ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2014
Ci sono verità difficili da rivelare, verità scomode a cui ci si vorrebbe sottrarre, verità amare che fanno così male da non riuscire nemmeno a scriverle nero su bianco... perché significherebbe viverle nuovamente, riflettersi in loro una seconda volta. E a nulla serve riconoscere che il cuore ha infinite ragioni, a volte taciute, altre sussurrate, altre ancora rivelate, quando le si scoprono in balia del destino: "lui" è una forza più grande, a cui non si può sfuggire.
Cominciamo ora con la parte "critica" di questo commento.Partiamo dalla figura di Susan: il ritratto iniziale che ne fa l'autrice è bello, articolato ma a me è sembrato piuttosto contradditorio. Susan sembra avere tutte le qualità e al tempo stesso tutti i difetti, come dire che è "orgogliosa" ma anche "umile" (non sono questi gli aggettivi che usa la Albertini, ma è per darvi un'idea). Concretamente, non sapevo che cosa pensare della protagonista dopo il suo ingresso in scena, perché mi sembrava che fosse tutto e il contrario di tutto. Quello che è certo è che è una donna forte, che ha sempre cercato di affrontare di petto la sua vita, e che ha dovuto più volte negli anni fare i conti con dolore e sofferenza.Per quanto riguarda gli altri personaggi, mi sono sembrati un po' tutti uguali, tutti con la stessa voce. Togliendo un po' il marito di Susan e sicuramente uno dei figli, gli altri personaggi sono indistinguibili: parlano allo stesso modo, pensano allo stesso modo, di diverso hanno quasi solo il nome. Beth, la sorella, Carol, la figlia, in un secondo momento il marito di Susan... se non ci fosse stato scritto il nome accanto ai dialoghi, dubito che sarei riuscita a distinguere chi era a parlare. Sono tutti accumunati dal sostegno che danno a Susan, a volte usano quasi le stesse parole. Mi è sembrata evidente la simpatia dell'autrice verso la sua protagonista, e ho avuto la chiara impressione che si trattasse di un personaggio che, per forza di cose, doveva uscire bene dalla storia.
Passiamo ai dialoghi... li definirei un po' artificiosi. Credo sia davvero difficile che due persone, due sorelle, o una madre e una figlia, possano parlarsi davvero così. Questi continui appellativi "sorella mia", "figlia mia" credo siano passati di moda da moltissimi anni e contribuiscono a dare l'impressione di battute "finte", create a tavolino. Manca spontaneità, manca immediatezza. Sembra quasi che i personaggi recitino un copione su un palcoscenico, e più volte mi sono immaginata Susan e Beth illuminate da un fascio di luce su un palco, mentre con una gestualità accentuata interpretavano i loro rispettivi ruoli. Ho riscontrato, insomma, una certa teatralità, non solo nei dialoghi, ma anche nelle reazioni dei personaggi.
Alcune sono davvero spropositate ed eccessive rispetto alla causa: sembra che Susan abbia commesso chissà quale orrendo crimine a tacere una parte del suo passato, quando, secondo me, la sua omissione è sì consistente, ma non tale da sfasciare un'intera famiglia. Non mi sono sembrate reazioni verosimili, e questo è purtroppo un difetto di tutta la storia: manca di verosimiglianza e realismo. Le interazioni tra i personaggi mi sono sembrate troppo forzate, e anche l'episodio clou del romanzo mi è sembrato troppo semplicistico e veloce. E' un rapporto che viene recuperato in quattro e quattr'otto, come se quarant'anni di differenza non contassero nulla, e personalmente non so quanto questo possa effettivamente avvenire nella realtà. Non credo sia possibile far svanire il rancore praticamente di punto in bianco, prendere consapevolezza solo in seguito a poche parole dello sbaglio di una vita.
Oltre a questo, tutta la storia tende ad essere un po' ripetitiva: ci sono alcuni aspetti, alcune situazioni che vengono ricordate più e più volte, con parole diverse, ma la sostanza non cambia. Il passato di Susan viene rievocato innumerevoli volte, rendendo il tutto un po' troppo ridondante. Va bene richiamare alla mente del lettore alcuni punti salienti del passato della protagonista, ma ripeterlo troppo volte sembra solo un tentativo di riempire pagine.
Mi avvicino alla conclusione con una piccola nota di stile. "Nel cuore di una donna" è scritto in modo fondamentalmente corretto, con uno stile forse un po' monocorde ma sicuramente personale, ma ho notato che molto spesso l'autrice, dopo i dialoghi, interviene a spiegare il loro significato, perché un personaggio ha detto quello che ha detto, che cosa voleva dire e così via.
Ultimo appunto sulla conclusione: ecco, secondo me non è una conclusione adatta. E' vero che Susan arriva a una certa consapevolezza, ma dà l'idea di un qualcosa di interrotto, di troncato di netto. Ci sono diverse questioni che vengono lasciate in sospeso e non vengono risolte, e personalmente mi sarebbe piaciuto sapere come si sarebbero risolte certe "questioni".
Tutto il romanzo mi è sembrato un po' esagerato, troppo melodrammatico e inverosimilmente sentimentale (ma lo dice una che è abbracciobaciofobica, magari per un'altra lettrice è tutto nella norma XD), mi è parso tutto un girare attorno al succo della questione senza mai arrivarci davvero.
Ora, so che ho praticamente scritto un papiro da cui sembra che nel libro non ci sia nulla di buono, ma ho trovato molto più facile appuntarmi e condividere con voi i "difetti" piuttosto che i pregi. Il problema è che non è stata una lettura terribile come altre che mi sono capitate sotto gli occhi, ma nemmeno eccezionale, è c'è questa tendenza alla melodrammaticità che non mi è andata del tutto giù. E' un libro neutro per quanto riguarda il mio giudizio, ben scritto, anche se con qualche dettaglio da perfezionare (un po' di confusione con i tempi verbali in alcuni punti), ma per il resto non so che altro dire, e anzi mi pare di aver già detto abbastanza. E' una lettura, in ultima, che può piacere o non piacere a seconda del gusto personale del lettore, più che per altri aspetti.
Vi aspetto alla prossima recensione, Il risveglio di Fahryon di Daniela Lojarro.