Genesi 1.3 “Vayomer Elohim yehi-or vayehi-or”
All’origine della creazione c’è il Verbum. Il potere di Dio si manifesta nella Sua Parola, è egli stesso Parola. Dio è Verbum. E se la Parola è il bene, il male, il suo negativo, privato della parola, ha le fattezze di una bestia muta.
Dopotutto Manzoni, nelle celebri pagine de I Promessi Sposi, non è un caso che nel presentare il cupo abitante del castellaccio, idegno di nome al punto da essere Innominato, si avvalga di una serie di negazioni «di costui non possiamo dare né il nome né cognome».
Dare il nome spetta al Creatore, per eccellenza. Un potere che, con tutta la sua forte carica di simbolica, non è sottratto al tracontante tentativo di imitazione da parte dell’uomo.
Non stupisce quindi se, in una società fondata sul millenario ordine simbolico del padre, a quest’ultimo spetti il potere di dare il nome ai propri familiari. Ai figli, dal patronimico, tuttora in uso in alcuni Paesi (come in Russia), fino al cognome paterno, ancora oggi largamente diffuso. E anche alla moglie, per la quale e(ra) previsto l’affiancamento del cognome maritale, al cognome originario, laddove quest’ultimo non viene direttamente estromesso dal nome della donna divenuta “moglie” .
Insomma la questione del cognome, e più in generale la questione nominalistica, del modo in cui parliamo e indichiamo le cose e le persone nel nostro linguaggio, non è di secondo conto.
Per questo sostengo le campagne di sensibilizzazione a favore di una legge che permetta la libertà di scegliere il cognome, senza previsioni fisse ex lege, che comprimono la libertà individuale in un campo così sensibile come l’identità, in cui il cognome ha un peso. Segnalo, in ultimo, la petizione online lanciata da Equality Italia “Nel cognome della madre“.
Se quando facciamo nel senso di creare qualcosa abbiamo la smania di un riconoscimento, pretendiamo che si sappia che quella cosa l’abbiamo fatta noi, e la firmiamo, la segniamo, per lasciarne la nostra traccia. Perché in una delle cose più importanti che una donna, la genitrice per eccellenza, può fare è degradata al ruolo di autrice anonima, indegna di nota, a favore dell’altro co-genitore, firmatario esclusivo (che oltretutto nella gestazione ricopre un ruolo minimale a fronte di quello della genitrice)?
E’ evidente che dietro a questo antico e, purtroppo, attuale costume del cognome paterno e maritale vi è il segno della volontà di disconoscimento delle donne e della loro presenza nella società. Un’altra (l’ennesima!) espressione di una cittadinanza (ancora) incompiuta per le donne, che con fatica cercano di smantellare e entrare in una polis costruita a misura di uomo (maschio).