 [↩]
- Vale la pena sottolineare che il primo arco narrativo comprende i primi sette episodi della serie: Il Suono delle Sue Ali ne è fuori e nella prima edizione in volumi fu raccolto insieme all’arco Casa di Bambola. [↩]
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