Nel far west col marmocchio

Da Robedamamma @robedamamma


Per chi passa luglio in città, e vede ancora ben lontane le ferie estive, programmare al meglio il week end appare di vitale importanza. Soprattutto se da meno di tre anni ti gira per casa, perennemente su di giri, un esemplare di Marmocchiam Vivacea et Mai-stancam, della peggior specie.

Per accontentare la nana e dar libero sfogo alla sua vivacità repressa, questo fine settimana siamo stati qui.

Complice il caldo becco, un picco di umidità storico e una pessima congiunzione astrale (ché si sa, quando Saturno transita in seconda casa si è propensi a cambiar look ma non alle gite fuori porta, tanto più se sei cuspide tra i due segni più testardi ed esigenti dell’intero zodiaco) la giornata si rivelava alquanto disastrosa.

E dire che eravamo partiti bene. La Marmocchia si era dichiarata ben felice di recarsi in visita ad Indiani e Cowboy. “Perché no” – aveva probabilmente pensato guardando le foto su internet – “ho fatto visita ad amici e parenti di mamma e papà anche peggio combinati!”.

Entusiasta del pic nic in mezzo alla natura (e ancor di più del suo panino prosciutto e formaggio a cui non aveva tolto gli occhi di dosso per tutto il viaggio) era impaziente di vedere gli animali promessi: caprette, pecore, mucche, cavalli, daini, lama e  persino i bisonti. Tanto più che si era detta ansiosa di chiedere all’asinello se volesse intonare con lei “Giro giro tondo” e se trovasse “calini” i suoi nuovi occhiali da sole.

Armati di cotanti buoni propositi arrivavamo a Cowboyland: il far west in quel di Voghera.

L’allegria e la buona predisposizione marmocchia svanivano pressoché all’ingresso del parco. In meno di dieci minuti la nana sviluppava una vera e propria farwestfobia iniziando una protesta lamentosa corredata da pianti, malmostosità diffusa, ritrosia e totale rifiuto di svolgere la benché minima attività.

Decisi ad ammortizzare i capitali investiti, provavamo invano a rendere la gita quanto meno gradevole.

La visita iniziava con un mini tour sul trenino panoramico. La Marmocchia, che di norma si sarebbe incatenata ai binari pur di fare almeno una ventina di giri, usciva dalla prima miniera avvinghiata al mio collo e alla stazione si buttava praticamente giù dal vagone correndo via in preda al panico. E meno male che a quell’ora Indiani e Cowboy (che avrebbero dovuto intrattenere i visitatori) erano probabilmente al saloon a farsi un quartino di rosso.

Proseguivamo il tour tra gli animali. Nessuna delle tante specie, però, sembrava far breccia nel cuore marmocchio. Nemmeno l’asinello e il pony riuscivano a scioglierla. Col primo rifiutava il dialogo e col secondo una passeggiata (gratuita tra l’altro per tutti i marmocchi).

Soltanto davanti all’ufficio dello sceriffo (e dopo che la sottoscritta aveva intonato per la 132esima volta “lo sceriffo ffo, ha due baffi-ffi..“), la Marmocchia sembrava lasciarsi andare. Un po’ titubante accettava di fare un giro sulle canoe al villaggio indiano. Il giro si trasformava in “saluta mamma e papà - no non è ancora finito - vai vai, non ti preoccupare ti avvisiamo noi quand’è ora di scendere“, guadagnando così qualche minuto di tregua.

Lanciatissimi e con la speranza che la giornata prendesse una piega migliore, ci soffermavamo all’Indian Village per assistere allo spettacolo*. Cinque minuti dopo la nana era di nuovo in lacrime, spaventata a morte dal vecchio sciamano (o più probabilmente dalla capigliatura di uno dei protagonisti).

Rassegnati, a questo punto abbandonavamo il far west.

Ecco, questo per dire che a volte uno c’ha anche le buone intenzioni… ma quando un nano non c’ha voglia, non ce n’è per nessuno. Nonostante questo il posto lo consiglio vivamente. E anzi a breve farò una recensione più dettagliata (e che non comprenda i deliri marmocchi).

Per ora vi lascio con la favola indiana messa in scena all’Indian Village:

*C’era una volta, tanto tempo fa, una giovane indiana chiamata Luna Raggiante. Era stata battezzata così da Falco Nero, lo sciamano del villaggio, che nutriva per il suo futuro radianti aspettative e non aveva esitato a prometterla in sposa a tale Orso Grigio, un vero guerriero Cheyenne. 

In realtà, crescendo, alla bella indianina di raggiante era rimasto ben poco. Promessa sposa di uno col nome da peluche della Trudy e innamorata in segreto di Cervo Veloce (un mezzo spiantato dalla pettinatura a dir poco agghiacciante e la verve di un cocomero) c’era poco da stare allegri, a dire il vero.

Sciatta, depressa e con l’andatura strascicata, usava recarsi ogni giorno al fiume per incontrare segretamente il suo innamorato hippy. Non che da questi incontri la giovane ne uscisse davvero rinfrancata. D’altra parte se a Cervo Veloce lo avevano chiamato così, un motivo ci doveva pur essere.

Un giorno, però, il potente sciamano li aveva sgamati e, in combutta con il capo del villaggio, Coltello Spuntato (no comment please), aveva deciso di punire Luna Ammoscia…aehm Luna Raggiante.

Ma sul più bello, in un impeto di vivacità, Cervo Veloce aveva sfidato e battuto Orso Grigio, Coltello Spuntato e pure il vecchio sciamano (quest’ultimo anche solo perchè la smettesse di battezzare la gente con sti nomi assurdi).

E investito del titolo di “vero guerriero Cheyenne” si era ritirato con la sua amata in una tenda bifamiliare su due livelli, vista fiume, dove Concetta e Osvaldo (questi i nomi con cui i giovani sposi usavano chiamarsi nell’intimità) avrebbero per sempre vissuto felici e contenti.


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