nel bianco scriversi della voce

Creato il 30 luglio 2011 da Vivianascarinci

L’impersonalità in effetti può essere una nozione intimista. Un apprendistato di conoscenze alterne che vanno della materialità al vuoto, conoscenze non nominali che caratterizzano l’offensiva di un sistema inconscio che però vuole essere regolatore. E che in una certa misura regola come fosse una timbrica esatta, animata da una gamma di digressioni che pronunciando gli stessi fonemi li cambiano, li riarticolano, li disarticolano pure essendo soltanto una e riconoscibile la voce impegnata in questa ricognizione. La poetica di Paolo Fichera a mio avviso vive di reiterazioni, ricorrenze, false ripetizioni tematiche come fossero ogni volta la decisa profanazione di quanto creduto definitivo per convenzione. Esiste in questa voce un sentimento corale di sé, una popolazione centrifuga che dal muscolo cardiaco conduce la sua diaspora alla totalità dell’epidermide come fosse il limite universale di una finitudine esclusiva e fortemente impegnata nella dolenza di questo trattenimento. Il paesaggio interiore dunque sembra una costellazione acquea in cui ogni aggrumare è una soglia di possibile matericità che affoga l’(in)espressione successiva, che fonda e dilaga l’ennesima ferita di un senso mancato, di un tocco arrestato su un’assenza deliberata che deve latitare ogni spiegazione, alla stesso modo in cui i versi si sciolgono dalla presenza autoriale per mostrare ripetutamente il lutto cui sono rivolti. “il mio bianco/e ancora occhi dal basso/il sudore come un marchio/ogni vena, l’evento/l’acqua di vivere/dispersa, che perde” il bianco non tracima gli occhi, il sudore tatua anziché disciogliere la fatica in un’aura agita al di fuori del corpo, l’acqua di vivere è un sentimento dispersivo inarrestabile che pure salda il lettore nell’immobilità di una perdita. Del lutto reiterato che sta nella qualità di un divenire scarno che non si appella. “il portale della negazione/incrina la terra/la resa, le promesse aspre del sangue” Esiste dunque un portale che nega, una soglia rivolta alle superfici che le incrina. Di questo atto potenzialmente permeabile e contundente sembra capace il sangue data la sua qualità di asprezza e di generosa promessa. Il sangue detiene la palma delle necessità, esaudisce di volta in volta la promessa di nascere, morire, intermediamente desiderare, come cadendo nel crepaccio tra un’oltranza e l’altra. “la castità alla carne, un rogo/senza mani lo schermo/il corvo degli occhi, l’incesto/devastato dai sogni, cede/nel digiuno la pelle il corpo/ora nega il suo nome”. Il corpo è esaltato dall’onta incestuosa di un io che desiderando nega il suo nome, da un digiuno autoimposto, da un’ossatura introflessa che stringe perversamente un’umanità irraggiungibile se non dal suo stesso sogno. L’alfabeto screma lettere, il caglio sfalda il liquido materno e ancora una volta trattiene come un assoluto la dispersione che il vivere impone “la paura ha l’odore/di un alfabeto sfatto/perno che incrina il peso della pelle”

di e su Paolo Fichera in questo blog :

dormi come visibile

prego questo pane

la chiara fermezza dell’acqua

(di Sebastiano Aglieco) nel crepaccio del corpo

origine

Nel bianco. Paolo Fichera

ci sono fiamme in questo teatro: ora.
creatura d’acqua affoga la voragine in un miele, in ogni pelle calpestata.
il corteo delle ferite dispone la fragilità in soglie.
l’acqua penetra, fa deserto di un’altra acqua.
quale verità crede nel suo male?
l’acqua accarezza la pelle sepolta. l’acqua ha sete.
ogni compimento ha il sapore della terra.
ti scrivo nella voce, ogni bosco cede.
gli occhi che si vogliono morti tessono un’altra pelle.

:

un miracolo d’acqua e sangue
la perdita infinita
due acque ogni spazio oltre la sete
una zona bianca
una danza,
un calcare di piedi, nella roccia
il gesto

si scioglie, un’impronta si fa rete e trama
fuoco, il mio bianco
e ancora occhi dal basso
il sudore come un marchio
ogni vena, l’evento
l’acqua di vivere
dispersa, che perde

.

la terra avvicina le mani

alba di terra avvicina le voci

la sera scesa, scende

nel grembo il male

un silenzio gemello

specchia e manca nel mare

un’altra morte

nel fiato i respiri

il bianco di occhi

attorno ai colori

.

il portale della negazione

incrina la terra

la resa, le promesse aspre del sangue

morte tarlata e tarla mani

grattano l’inferno di un lago ghiacciato

seme devoto

una preghiera di solo dolore

violata la pelle, un sole viola

voragini di seta divorano

corpi, oracolo

brunito come corpo

martoriato dal sole:

grembo nel male.

.

parola stanata, piaga

sabbia colma le crepe

radici s’innalzano nel bianco crudele

l’acqua severa di uno sguardo

devoto, di un altare vuoto

.

soffocano nel buio i fiati

rapidi sciolgono la pelle in gocce

una pozza specchia le ere recise

di corpi recisi, i pezzi in un rogo

ossessa l’acqua invade l’imene.

.

metà ala, doppio respiro

stessa cenere

la palude trasuda zampe e ferro

mani grandi per dolci carezze

le fiabe dei bambini violati

“c’era un volta un bosco verde”

inginocchiati alla fonte gemella

un fiume stagnante occhi

una colpa che muore

un perdono guaisce

sa senza pelle

incresciuta e paura

in nome e scissa:

getti le tue mandorle ai gatti

.

tu

sei il presagio

tratturo nel grano

grotta dove l’albero domina

la cantilena nella vena

“mangio la mia zuppa”

Vincent alla prostituta.

.

la castità alla carne, un rogo

senza mani lo schermo

il corvo degli occhi, l’incesto

devastato dai sogni, cede

nel digiuno la pelle il corpo

ora nega il suo nome

.

l’aria

vive nei dirupi

prega la pelle la palude

un’alba randagia dove occhi

sanno trame di tramonti colati

nel silenzio dei pesci

il buio rivela la fiamma

di mirra e datteri sprofonda

respira vicino un dio assente,

un bicchiere di vino voci

timide, desideri di altre vite.

.

l’aria

indora la forma, ammansisce

il balbettio dei sogni, insinua rosso inguine

razza della parola, inesistenza

nel bianco le ossa ristagnano

.

l’aria

sfiora opaca la cenere

compie, la paura ha l’odore

di un alfabeto sfatto

perno che incrina il peso della pelle

trancia

bocca nel bianco.



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